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  • 4 cose che ti servono per cominciare a lavorare con l’HyperContent Marketing

    Sfruttare gli hypercontent può essere decisivo per migliorare la relazione con la tua audience: in questo post ti spieghiamo cosa ti serve per partire

    11 Gennaio 2018

    Qualche settimana fa abbiamo cominciato a spiegarvi quali siano i vantaggi di sviluppare HyperContent, e perché si stia affermando uno scenario in cui questa particolare forma di contenuti si prefigurerà come il prossimo vettore di relazione con il consumatore. Se veramente il 2018 sarà l’anno del definitivo salto verso un mondo in cui la realtà aumentata la farà da padrone, è ovvio allora che sia necessario cominciare a maneggiare con cura la materia, interrogandosi su come sfruttare gli HyperContent per i propri scopi. Augmented Reality Advertising nuova frontiera dell'ambush marketing A tal proposito, è meglio rinfrescarci la memoria, andando a (ri)scoprire quale sia la “formula” per realizzare gli HyperContent.

    (Spazio + tempo) * device dell’utente / attività dell’utente

    Tale formula (proposta qui e ripresa in quest’altro testo) è in grado di sintetizzare con efficacia quali siano le caratteristiche sostanziali di un contenuto che sia anche “Hyper”: la presenza di un’interazione con il contesto hic et nunc dell’utente, la possibilità di sfruttare le potenzialità di un device che l’utente ha – con tutto quello che ciò permette, dalla personalizzazione dell’interazione alla tracciabilità dei dati prodotti – e l’azione che l’utente compie, dopo esser stato coinvolto ed eventualmente attivato. Il saper impiegare gli HyperContent allo scopo di condurre l’utente alla conversione in cliente, e successivamente in ambassador della marca – secondo un modello standard di Customer Journey – può portare ad accellerare il processo in maniera esponenziale, perché mette in condizione di attivare in maniera completa l’utente, agendo su leve che sono per forza di cose altamente customizzate (il contesto hic et hunc, appunto, oltre che la call to action che spinge l’utente a muoversi).
    Fonte: Econsultacy
    Fonte: Econsultacy
    Certo, è necessario prendere coscienza che ogni touchpoint di cui la marca dispone è determinante e centrale per le meccaniche che si andranno a sviluppare: dal punto vendita, diventato ancor più importante nella definizione della customer experience per la possibilità di sfruttarlo come discriminante per il retargeting di Facebook, fino ai punti di contatto digitali come le app, i siti Internet e in generale tutti gli strumenti connessi, i quali non possono veramente lasciare nulla al caso. Dalla user experience fino ai contenuti che veicoleranno, tutti diventano gangli decisivi per attivare l’utente e condurlo nel mondo dell’HyperContent. Mondo che – ricordiamo – è totalmente data-driven, può cioè configurarsi e riconfigurarsi a seconda dei dati che vengono prodotti e ricevuti dall’ecosistema mediale circostante: forti di questa correlazione, gli HyperContent possono essere anche sfruttati per raccogliere dati nuovi altamente profilati, in grado di esser sfruttati per approfondire la relazione con il consumatore e rendere l’esperienza ancor più dinamica.

    Cominciare a pensare Hyper

    A che livello si può cominciare a “ragionare” secondo le regole dell’HyperContent Marketing? La complessità dei fattori in campo pretende che l’azienda si doti di strumenti in grado di garantire performance di un livello sufficiente a sviluppare una customer experience veramente distintiva e memorabile: al di là però delle piattaforme tecnologiche (intendiamoci, indispensabili) il primo switch è di ordine prevalentemente concettuale. Bisogna cominciare a ragionare in modalità hyper, passando quindi da una visione a compartimenti stagni (mediale, ma anche di relazione) a una più unitaria e completa, dove il mondo di marca venga considerato nel suo insieme, secondo una serie di legami e interconnessioni e non di anime separate fra loro. In questo i pattern che descrivono le regole della narrazione transmediale possono aiutare a visualizzare le differenze sostanziali che ci sono dall’immaginare in modalità più “classica” e hyper. Uno in particolare, proposto da Robert Pratten, può aiutare a comprendere quanto l’incrocio fra dimensioni diverse (e talvolta sbilanciate) sia determinante al confezionamento di una storia realmente transmediale.  
    Fonte
    Componenti diversi, ma che unite permettono di ottenere un risultato unico e altamente memorabile: la variabile della “Convenienza” si interseca direttamente con l’importanza che ha la qualità del contenuto narrativo, così come le interazioni generate dalla community che “entra” nella storia diventa negralgica per potenziare e potenziare la storia stessa. Una struttura dove gli equilibri sono fondamentali, e che può essere considerata l’evoluzione “hyper” del gesto del raccontare. E se lo storyteller più curioso deve cominciare a “pensare” in maniera transmediale per raggiungere questi risultati, così il content creator che lavora per le marche che vorrà sfruttare a pieno le regole dell’HyperContent Marketing dovrà cominciare a ragionare secondo regole nuove, più fluide e allo stesso tempo meno verticalizzate su un media. Lo scatto da fare obbligatoriamente è però, come detto poco su, in particolare di natura concettuale. Vediamoli allora, i quattro passi fondamentali da compiere per cominciare la rivoluzione dell’HyperContent Marketing.

