Abbiamo tutti sperimentato un’addiction tecnologica. Nir Eyal è un autore e consulente esperto sull’intersezione tra business, tecnologia e psicologia. Ha da poco pubblicato un libro in grado di spiegare – agli startupper ed a chi crea prodotti digital – come fabbricare motori di desidero in grado di trasformarsi in abitudini.
Hooked è un manuale che spiega quelle fasi costanti ed universali che sono dietro al successo di Farmville, Instagram, Pinterest, Twitter. Di app e siti web ai quali siamo ormai ritualmente “agganciati” nelle nostre routine quotidiane, fedeli e di ritorno più o meno consapevolmente.
Cos’è l’Hook Model
E’ una lotta affascinante quella che i prodotti digital combattono per occupare le nostre attenzioni. Nir Eyal teorizza un modello a
4 fasi – o
ganci – in grado di guidare e spiegare lo
user engagement.
L’innesco è ciò che può dare inizio ad un comportamento. Può essere esterno (come un’email, un link, un’icona di app) o interno, quando l’innesco esterno si aggancia ad emozioni o comportamenti esistenti.
L’azione vera e propria dipende da una serie di fattori come la user friendliness o la motivazione psicologica ad agire.
La
gratificazione variabile, aggiungendo la componente d’intrigo, è ciò che instilla prevedibilmente il desiderio dell’utente di riaprire un nuovo loop di comportamento. L’
investimento avviene quando l’utente mette qualcosa di sé all’interno del prodotto digitale: tempo, sforzo, capitale sociale, soldi.
Ciò che le app ed i siti di successo riescono a fare è connettere un problema delle persone con una soluzione aziendale a tal punto da
formare un’abitudine. Il che si traduce in vantaggio competitivo,
traction,
customer life cycle più duraturo. Ognuno di noi è soggetto alle abitudini – pensiamo banalmente a quali siti ed app sono ormai
irrinunciabilmente parte della nostra giornata – e Nir Eyal è stato bravo a semplificare al massimo il perché alcuni prodotti digitali ci sono riusciti
a discapito di altri.
Vitamine vs. antidolorifici
Tutti gli startupper si cimentano, prima o poi, con la domanda “Quale
pain – dolore – del mercato vado a sanare?”. In realtà, suggerisce Nir, molte startup di successo non nascono come antidolorifici:
nascono come vitamine, rispondendo a bisogni emotivi e offrendo sollievo psicologico.
Guardiamo alla storia di
Facebook, Twitter, Instagram e Pinterest. Sono tutti nati come vitamine
nice to have: non ne sentivamo il bisogno finché non sono riusciti a divenire parte della nostra vita. Quando diventano un’abitudine, la loro assenza verrebbe percepita come un dolore, un vuoto, una lacuna: un’astinenza.
L’innesco
Così come un corpo estraneo che entra in un’ostrica diventa una
perla per stratificazioni successive, anche l’abitudine ha bisogno di aggrapparsi ad un elemento esterno
per formarsi. Prendiamo l’esempio di
Instagram. Un innesco può essere
paid (come si vocifera che sia l’account di Kim Kardashian),
earned come il posizionamento in cima alle classifiche Apple;
di relazione, come una foto condivisa da un nostro amico di IG su Twitter, oppure
owned come una notifica dell’app sul nostro device.
L’obiettivo è nel tempo di non dipendere più da inneschi esterni come quelli appena menzionati, ma da
inneschi interni che sono in grado di
associare quel prodotto ad un pensiero, un’emozione o una routine pre-esistente. Quante volte apriamo Instagram o Facebook
per noia e solitudine? Pinterest per
rilassarci o Google per sanare la nostra
confusione?
Azione
Per dare inizio all’azione, compierla
dev’essere più facile che pensarla. Questa è la regola d’oro cui si aggiungono tre fattori fondamentali e compresenti in maniera equilibrata: la
motivazione ad agire,
l’abilità di agire, la visibilità dell’
innesco. Nir Eyal cita lo studioso
BJ Fogg nel ricordare che tutti gli esseri umani sono motivati dalla ricerca del
piacere/fuga dal dolore, ricerca della
speranza/fuga dalla paura, ricerca di
accettazione sociale/fuga dal rifiuto.
Ad influenzare l’abilità ci pensano
tempo, costo
monetario, sforzo
fisico, sforzo
mentale, quanto quel comportamento sia
accettato socialmente e quanto si inserisca nelle
routine esistenti. La possibilità di
loggarsi via Facebook/Twitter; l’
infinite scrolling di Tumblr e Pinterest; la
barra di completamento del proprio profilo LinkedIN sono esempi perfetti di come orientare la formazione delle abitudini.
Gratificazione variabile
Brian Knutson, professore di Stanford, ha dimostrato che ciò che spinge il nostro cervello ad agire non è la sensazione di piacere che riceviamo dalla gratificazione in sé e per sé, ma il bisogno di
alleviare la brama di quella gratificazione. Per catturare la nostra attenzione in maniera sistematica, i prodotti digitali devono essere in grado di
rompere il pattern di causa-effetto che abbiamo imparato ad aspettarci. Proprio come una slot machine e il gioco d’azzardo in generale,
è l’imprevedibilità del premio a conquistarci nel tempo.
Le gratificazioni variabili esistono in tutte le nostre routine: nel controllare la
posta districandoci tra email preziose e spam, nel leggere la
homepage di Facebook tra articoli interessanti e contenuti inutili. In tutto quel che facciamo esistono tre tipologie di gratificazione:
tribali (abbastanza intuitive), di
caccia (derivate dal bisogno di cercare risorse ed informazioni) e del
se’ (si pensi al mitologico status del nirvana chiamato Inbox 0, a Klout o a Quora).
Investimento
Prima che gli utenti possano formare le associazioni mentali che attivino comportamenti in automatico, resta l’ultimo step del ciclo:
investire nel prodotto. E’ una sensazione che chi ha appena finito di montare con successo un prodotto IKEA conosce bene. Si tende a
dare più valore a ciò che si è costruito personalmente.
Sicuramente molti prodotti, tra cui i social network, godono di esternalità positive – per cui spesso per
evitare la dissonanza cognitiva del non amare qualcosa che agli altri invece piace molto ha lentamente ed inesorabilmente cambiato la nostra percezione di privacy e dei social media. Infine, è più probabile che un individuo sia
coerente con i suoi comportamenti passati. Queste tre tendenze influenzano i nostri comportamenti futuri.
L’esempio perfetto di
user investment avviene con
Farmville: un gioco virtuale fatto da amici reali, dove investendo pochi soldi alla volta nel proprio orticello è possibile competere con più soddisfazione e vincere. E continuare a farlo, reinforzando i comportamenti preesistenti. Eppure su questi piccoli spiccioli
aggregati si è costruito un business gigantesco – arenatosi per la sua incapacità di sostenere a lungo termine
la gratificazione variabile.
Il tempo speso a curare la propria lista di follower e following su
Twitter ci ha reso
hooked e poco volenterosi di switchare ad un competitor (App.net). E’ nella fase di investimento che le tecnologie abitudinarie usano il comportamento degli utenti per iniziare a caricare il prossimo innesco. Come fa
Snapchat implicitamente attraverso l’autodistruzione delle immagini inviate, innescando un botta e risposta potenzialmente infinito.