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Adecco Italia, dieci milioni di investimento in formazione per incentivare l'employability [INTERVISTA]

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Fabio Casciabanca 

Managing Editor @Ninja

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Pubblicato il 23/07/2014

Quanti CV hai inviato in vita tua? Quante volte hai pensato di avere le qualifiche necessarie per una specifica posizione lavorativa? Bene, se nessuno ti ha chiamato per un secondo colloquio forse hai trascurato di evidenziare le tue soft skill o non sei disponibile a trasferire la tua professionalità all'estero.

Oppure la eliminazione di molte barriere formali per l'accesso al mondo del lavoro stabilite dal Job Act doveva arrivare prima.

Quello che è invece capitato a me per la prima volta, è stato poter rivolgere alcune domande a Federico Vione, AD di Adecco Italia, Europa Orientale, India e Paesi del Middle East.

Vione è classe 1972. Domanda retorica: come si può ancora considerare il modello da imitare il "bomber di turno" della squadra del cuore?

Adecco Italia investe 10 milioni di euro in formazione per rispondere al gap tra competenze e le ricerche delle aziende. C'è ancora poca specializzazione nei curricula  dei giovani italiani rispetto ai "concorrenti" europei? E per quanto riguarda le competenze digital?

Certo, noi continuativamente investiamo, e ancor di più lo faremo quest’anno, perché obiettivamente esiste questo mismatch, il mismatch che concretamente viviamo ogni giorno.

È certamente peculiare che in un paese con un tasso di disoccupazione così elevato (siamo intorno al 12,6% secondo i dati disponibili), sia ancora presente il fenomeno della difficoltà di reperire sul mercato delle professionalità specializzate. Credo che questo sia comunque un fenomeno diffuso a livello europeo, dato che se guardiamo i dati a livello comunitario, esistono circa tre milioni di opportunità di lavoro che non trovano una risposta.

Dunque esiste anche negli altri paesi e non solo in Italia questa distanza che deve in qualche modo essere colmata. Un primo fenomeno che si sta certamente generando in conseguenza è l’international mobility, ossia reclutare in paesi terzi, quindi lontano dal bacino di riferimento, per riuscire a reperire professionalità di cui le imprese hanno bisogno. E in questo noi di Adecco siamo coinvolti.

Un secondo elemento è certamente che bisogna cercare di stimolare sia gli studenti alla prima ricerca di un lavoro, sia le scuole a orientare il più possibile nella direzione del mercato del lavoro, vale a dire dei reali bisogni del mercato del lavoro. Quindi non ci sono differenze sostanziali rispetto agli altri paesi, ma si stanno generando dei fenomeni di international mobility, così come anche l’esigenza da parte delle aziende di avvicinarsi alla scuola e alle università per cercare di aumentare la specializzazione di chi entra nel mercato del lavoro.

Dal punto di vista dell’international mobility, ci si chiede poi quanto l’Italia possa essere attrattiva sul mercato internazionale rispetto a giovani talenti, che siano giovani talenti esteri o che siano giovani talenti italiani, oggi attratti da mercati diversi. Da questo punto di vista lo scorso anno abbiamo fatto una ricerca, che ha portato a evidenziare quanto l’Italia sia un paese che, sebbene abbia un sistema di istruzione che rispetto ad altri non è così indietro come noi tenderemmo a pensare, di fatto risulta essere poco competitiva in termini di attrattività.

E quindi, sia nel presente che nel futuro, questo potrebbe generare, visto il mismatch presente a livello internazionale, un aumento di “migrazione professionale”.

Il Job Act, con le norme sui contratti a tempo determinato e sull'apprendistato, in che modo si coniugherà con le attività delle Agenzie per il lavoro? Quali misure secondo lei contribuiscono ad abbassare il tasso di disoccupazione?

