La settimana scorsa abbiamo continuato l'analisi del ruolo del Community Manager: mettendo al centro il caso di Repubblica XL nel post "La Repubblica XL, quando il community manager mette a rischio il valore del brand" abbiamo potuto constatare come in un'efficace strategia di social media marketing un dialogo che rispetti a 360° i principi della Netiquette sia assolutamente necessario, per evitare di trasformare una comunicazione che per sua natura è bidirezionale in una "dittatura del leader", dove la parte del leone la recitano community manager affetti da manie di protagonismo che li rendono agli occhi degli user arroganti e prepotenti.
Nella social sfera come nella vita quotidiana, però, il dialogo ha due componenti: una principale (il brand, o come scopriremo in questo post, il VIP di turno) e una complementare e indispensabile, cioè la miriade di user che si connettono ad essa: una voce, questa seconda componente, che si autodetermina e performa su sé stessa, proprio perché formata da interazioni secondarie.
Sia esso Twitter o Facebook, l'equilibrio fra voce principale e complementare è il modo migliore per rendere l'ambiente social funzionale a veicolare qualsiasi messaggio - e quindi ad agevolare l'engagement verso un brand o un prodotto.
Ma quest'equilibrio può rompersi a causa degli utenti e non per colpa di un community manager o un VIP troppo pieno di sé?
Abbiamo assistito a sfoghi di celebrità su Facebook (ricordate il post "Fabio Volo molla Facebook. Siete contenti? E soprattutto perché?") mentre su Twitter, come ci segnala anche il Corriere.it, da qualche settimana si assiste anche a una tendenza particolare, la chiusura degli account da parte di personaggi del mondo dello spettacolo (uno dei casi più eclatanti è stato Fiorello).
L'ultimo 'fattaccio' in ordine di tempo, qualche giorno fa, è stato il noto stilista Roberto Cavalli, dileggiato per aver twittato in un inglese "personalizzato" e per questo autore di una risposta un po' piccata. Ecco qualche screenshot del fattaccio:
Qualche utente, letto il post, non può non commentare con tono divertito, citando Totò a Milano. E ovviamente, la risposta di Roberto Cavalli non si fa attendere:
Risposta che si fa più articolata e che si chiude con gli utenti "colpevoli" bannati dalla lista dello stilista italiano.
Interessante notare come, dopo il caso di #BoldiCapra portato agli onori delle cronache da @Vendommerda, si stiano moltiplicando i casi in cui personaggi noti del mondo dello spettacolo vengano "pizzicati" a rispondere, talvolta in maniera piccata e offensiva, a critiche di utenti che li seguono.
Quello su cui ci vogliamo interrogare, però, è se effettivamente sia sempre colpa loro: non è che certe volte followers di Twitter e fan su Facebook passano il segno?
Abbiamo sbirciato su Wikipedia, per leggere cosa sia effettivamente la Netiquette, e un passaggio ci ha colpito particolarmente:
"Il mancato rispetto della netiquette comporta una generale disapprovazione da parte degli altri utenti della Rete, solitamente seguita da un isolamento del soggetto "maleducato" e talvolta dalla richiesta di sospensione di alcuni servizi utilizzati per compiere atti contrari a essa (di solito l'e-mail e Usenet). In casi di gravi e recidive violazioni l'utente trasgressore è punibile col ban."
Ecco: la generale disapprovazione da parte degli utenti è uno dei segnali che è stata infranta l'etichetta che vige in Rete. Talvolta, però, come nei casi di manifestazioni degenerate in tafferugli, la "folla" tende a disapprovare ciò che socialmente è considerato inappropriato anche quando a prima vista non ci sarebbe giustificazione a una reazione simile. Prendiamo il caso degli utenti di Facebook sbarcati su Twitter (ricordate l'hashtag #tornatesufacebook? Ne avevamo parlato nel post “Tornate su Facebook”: i Twitteri italiani sono diventati snob?): può nascere la disapprovazione dal pregiudizio?
La cosa capita quotidianamente a Massimo Boldi, magari deciso nelle posizioni (e, come nel caso di #BoldiCapra, poco attento ai contenuti postati) ma il più delle volte attaccato su Twitter semplicemente per i suoi film.
Non si può pretendere che la social sfera diventi il paradiso del politically correct, e forse un pizzico di sale non guasta: ma è altrettanto vero che luoghi come Facebook e Twitter rimangono affascinanti perché ogni contenuto prodotto ha la stessa importanza sia se prodotto da un VIP, che da un brand, o da un semplice utente che offre un contributo interessante. Spingere al massimo il grado di critica rischia di trasformare le piazze virtuali in luoghi dove la caciara è l'abitudine.
Nella definizione di User Generated Content che si può leggere sempre su Wikipedia compare un'espressione: democratizzazione dei contenuti. Ecco,crediamo che i social network siano importanti perché rendono possibile l'amplificazione della voce di chi normalmente voce non ha, ossia la gente comune: attenzione al filo sottile che svilisce questa loro natura.