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La campagna elettorale di Obama, emblema della politica 2.0 [CASE STUDY]

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Arianna Rossi 

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Pubblicato il 23/02/2011

La politica 2.0 è una grandissima sfida. Non è facile appropriarsi dei mezzi comunicativi tipici del Web, proprio perché non ce ne si può mai appropriare del tutto.

C’è sempre una forte componente di rischio, e in Internet qualcosa che va storto può amplificarsi sino ad ottenere risultati devastanti: impossibile controllarne l’infinita estensione, anche solo una parola detta nel contesto sbagliato può trasformarsi in un micidiale boomerang.

La forza aggregativa della Rete però è immensa, unica la capacità di raggiungere e colpire le persone, unendole sotto un unico obiettivo. Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione tecnologica e culturale, in un punto di rottura: difficile capirlo e saperlo interpretare, ma molto più difficile cavalcarlo, soprattutto in politica, un ambito ancora legato ai dettami tradizionali, alle dinastie, alle caste, a regole spesso non scritte ma ben note e imperanti.

Chi ci riesce, fa la differenza.

Lo ha fatto Kennedy, in passato, con la sua capacità di sfruttare i canali mediatici dell’epoca -nella fattispecie le novità portate dalla televisione- divenendo la prima vera popstar della politica. E lo ha fatto ai giorni nostri Obama, con la sua campagna elettorale, un esempio impressionante di capacità comunicativa e mediatica, con l’indubbia fortuna di trovarsi ad essere l’uomo giusto al momento giusto.

Come nasce una campagna 2.0: il caso di Barack Obama

Chi sia Barack Hussein Obama lo sappiamo tutti, e dobbiamo saperlo per comprenderne la vera forza: perché questo figlio di un politico Keniota con 4 mogli e di un’antropologa del Kansas, non sarebbe il ciclone travolgente che è diventato senza questa storia tanto complessa, senza le lotte interiori, con le sue origini, con il colore della sua pelle, con l’idea di un padre che ha visto soltanto una volta e non ha mai conosciuto davvero.

Obama ha una vera vocazione autobiografica: I Sogni di mio padre, L’audacia della speranza, sono libri sorprendentemente intimi per essere scritti da un politico.

Ma non esiste vero potere senza una narrazione che riesca ad aggregare consensi, ideali, valori intorno ad essa. Obama si serve della cosiddetta politica biografica: il programma politico di Obama è Obama stesso, ma Barack è anche l’American Dream, lo incarna perfettamente, gli calza addosso come un vestito su misura. Giovane, dinamico, legato alla famiglia e alla patria e per di più cattolico.

Egli è riuscito a comunicare il messaggio giusto, CHANGE, cambiamento, ad essere coerente, mantenendo quel messaggio per tutta la durata della campagna, e a creare una partecipazione vera, sentita, concreta e dal basso, mobilitando milioni di persone, riportando una speranza dopo la pessima amministrazione Bush.

Di intuizioni geniali Obama ne ha avute diverse: si è rivolto, da outsider della dinastia politica americana, ai baby miliardari di Silicon Valley, alla New Economy che ha sposato la sua causa, vedendo in lui una start up sulla quale puntare. Ha idee, talento e capacità di leadership, tutte le credenziali giuste per piacere.

Il senatore dell'Illinois è un formidabile oratore, figlio dei grandi predicatori neri alla Marthin Luther King, ma ha il limite di apparire troppo freddo e distante dalle folle, in imbarazzo se si tratta di avere contatti fisici. Il suo consulente per la comunicazione dal 2004 è David Axelrod, un pubblicitario che utilizza le tecniche tipiche del suo mestiere. Axelrod ha limato questi aspetti, il linguaggio forbito del candidato e la tendenza ad essere prolisso, e gli ha confezionato un messaggio indifferenziato, breve, incisivo, da ripetere ossessivamente per raggiungere il maggior numero di pubblici possibili, e voilà! Yes, We Can: uno slogan, un credo, un’emozione.

