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  • Dolly Noire, come nasce una startup dello streetwear

    "Ciò che ci spinge da sempre è la voglia di fare e la voglia di far crescere un progetto che da un panchina di Buccinasco ci ha portato a presentare il nostro marchio alla più grande fiera streetwear europea" - Daniele Crepaldi Brand Manager & Founder

    26 Gennaio 2016

    A raccontarla la storia di Dolly Noire ha un non-so-che di romantico: inizia su una panchina di Buccinasco con quattro ragazzi che decidono di realizzare un sogno, per trasformarsi in un’avventura internazionale che ha a che fare persino con la Divina Commedia. Sono davvero giovani, ma non perdono tempo i fondatori di Dolly Noire, brand emergente dello streetwear, che dopo essersi ormai affermato con una certa forza in Italia, punta ai mercati internazionali. Reduci dal White Trade Show di Milano e dal Bright Show di Berlino, ci raccontano la loro storia, a metà strada tra creatività, follia e tanta passione. La collezione per il prossimo Autunno-Inverno è ispirata a Dante, perché streetwear significa anche conoscere le proprie radici ed esportarle nel mondo con la forza di un marchio che ha già ben chiara la strada da seguire. Daniele Crepaldi, Brand Manager & Founder di Dolly Noire, ci racconta la storia di come davvero si possa trasformare una passione in una realtà in grado di fatturare più di mezzo milione di euro all’anno.

    Giovani, con le idee chiare e con un brand che punta già al mercato mondiale. Siete “solo” startupper?

    Dolly Noire, come nasce una startup dello streetwear
    La parola startup ultimamente viene un po’ abusata. Per noi una startup è qualcosa di embrionale che cerca inizialmente con coraggio di affacciarsi al mercato. Probabilmente eravamo una startup quando, nel luglio del 2013, abbiamo deciso di mollare tutto per dedicarci interamente alla nostra azienda, quando il nostro fatturato era inferiore ai 10.000 euro al mese e quando vivevamo con la paura che l’azienda potesse crollare in un attimo.
    A due anni di distanza avendo chiuso il 2015 con un fatturato superiore al mezzo milione di euro non ritengo più che Dolly Noire sia una startup. Siamo una piccola realtà che sta crescendo molto bene, anche a livello finanziario.

    Lo snapback è diventato il vostro simbolo, ma cosa ha contato di più nello sviluppo del business, il prodotto o il marketing?

    Dolly Noire, come nasce una startup dello streetwear Credo che marketing e prodotto debbano sempre viaggiare insieme. Puntare inizialmente sullo snapback è stata una scelta che si è rivelata vincente. Il cappellino a visiera piatta infatti è uno die prodotti più amati dal target hip hop e dagli stessi artisti rap italiani, settore musicale che negli ultimi cinque anni ha avuto un’incredibile crescita. Abbiamo da subito iniziato a regalare i nostri prodotti a questi artisti. Il cappello è un prodotto più difficile da trovare nei negozi (una persona comune nell’armadio ha 100 magliette, ma solo cinque cappellini), ma anche super visibile, proprio perché sta sulla testa, e questo ci ha fatto conoscere molto. Abbiamo iniziato dagli artisti più piccoli e dato che non abbiamo mai avuto nessun amico nel mondo del rap, il nostro prodotto ha parlato prima di noi: in due anni abbiamo messo i nostri prodotti a tutti i big del settore, da J-AX a Clementino, da Ensi a Emis Killa, da Rocco Hunt a Nitro passando per Nerone, Shade, Fred De Palma e moltissimi altri. Nell’ultimo anno oltre al prodotto Snapback abbiamo puntato in maniera molto decisa sulle grafiche: per ogni collezione scegliamo un tema e mettiamo insieme 15-20 artisti italiani e internazionali che realizzano in maniera unica e grandiosa i soggetti della collezione, che poi finiscono su T-shirt, felpe, giacche… Abbiamo poi iniziato a lavorare benissimo con i social, comunicando al meglio gli sviluppi del nostro marchio, in particolare su Facebook, canale che, con in suoi 82k like, teniamo un pò più istituzionale, e Instagram dove rappresentiamo la real life per 18.2k followers. Altra strategia che riteniamo geniale è stata quella di farci conoscere dalla strada, da quelli che abbiamo chiamato Ambassador. Ragazzi sparsi per tutta Italia che hanno la possibilità di farci conoscere tramite il passaparola.