Il Job Act ha recepito una richiesta che noi come Adecco abbiamo fatto sul mercato già da anni e che poi abbiamo spinto in maniera forte tramite la nostra associazione di settore, Assolavoro. Ossia, se vogliamo aiutare il mercato del lavoro a semplificarsi e quindi aiutare le aziende ad assumere, si possono porre in essere delle azioni che, a costo zero per il sistema, possano eliminare quelle barriere formali che non hanno nessun tipo di vantaggio né per il lavoratore né per l’azienda, come le famose causali di utilizzo.

La causale di utilizzo è la motivazione che deve essere specificata in ogni contratto a tempo determinato di somministrazione, per la quale le aziende assumono la persona a termine invece che a tempo indeterminato, visto che in Italia il contratto a tempo indeterminato rappresenta la normalità, mentre il tempo determinato è possibile ma deve essere giustificato con delle causali. L’eliminazione di queste causali, di fatto, sta generando un aumento del numero dei contratti, proprio perché in passato aveva generato un contenzioso che scoraggiava le aziende ad assumere a tempo determinato e in somministrazione.

Questo problema oggi è eliminato e quindi certamente noi come agenzie siamo facilitate nell’offrire uno strumento contrattuale che è totalmente sicuro e inattaccabile da ogni prospettiva. Quindi questo è sicuramente un elemento che a costo zero porterà dei giovamenti. Oggi i contratti in somministrazione, in particolare nel corso 2014, stanno crescendo in maniera molto forte. Questo a dimostrare, sia da un lato che il mercato oggi è sicuramente migliore, e quindi noi ci aspettiamo di crescere prima che l’economia effettivamente realizzi la crescita, sia perché ovviamente questa semplificazione normativa aiuta.

Quali sono i profili professionali e le competenze più richieste oggi in Italia?

Ovviamente ci sono tutte quelle che sono le figure dell’ingegneria, che sono molto richieste. Facendo un’analisi sulle università più ricercate in Italia, mediamente chi si laurea in ingegneria riceve oggi oltre dieci offerte di lavoro. Quindi in effetti c’è ancora oggi da parte del mercato un’altissima richiesta di figure ingegneristiche.

In particolare, sono oggi richiesti gli esperti in nano tecnologie, i programmatori in grado di integrare applicazioni per tecnologia mobile con i vari business tool, perché le aziende ricercano strumenti che le aiutino nella gestione del cliente e nella comprensione del mercato, gli architetti del software, gli sviluppatori e gli esperti del mobile, che è ancora un mercato in esplosione. È in crescita anche un’altra categoria di professionalità, legata agli ambiti dell’efficienza energetica e della responsabilità sociale dell’azienda, quindi quei lavoratori che si occupano di come riuscire a ottimizzare il dispendio energetico dell’azienda, rendendola maggiormente sostenibile. Il comparto del luxury e del fashion, sta ancora crescendo in maniera forte.

Le aziende italiane di questo settore godono di ottima salute e di conseguenza le figure commerciali con responsabilità su aree diverse (anche geografiche) e con disponibilità agli spostamenti sono molto richieste. Nel settore chimico farmaceutico, che è sempre quello meno sottoposto agli andamenti del mercato, quindi molto più stabile, così come quello alimentare, sono richieste figure come il quality control analyst e il product specialist.

Nell’alimentare, invece, è in crescita tutto ciò che va a valorizzare il made in Italy, dato che, come tutti sappiamo, a livello planetario le nostre aziende alimentari hanno sicuramente grandissime opportunità.

Si parla spesso di CV non convenzionali, in grado di catturare l'attenzione e suscitare curiosità nei recruiter. Qual è la sua opinione in merito?

Sicuramente oggi non bisogna mai dimenticare quella che chiamiamo la social reputation, quindi l’attenzione che ogni candidato deve dedicare anche nel gestire la sua immagine sui social, perché sempre di più le aziende, oltre a soffermarsi sull’analisi del curriculum vitae, vanno oltre e riescono a comprendere molto, molto di più anche riguardo alla persona. In base alle ultime indagini che Adecco ha fatto su social recruiting e social reputation, il 70% delle aziende verifica le varie informazioni che circolano sulla persona tramite google. Quindi lo stimolo più forte che diamo è gestire la propria digital reputation, sicuramente.

