Sui social sei un tipo impulsivo e senza filtro? Pubblichi qualsiasi tipo di contenuto senza pensarci due volte, come se non ci fosse un domani?
Da oggi c’è un motivo in più per contare fino a dieci prima di condividere pensieri, foto e video sui tuoi profili - o per rivedere le impostazioni sulla privacy - soprattutto se sei in cerca di lavoro. Fama, start-up statunitense sostenuta dall’acceleratore Amplify.LA, offre un servizio molto particolare alle aziende intenzionate ad assumere nuovi collaboratori: si tratta dell’analisi dei profili dei candidati attraverso lo screening dei loro post sui social media. L'obiettivo è attribuire un eventuale red flag - una sorta di semaforo rosso, per intenderci - in caso di contenuti inadeguati.
Fama: i social media red flag
Il CEO e co-founder di Fama, Ben Mones, è convinto che il servizio costituisca la versione professionale e avanzata di quanto finora fatto in modo "artigianale" dalle aziende stesse: i recruiter analizzano già i profili social dei candidati prima di decidere chi assumere, ma non lo fanno in modo sistematico e analitico. E soprattutto, non sempre hanno il tempo di farlo.
Il sito stesso della start-up riporta i dati di una ricerca condotta su un campione di 500 recruiter: il 93% degli intervistati dichiara di utilizzare i social media per analizzare i candidati, ma solo il 18% ammette di avere abbastanza tempo per fare un lavoro accurato e professionale.
Le aziende che si affidano a Fama possono contare invece su uno strumento che scorre e analizza in modo organico e sistematico testi, foto e video sui social, alla ricerca di contenuti indicativi o predittivi di condotte scorrette o potenzialmente imbarazzanti per l'azienda. I dati sensibili rimangono riservati, e questo fa in modo che né la start-up né i suoi clienti debbano preoccuparsi di questioni di natura legale eventualmente sollevate dai candidati.
E' importante sottolineare che lo scopo del servizio non è stilare graduatorie o liste di raccomandati, né attribuire punteggi di alcun tipo: non vengono tratte conclusioni o dati giudizi sull'opportunità o meno di assumere qualcuno, ma solo segnalati - con un red flag, appunto - i profili problematici rispetto a uno o più item. Si tratta, insomma, di delineare un quadro più dettagliato sull'affidabilità e la personalità del singolo, in modo da allertare il recruiter non ancora convinto di un candidato.
Il servizio si basa su un software che si appoggia alla piattaforma di crowdsourcing di Amazon, Meccanica Turk. Non vengono forniti particolari dettagli sul suo funzionamento né sui criteri di attribuzione dei red flag, ma è possibile effettuare una prova gratuita per analizzare un nominativo.
Stando alle percentuali fornite da Fama, l'83% dei red flag assegnati riguarda l'uso di droghe illegali, il 70% contenuti a sfondo sessuale, il 66% intolleranza/fanatismo, il 63% bestiemmie/volgarità, il 51% l'uso di armi, il 44% l'abuso di alcool.
"Quello che sei online è molto indicativo - se non uguale - a quello che sei nella tua vita offline". Così la pensa Ben Mones, e molto probabilmente anche i recruiter che si affidano a Fama.
Social recruiting e digital reputation
Alzi la mano chi non ha mai cercato su un motore di ricerca il proprio nome o quello di un’altra persona più o meno conosciuta, anche solo per la curiosità di scoprire cosa si dice - o si vede - in rete.
Trovare informazioni sul conto di qualcuno è sempre più facile, oggi, grazie all’overflow di dati che disseminiamo - consapevolmente o inconsapevolmente - nel mare magnum del web. Lo sanno molto bene anche i recruiter, che sempre più spesso si affidano a SERP e social per approfondire la conoscenza di potenziali candidati e trovare qualcosa in più rispetto a quanto dichiarato nel curriculum.
E’ innegabile che ormai da qualche anno i social media rappresentino uno strumento sempre più prezioso per le risorse umane, non solo per le aziende, ma anche per chi, in cerca di lavoro, ha visto aprirsi uno scenario in cui poter fare personal branding, accrescere la propria visibilità e trovare nuovi contatti e opportunità.
La presenza sui social può però rivelarsi un’arma a doppio taglio se non si è pienamente consapevoli e padroni della propria digital reputation. Quando si compete con decine, a volte centinaia di altri candidati, di certo non può valere la regola del "nel bene o nel male, purché se ne parli". Bisogna fare la differenza, ma non far accendere nessun campanello d’allarme. Attenzione quindi anche ai social media red flag, che possono precludere un'opportunità di lavoro importante.
E attenzione, ovviamente, anche per chi un lavoro ce l'ha già: per una foto sbagliata o un commento di troppo si può rischiare anche il posto di lavoro. E magari finire sulla lista dei "licenziati per colpa di Facebook", raccolta sul blog thefacebookfired.com.