    Gli Ambassador sono uno dei vostri punti di forza sui social. La community underground può essere considerata come un vero e proprio mercato fuori dai circuiti tradizionali?

    Dolly Noire, come nasce una startup dello streetwear
    Certo, è stato il progetto Ambassador a far innamorare di noi il nostro quinto socio, colui che quando fatturavamo zero ha deciso di puntare su di noi dandoci l’opportunità di lasciare rispettivi lavori per dedicarci alla nostra passione.
    In due anni abbiamo costruito una rete che ad oggi conta più di 400 ragazzi, sparsi per tutta Italia. Gli Ambassador sono ragazzi dai 16 ai 25 anni circa, che hanno la possibilità di avere qualche piccolo sconto sui nostri prodotti a fronte di attività di marketing sui loro profili personali dei social network.
    Ad esempio, quando Dolly Noire fa uscire un nuovo video oppure un nuovo prodotto, tutti gli Ambassador sono incentivati a condividere questi contenuti sui loro profili. Ogni ragazzo ha in media 1000 amici, se anche solo in 100 condividono il contenuto, sono 100.000 possibili impressioni in più che raggiunge quel contenuto. A costo zero da parte nostra.
    Gli Ambassador poi portano con sé diverse passioni, ed ecco che spesso queste passioni vengono messe a disposizione dell’azienda. Ad esempio molti sono fotografi, moviemaker, sportivi, artisti musicali, writer o designer. Cerchiamo di far crescere il loro talento e farlo crescere creando contenuti per la nostra azienda.

    Oltre all’innovazione dello streetwear, in Dolly Noire ci sono anche valori più tradizionali?

    Dolly Noire, come nasce una startup dello streetwear Sicuramente c’è il valore dell’amicizia che è la forza del team. Ci conosciamo tutti e quattro da quando andiamo all’asilo, ognuno di noi ha una mansione ben precisa ed è a capo della sua divisione: io del marketing, Federico si occupa della distribuzione, Alessandro cura l’aspetto finanziario e Gioele il design.   Secondo valore fondamentale è l’intraprendenza. Ciò che ci spinge da sempre è la voglia di fare e la voglia di far crescere un progetto che da un panchina di Buccinasco ci ha portato tre giorni fa a presentare il nostro marchio alla più grande fiera streetwear europea a Berlino.   Terzo valore che ci piace sempre ricalcare è l’italianità. Dolly Noire è un marchio italiano fatto da italiani: se in TV non si sente che parlare male del nostro paese, noi cerchiamo di portarlo in tutto il mondo con orgoglio. La collezione Autunno-Inverno 2016 che abbiamo presentato al Bright ha infatti come tema la Divina Commedia. In questi giorni è stato faticoso ma emozionante spiegare a centinaia di buyers la storia di Dante, ma siamo certi di avergli lasciato qualcosa di unico.

    L’occasione della vita, quale potrebbe essere per i ragazzi di Dolly Noire?

    Dolly Noire, come nasce una startup dello streetwear Sicuramente uno dei nostri più grandi difetti è l’inesperienza. Nessuno di noi ha genitori nel settore moda, né imprenditori. Ogni cosa nuova che facciamo è per noi qualcosa di imprevedibile, spesso sbagliamo, capiamo come affrontare la situazione e poi la facciamo bene. Una grande occasione sarebbe quindi quella di sederci a tavolino con un possibile investitore del settore, qualcuno che sappia darci qualche dritta importante e possa aiutarci a crescere ancora più velocemente.