In un’epoca di convergenza mediale e di riflessioni teoriche sul web 2.0, nuovi meccanismi e nuove forme di socializzazione sono state oggetto d’esame da parte di sociologi, economisti e non solo. Riflessioni che hanno interessato l’intero panorama di forme in cui la socialità, quotidianamente, si esplica. In questo contesto non sono da meno – e neanche esentate – le Imprese, le quali sono sempre più costrette a relazionarsi con un universo del tutto innovativo rispetto al vecchio modo di procedere. Ne consegue, dunque, ora più che mai, che i nuovi consumatori postmoderni hanno mutato radicalmente il proprio modo di acquistare e non solo; la cosa significativa è che essi hanno cambiato il proprio modo di relazionarsi con ciò che acquistano ed, inoltre, hanno mutato anche la propria identità in quanto genere.
Il loro potere è nella conoscenza e nella capacità di padroneggiare un mezzo come internet, che costantemente gli permette di esplicare questa loro nuova capacità d’interazione e attivismo con il mondo dei brand. Le imprese in tutto questo si sono mosse con estremo ritardo credendo – erroneamente – di poter trascurare, non indagando, questo nuovo tipo di consumatore; convinti di poter procedere secondo logiche e forme comunicative oramai quasi del tutto superate se non addirittura obsolete, soltanto adesso si sono resi conto che hanno bisogno di curare i propri clienti/consumatori con maggiore rispetto.
Il nuovo consumatore è un individuo che conferisce allo stesso atto di acquistare un’implicazione che va al di là del mero atto di scambio: il suo è un atto simbolico carico d’implicazioni psichiche nelle quali spesso ridefinisce, se non addirittura definisce ex-novo, la propria identità. Non siamo, certo, giunti all’utopia marxista d’impadronirsi dei mezzi di produzione ma certamente chi si affaccia sul mercato, attualmente, non può certo trascurare il potere che hanno raggiunto i consumatori; termine, inoltre, oramai obsoleto che ha lasciato il posto ad un più significativo concetto di “prosumer”, ovvero, la capacità di un utente di creare contenuti autonomamente. La prima tesi, appunto, del Cluetrain manifesto è che i mercati sono delle conversazioni. Tesi che coglie appieno il senso di questo mutamento riconoscendo ai consumatori il loro diritto di partecipazione nel processo di produzione dei beni di consumo.
Ed è proprio su queste basi che s’inserisce l’analisi condotta da Brandz sull’importanza dei consumatori digitali, dandone anche una prima definizione: “qualcuno che abbia comprato o cercato quella categoria online”; dove per categoria s’intendono quelle relative ai prodotti.
Il profilo dei consumatori digitali è poi definito come per lo più di sesso maschile, giovani, benestanti, creativi e a cui piace ricevere costantemente nuovi stimoli. Soggetti, dunque, innovatori, altresì definiti come trasmissori, ovvero, persone che hanno vaste conoscenze su una determinata categoria e conversano molto; inoltre, sono generalmente dediti alla ricerca di informazioni sui brand e sono particolarmente attenti al brand advertising.
La ricerca condotta nel 2008 si è incentrata sulla comparazione tra la relazione con i brand dei consumatori digitali rispetto a quelli non digitali; questo ha fatto sì che si evidenziassero delle relazioni più forti del 15% con i brand. Successivamente questo dato viene spiegato con il fatto che i consumatori digitali, a differenza di quelli offline, non hanno delle preferenza diverse in termini di brand. Essi intrattengono delle relazioni molto più profonde e forti, ovvero, hanno una maggiore conoscenza, apprezzandoli ulteriormente. Ad esempio, per quanto riguarda le compagnie aeree la relazione è del 93% maggiore rispetto ai normali consumatori, ciò viene spiegato, dagli autori dell’inchiesta, come una naturale conseguenza di un mercato – quello delle compagnie aeree – ridefinito in maniera sostanziale da brand che hanno il loro business soprattutto tramite la rete ( ad esempio EasyJet). Tuttavia questo non è solo un caso sporadico e unico riferibile solo alle compagnie aeree, anzi nonostante tutto anche in altre categorie dove l’acquisto online non è ancora possibile si riscontra, comunque, un incremento della relazione con i consumatori; ad esempio: nella categoria dei carburanti per motori i ricercatori hanno riscontrato un incremento del 5%.
Tale incremento viene ulteriormente argomentato come la capacità dei consumatori digitali di aumentare la propria conoscenza del brand grazie, soprattutto, alla ricerca e agli acquisti che effettuano in rete. Procedendo ulteriormente nella disamina di questa nuova forma di consumatori, i ricercatori di Brandz analizzano anche le possibili differenze regionali; in particolare, il dato significativo che viene alla luce è che, nonostante tutto, la relazione si mantiene costante. Questo è spiegato dal fatto che tale dato non segue per forza in maniera proporzionale la differente penetrazione di internet. Basti pensare all’esempio tra Canada ed India, i quali nonostante una differenza notevole in termini di penetrazione di Internet, di contro, non hanno differenze significative per quanto riguarda le relazioni con il brand.
In conclusione, quindi, le implicazioni per i brand manager sono sostanzialmente due. La prima è la possibilità di comparare dati come la spesa in pubblicità online e la visibilità; ciò può essere d’aiuto nel comprendere se ci sono possibilità di intercettare nuovi consumatori digitali. In secondo luogo una forte relazione digitale permette anche una buona targhetizzazione del mercato. Questa ricerca rappresenta, quindi, la presa di coscienza da parte delle imprese dell’empowerment del consumatore digitale.