Una ricerca pubblicata di recente sulla rivista PNAS e pubblicata dalla Cambridge Universty, mostra come le pagine, i post e personaggi pubblici che ci piacciono su Facebook possono rivelare informazioni sorprendentemente accurate circa la nostra vita privata: opinioni politiche, religiose, quoziente intellettivo e persino l'orientamento sessuale.
Tutto questo (e molto di più) può essere dedotto dall'analisi automatizzata dei nostri "like", che quasi tutti lasciamo liberi e senza restrizioni di sorta.
L'analisi, che ha riguardato l'attività digitale di oltre 58.000 utenti di Facebook volontari, ha utilizzato i "like" come una sorta di "impronta digitale" - simile alla cronologia di un pc - attraverso un'applicazione Facebook realizzata ad hoc: "myPersonality".
L'applicazione ha raccolto i "mi piace" degli utenti, successivamente inseriti in algoritmi e verificati con le informazioni dei profili e sulla base di test di personalità svolti in precedenza.
In questo modo è stato possibile creare dei modelli statistici in grado di comprendere le caratteristiche salienti di un individuo solo sulla base dei suoi "like": nel 95% dei casi i modelli hanno saputo distinguere le differenze di razza e nell'85% dei casi le differenti ideologie politiche (tra repubblicani e democratici). Nell'82%, invece, la differenza tra religione cristiana e musulmana, così come ottima precisione si è notata sull'eventuale esistenza di una relazione sentimentale o di un problema di dipendenza da droghe.
Ma non solo: da quest'analisi sono stati determinati modelli (con precisione quasi al 60%) relativi a dettagli apparentemente minori (come l'eventuale condizione di separazione dei genitori di un soggetto), ma che risultano essere notevolmente appetibili invece dagli inserzionisti.
E se infatti c'è già chi si lecca i baffi per l'enorme potenziale in termini di marketing personalizzato che potrebbe sorgere da questi modelli statistici predittivi, sono gli stessi ricercatori a mettere in guardia gli utenti sul solito, vecchio, problema di Facebook: la privacy.
Essi sostengono, infatti, che molti consumatori online potrebbero arrivare a seri problemi di "sovraesposizione digitale", rischiando di vedersi derubati di informazioni sensibili e private per scopi puramente commerciali.
E se può quindi farci sorridere sapere che le persone a cui piace "nuotare" sono complessivamente soddisfatte della loro vita a differenza di quelle a cui piace l'"iPod", è bene ricordarsi che la "prudenza digitale" non è mai troppa.