Da un lato il piano europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile, dall'altro le agenzie per il lavoro. Gli sforzi per aumentare l'occupazione giovanile sono finalmente coordinati?

Il tema della Youth Guarantee, che riversa oggi nel nostro paese risorse notevoli, certamente aiuta, perché per lo meno ci si sta ponendo l’interrogativo di come affrontare il problema della disoccupazione giovanile in maniera molto proattiva, investendo per cercare di supportare i giovani all’ingresso nel mercato del lavoro. E facendolo si cominciano a sperimentare forme di politiche attive, in termini di sostanza e non di sussidi, ma piuttosto di formazione, aiuto nell’orientamento, coaching per avere immediatamente delle opportunità lavorative nei primi mesi al termine degli studi e in tutto questo le agenzie per il lavoro sono coinvolte.

La settimana scorsa sono circolate indicazioni molto chiare, secondo cui le agenzie per il lavoro devono essere coinvolte nella Youth Guarantee e ad esempio il nostro contratto di somministrazione viene ad essere considerato come una forma contrattuale assolutamente di inserimento. Questo rafforza la collaborazione pubblico-privato, che non deve essere una relazione difficile, quanto piuttosto una collaborazione in cui il pubblico deve avere una funzione di coordinamento, mantenendo la regia su quali devono essere gli sforzi e su quali devono essere i bacini sui quali dobbiamo concentrarci, ma può utilizzare, coordinandoci, anche le agenzie per il lavoro, che svolgeranno un ruolo più attivo.

Questo perché noi abbiamo chiara la conoscenza del mercato del lavoro, cioè di cosa le aziende richiedono, perché noi abbiamo in realtà la competenza di conoscere ciò che il mercato realmente richiede. Quindi deve essere necessaria una forte relazione, che sta già accadendo. E lo Youth Guarantee creerà dei meccanismi che potrebbero diventare un modus operandi che vada oltre lo stesso piano europeo. Detto questo, rimane un tema sulla disoccupazione giovanile. Oggi le aziende non ricercano, quando si rivolgono ai giovani, competenze tecniche, perché sono pronti ad investire per riuscire a offrirle, quanto piuttosto le cosiddette soft skill, cioè le attitudini che i giovani hanno nell’approccio al lavoro. Per citarne alcune, le più importanti: il saper lavorare in squadra, l’orientamento al problem solving, le attitudini di comunicazione e così via. Questi elementi sono sempre di difficile identificazione. Per questo motivo come Adecco abbiamo lanciato sul mercato quella che abbiamo chiamato Skill Licence. Si tratta in sostanza di un sistema di feedback che le aziende danno al lavoratore in maniera strutturata, tramite uno strumento online, per valutare dopo un mese di lavoro come il lavoratore è risultato essere sulle diverse dimensioni di comportamenti che ha messo in essere, per offrire un feedback al giovane stesso. Dopo un mese di lavoro noi convocheremo il lavoratore in filiale, condivideremo con lui il feedback dell’azienda e lo aiuteremo a capire dove migliorare i propri comportamenti per riuscire ad integrarsi meglio all’interno del mondo del lavoro. È necessario, quindi, innescare un meccanismo di meritocrazia, ma anche di feedback concreto nel mercato del lavoro. È chiaro che il passaggio anche per il giovane, non è solo il feedback, che è il contenuto più importante, ma anche il potersi costruire delle referenze, che con il proseguire delle esperienze possono rappresentare una certificazione sulla propria personalità.

La ringrazio Federico Vione per il tempo che ha voluto dedicarci.

E noi ringraziamo Ninja Marketing per l’attenzione.

Scritto da

Fabio Casciabanca 

Managing Editor @Ninja

Senior Digital Consultant - Managing Editor Ninja Marketing. Nomade digitale e smart-worker molto prima che diventasse mainstream, ho iniziato costruendo mondi virtuali su Se… continua

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