Il brand Obama è servito. E riesce perfettamente ad entrare in connessione con i suoi pubblici, in ogni parte del globo.  Sul Web è ovunque,nei maggiori Social Network, da Facebook a Twitter, passando per My Space e LinkedIn.  Potete verificare voi stessi visitando il suo sito istituzionale, BarackObama.Com, dove sono elencate tutte le pagine del Presidente ;); non può mancare una pagina personale su YouTube, dove il suo inno, Yes We Can, è stato il fenomeno virale del 2008: quasi 22 milioni di visualizzazioni in tutto il mondo, parodie, rifacimenti.

***

Conoscono in questo modo la fama anche i fan di Obama più intraprendenti, si ricordi il caso di Obama Girl e le sue dichiarazioni d’amore pubbliche (Crush on Obama) che fecero scalpore finendo anche sui media più tradizionali.

Per sfruttare a pieno il potenziale social del Web Barack si è rivolto  a Chris Hughes, proprio il co-fondatore del più famoso Social Network, Facebook.  Nasce così MyBarackObama.com (notare la chicca dell’aggettivo possessivo: il Mio Barack), una piattaforma che è stata alla base di tutta la sua campagna per le primarie contro Hillary Clinton, e nella corsa contro il senatore McCain. A onor di cronaca, bisogna dire che se i repubblicani non si sono azzardati ad avventurarsi nei meandri del Web, Hillary ha provato ad utilizzarlo per parlare con i propri elettori, ma i suoi caminetti virtuali furono un flop colossale: si scoprì che le domande fatte erano filtrate, e se c’è una cosa che i frequentatori della Rete odiano è essere imbavagliati.

MyBarackObama non è il solito sito istituzionale, tutt’altro: è il luogo dove i sostenitori, oltre a seguire il candidato, si incontrano, prima virtualmente e poi nel mondo reale, con migliaia di iniziative. Si conoscono, si auto-organizzano, sono volontari a tutti gli effetti e vogliono portare alta la bandiera del loro candidato. Si trova davvero di tutto, dai cosiddetti Millennials figli del nostro tempo agli ex sessantottini, ed ognuno di loro investe ciò che può. Il BBBQ (Barack Biggest Barbecue), il volantinaggio, le raccolte fondi…è questa la vera rivoluzione, non solo aver fatto incontrare le persone più diverse, ma essere riuscito a trascinare gli Obamaniacs fuori dai canali mediatici, dai tubi catodici, dalle connessioni web, per impegnarli in una serrata campagna door to door. Il risultato è sorprendente: circa 700 milioni di dollari reperiti per la sua campagna, e la maggior parte da piccoli contribuenti. 200.000 gli eventi creati sulla Rete, 15 milioni di amici su FB, 1 miliardo (!!) di minuti video realizzati dai sostenitori. Niente più lobbies, PAC (political action committee) e obblighi da rispettare con i grandi donatori. Il resto, è storia.

L’entusiasmo oggi ha lasciato spazio ai problemi di tutti i giorni, e gli effetti di una campagna di comunicazione, seppur tanto travolgente, non sono eterni. La crisi economica, l'avanzata della Cindia, le perplessità dei populisti e molti altri fattori stanno mettendo in forte difficoltà il Presidente americano, ma il suo è un caso esemplare che va senz’altro studiato, capito ed assimilato. Un caso da manuale di cui per ora non si intravedono possibili repliche, almeno in Italia, dove purtroppo non c'è ancora una personalità simile all’orizzonte.

Proveremo a fare questo e molto altro al corso di specializzazione in Politica 2.0 di Ninja Academy, perchè come diceva il buon Walt Disney: "L'unico modo per iniziare a fare qualcosa è smettere di parlare e iniziare a fare".

Scritto da

Arianna Rossi 

Emiliana DOC: nata a Bologna nel 1986 e cresciuta nella metafisica città di Ferrara, tra nebbia e biciclette, Arianna si appassiona presto alle Pubbliche Relazioni e al Marke… continua

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