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  • Advertising e big data: qual è il confine tra creatività e privacy?

    Tra violazione della privacy e nuove forme di personalizzazione, i brand utilizzano sempre più spesso i dati degli utenti per trovate creative come quelle di Spotify

    26 Gennaio 2018

    La parola confine, nell’immaginario comune (e nella definizione del dizionario) è associata al concetto di linea di demarcazione tra due luoghi, come Nazioni, regioni, ecc. o più concretamente a uno steccato, o un muro. Una definizione alquanto riduttiva per un concetto così pieno di significato storico e sociale, a cui infatti l’antropologia conferisce una nuova forma tridimensionale. Cosa è quindi il confine? Uno spazio fisico, dove si incontrano, fondono e scontrano elementi “diversi”. Gli “spazi-confine” nel nostro caso saranno i Big Data e gli elementi che vi si incontrano o scontrano saranno creatività e privacy nell’advertising. Creatività e Privacy: confini I Big Data infatti stanno portando una vera e propria rivoluzione nell’advertising e nel marketing: sono terreno di decisioni, determinano la personalizzazione del contenuto e una nuova forma di creatività, ma d’altra parte portano anche conflitti. Pensiamo all’attenzione verso la cyber-security e la privacy, temi talmente caldi che appena violati risuonano a gran voce per tutto il web. LEGGI ANCHE: Cybersecurity e Social Media: tutti i rischi del 2018 secondo Sebastiano Marinaccio Chris Walts, Associate Director at Ogilvy London, in un’intervista a Ninja Marketing lo scorso settembre disse a riguardo: «La personalizzazione è un’ottima cosa, ma in molti casi richiede la rinuncia a più dati personali. I consumatori stanno per affrontare una scelta nel prossimo futuro: desiderano esperienze ultra-personalizzate o preferiscono la loro privacy?» Non saranno solo i consumatori a scegliere tra creatività e privacy, ma anche i brand. Alcuni nello spazio-confine dei Big Data difenderanno il baluardo della privacy, altri invece stanno già tastando il terreno oltre il confine con advertising ultra-personalizzati. Quali? Netflix, Spotify, Cost Plus World Market per primi. https://www.youtube.com/watch?v=poxjtpArMGc

    Spotify

    Tutto iniziò nel 2016, quando Spotify lanciò la campagna pubblicitaria outdoor per celebrare le stranezze dei propri utenti secondo i dati di ascolto raccolti, combinandoli agli eventi accaduti nel 2016. Famoso l’advertising apparso in Gran Bretagna “Care 3.749 persone che avete ascoltato It’s the End of the World as We Know It il giorno del voto per la Brexit, tenete duro”. In quell’occasione la campagna ebbe un gran successo e gli utenti furono divertiti, coinvolti, emozionati dalla trovata, ma non “violati”. Di certo il conflitto tra creatività e privacy venne fuori e l’utilizzo dei dati per la campagna di advertising fu fatto notare al board di Spotify, con il commento del CEO Seth Farbman «C’è stato qualche dibattito sul fatto che i Big Data stiano mutando la creatività nel marketing… i dati ispirano e danno un’idea dell’emozioni che le persone stanno provando». Spotify Music LEGGI ANCHE: Spotify non smette di stupire e trasforma i cantanti Hip-Hop in sculture classiche Quest’anno Spotify lo ha rifatto, con la campagna outdoor “Obiettivi 2018”, sempre focalizzata sulle abitudini degli utenti. Per esempio “Evitare gli inviti a cena dalle persone che hanno aggiunto queste canzoni alle loro playlist per cucinare: Slippery, All of Me, DNA”. Un successo anche in questo caso con il benestare degli utenti. spotify_marketing moments Perché Spotify non è intrusiva? Spotify avvolge gli utenti con musica e emozioni e può essere fruito gratuitamente. L’utente, davanti una campagna data-driven, si sentirà ancora più parte di una comunità insieme agli altri utenti. Il risultato è che Spotify utilizza i dati, ma allo stesso tempo fornisce all’utente una esperienza unica. Gli utenti ne riconoscono il valore, tollerandone l’utilizzo dei dati.

    Netflix

    Netflix è notoriamente molto attenta alla privacy del suo pubblico, ma sembra aver imparato da Spotify una lezione: i dati possono essere utilizzati in modo creativo per contenuti coinvolgenti. Lo ha dimostrato nel tweet oltreconfine di creatività e privacy apparso l’11 dicembre: «Alle 53 persone che hanno visto Un Principe per Natale ogni giorno negli ultimi 18 giorni, chi vi ha ferite?» Il post ha senza dubbio fatto scaturire commenti di haters preoccupati e infastiditi dal “coming out” di Netflix: «Perché tirate in ballo le persone in questo modo?» o «Bello vedere come copiate la strategia di Spotify», «Netflix ci osserva. Tweet poco professionale». creatività e privacy: netflix Ma il dato rilevante in questo caso è il risultato ottenuto; 116.601 Retweet e 454.749 mi piace, terzo tweet con più successo nel mese di Dicembre.

    Cost Plus World Market

    Un altro esempio di brand che ha oltrepassato il confine tra creatività e privacy è quello di Cost Plus World Market, una catena di negozi specializzati in articoli per la casa. In una campagna outdoor, ha inserito oltre i nomi dei clienti anche il loro indirizzo: «Monica Kusaka, nella casa di mattoni rossi in Damen Avenue, di fronte al parco, questa lampada è per te. Mette insieme le tue due cose preferite: luce calda e lama». dati e creatività Ovviamente l’agenzia Barrett SF in questo caso ha chiesto espressamente ai customer il permesso per l’utilizzo di dati personali come l’indirizzo di casa.

    Tra creatività e privacy: le opinioni

    Andrea Cook, presidente dell’agenzia FCB/Six,  definisce l’utilizzo dei dati a scopo creativo come «un territorio inesplorato», i brand sono preoccupati di oltrepassare la linea e sembra che stiano facendo dei tentativi per capire quanto gli utenti siano disposti a tollerare. Non solo tra i brand sembrano esserci discordanze, anche le agenzie e i creativi non sono convinti di varcare il confine. I commenti variano tra chi preferisce essere cauto, come Patrick Schoren, Creative Technology Lead per l’agenzia Bensymon Byrne, che sostiene: «Con l’accesso a così tanti dati, dobbiamo fare attenzione a non correre», e chi invece ritiene che i dati siano necessari per non annoiare i consumatori, come Rebecca Lieb, Digital Marketing e Media Specialist, che aggiunge: «I brand e le loro agenzie sono tra incudine e martello… Cosa è meglio: far rabbrividire qualcuno o non essere notati?» Resta da chiedersi: chi sarà il prossimo a varcare il confine?