    1. Una vision che sia veramente omnichannel

    L’omnicanalità è una delle keywords più citate degli ultimi anni: ogni decision maker avrà incrociato almeno un consulente che ha promesso di portare questa trasformazione nella propria azienda. Il problema è che l’approccio omnichannel il più delle volte viene confuso con una semplice presenza su tutti i canali: presenza che, specifichiamo, non conduce a un’autentica relazione fra media, semmai a una dispersione maggiore di messaggi – quindi di risorse. Guardare il proprio ecosistema di comunicazione secondo una logica omnichannel significa, viceversa, cominciare a pensare come possono lavorare assieme i vari media, quali possono essere le connessioni fra loro e come queste possono generare valore: produrre o raccogliere dati, quale agevolazione c’è per l’utente/consumatore, che valore si prefiguri per l’azienda etc. Non è necessario presidiare decine di canali se questi vivono una realtà a sé, parlano ognuno una lingua propria e – soprattutto – non sono in grado di creare sinergia. Gli HyperContent vivono grazie alla capacità dei media di relazionarsi fra loro e con il contesto dell’utente: contare quindi su una dimensione che sia veramente “omni” è il primo passo verso il successo!

    2. Un piano di sviluppo razionale (e creativo)

    Se la visione dev’essere chiara, altrettanto dev’essere il piano che si attuerà per crescere in una logica “hyper”. Non aver paura della creatività, ne tantomeno spaventarsi per un modello che per forze di cosa uscirà dalla convenzionalità delle comunicazioni di ieri e di oggi: dogmi che andrebbero considerati per qualsiasi piano di comunicazione che miri ad essere competitivo, e che diventano obbligatori da rispettare nel momento in cui si sceglie di cominciare a lavorare con questa nuova forma di contenuto. Aprirsi quindi al digitale in una maniera propositiva ma non schizofrenica, analizzando quali siano i canali più adatti per ospitare l’esperienza dell’utente cui parleremo e limitandoci a un presidio razionale e non dispersivo. Uno degli errori che i primi social media manager fecero più spesso, negli anni passati, fu di aprire profili ufficiali su tutti i canali disponibili. Il risultato era una dispersione totale delle risorse, senza un risultato efficace: allo stesso modo, se sappiamo che vogliamo cominciare a sviluppare HyperContent, dobbiamo comprendere quale sarà la prima strada da prendere, e su quella lavorare, magari spingendo sull’accelleratore della creatività per arricchire l’esperienza utente del tanto che basta a renderla unica. Prendete Pokémon Go: il game AR della Nintendo era a pieno titolo un gigantesco HyperContent. Per sua natura il punto di forza era tutto sulla mobilità: Nintendo ha scelto di giocare lì la sua partita, senza realizzarne evoluzioni per altri device che ne snaturassero le qualità. Il successo si è visto, eccome! 10.Augmented-Reality-Gaming

    3. Aprirsi a nuove meccaniche

    La crossmedialità è difficile, richiede uno studio maggiore e uno sforzo creativo decisamente più marcato. Però non c’è HyperContent senza crossmedialità: aprirsi a meccaniche che possano permettere agevolmente il passaggio da un media all’altro, la relazione fra contesto spazio temporale e e device, l’interazione fra mondo utente e digitale, dev’essere un mantra che ogni azienda voglia sfruttare tali meccaniche deve saper adottare. Difficile? Certo che sì, soprattutto se non si è mai fatto prima. Ma i risultati saranno garantiti!

    4. Non aver paura del futuro

    Big Data, automation, machine learning, intelligenze artificiali: suonano parole lontanissime dalla quotidianità di un brand, esattamente come lo erano Storytelling o Gamification più di 10 anni fa. Tutto ciò che si configura come una novità può intrigare e contemporaneamente spaventare, magari esser percepito come lontano e distante dalla propria identità, oltre che dalla propria audience. Ebbene, qualsiasi pubblico che consideriamo “nostro” probabilmente è inconsciamente pronto a farsi contagiare dalla nostra prossima idea: aspetta solo la call to action giusta per rispondere. L’HyperContent Marketing è una branca molto specifica e particolare del Content Marketing più classico, ma questo non deve indurre in inganno: ogni consumatore è infatti pronto a rispondere a una richiesta, se intravede un vantaggio. Tocca al brand mostrarglielo, senza dubbi e incertezze. Queste quattro regole sono solo l’inizio: l’HyperContent Marketing però può diventare un vero valore aggiunto se si comincia – come detto su – a pensare in maniera nuova, ed è proprio da qui che ogni azienda può attivare l’evoluzione che la porterà a innovarsi totalmente. La rivoluzione è appena cominciata: siete pronti a prenderne parte?