Come ogni settore, quello dei Social Media sta affrontando una serie di problemi che, per adesso, non sono ancora stati risolti, se non in minima parte. È importante riconoscere sfide e punti deboli, in modo da poterli superare. Dai dati in nostro possesso non c’e nessun motivo per credere che i Social Media scompariranno, tutt’altro. Questo andamento è reso più che evidente dal tasso di adozione della generazione Y.
Ma vediamo più da vicino gli aspetti principali.
Attuale Scarsa Profittabilità.
Il mondo dei social media, mondo in cui ognuno può entrare e contribuire, ha portato rendite nulle o scarse alla maggior parte dei partecipanti. Ad esempio, ci sono milioni di bloggers e solo pochi di essi possono effettivamente vantare rendite cospicue: soltanto una parte ancora più piccola ha costruito dei veri e propri imperi mediatici. Lasciando per un attimo da parte gli utilizzatori stessi, molte aziende si concentrano sulla generazione di hits, visite, o numero dei registrati, preoccupandosi poi di trovare il modo migliore di monetizzare questi numeri. Date uno sguardo ai Social Networks, alcuni sono stati valutati cifre da capogiro, e ciò nonostante non abbiamo ancora sentito storie in cui siano stati fatti soldi a palate. I profitti sono rari e la maggior parte dei creators (coloro che creano attivamente contributi) non genererà alcun profitto.
L’innovazione è spinta dai finanziamenti – non dalle rendite.
Al tempo stesso problema e opportunità, gli investitori (VCs) continuano a immettere soldi in questo mondo, spesso finanziando dubbi modelli di business, o tecnologie appena nate. In settori più maturi, è piuttosto improbabile che si assista a finanziamenti di questo genere, spesso perché l’innovazione viene spinta proprio dal buon andamento delle rendite. Con così tante aziende che vengono finanziate senza produrre effettivi profitti, il mercato si ritrova esposto a una serie di varianti dello stesso problema.
Scarse barriere in entrata generano una competizione spietata.
Quando il software diventa una commodity c’è sempre da preoccuparsi, e quando ciò avviene nel giro di poco vengono ad esserci così tanti fornitori che il mercato ne resta confuso e incapace di determinare il partner adatto. I molti concorrenti rischiano inoltre di finire col mangiarsi i margini a vicenda. Prendete ad esempio l’affollato settore delle piattaforme per community (aka white label social networking), è un settore che conta oltre 100 fornitori – tutti che propongono software molto simile
L’eccesso di rumore occulta il segnale.
Essendo tutti in grado di creare dei contenuti e condividere i dettagli della propria vita personale con attenta minuzia, l’eccesso di contenuti diventa un problema da considerare. Ogni 60 secondi, vengono caricate 13 ore di filmati in YouTube(riferisce un dipendente), e ogni giorno vengono generati milioni di tweets. Con così tanti contenuti, come è possibile filtrare ciò che è veramente importante?
L’amatorialità minaccia la professionalità.
Strizzando l’occhio alla critica che Andrew Keen muove al fatto che ci siano molti amatori che creano contenuti poco professionali (quando non addirittura sbagliati) e li diffondono poi massivamente, va detto che questo crea notevoli preoccupazioni a chi questi contenuti, poi, li fruisce. Il problema, certo, non sta tanto nella qualità dei contenuti, ma nella capacità di distinguere velocemente ciò che e’ importante e ciò che non lo è.
Le aziende entrano senza tenere in considerazione le community.
Ovunque la gente vada le aziende la seguono; ma mentre alcune lo fanno in modo intelligente e saggio, molte altre adottano approcci differenti. Ad esempio, il “pay for post”, un certo tipo di ottimizzazione per i social media, la presenza di contenuti spazzatura su blog e social networks, ed altre dubbie operazioni di marketing, sono e continueranno ad essere una sfida ogni volta che si viene a creare una community (aggiornato grazie a Jennifer)
Dirottamento dell’immagine corporate e personale.
Sta diventando sempre più comune. L’immagine di marche e individui può facilmente essere oggetto di dirottamento. Ciò avviene quando altri si appropriano dei loro username e domini, e si spacciano per chi non sono. Dato che ci sono centinaia, se non migliaia di siti web da controllare, liberarsene diventerà sempre più difficile con l’andar del tempo.
La mancanza di standard genera esperienze discordanti.
Seppure la cosa vada meglio rispetto ad altri settori, l’open web si muove ancora lentamente verso standard comuni di login, social graph, e tipi di contenuto. Persino protocolli come l’OpenSocial di Google che erano stati progettati per riunire attività e applicazioni provenienti dai vari social network, in maniera trasversale, stanno stentando. Ogni contenitore (social network) richiede delle modifiche per adattarsi alle varie piattaforme, mentre altri (come Facebook) non partecipano affatto.
Il cambiamento culturale causa delle resistenze.
Senza dubbio questo movimento di auto-pubblicazione e messa in contatto, rappresenta una rottura che riguarda tanto il mercato quanto i media, interviene sul ciclo di acquisto, e sul marketing funnel. Barriere di vecchia data si stanno sgretolando nel passaggio da metodi di “controllo e comando” ad un più aperto e collaborativo stile di business e di comunicazione personale. Con questi cambiamenti radicali in atto, arriva la resistenza da parte di coloro che precedentemente detenevano il potere (media, management, aziende e governi) che sono lenti ad adottare queste nuove logiche – e quindi si oppongono.
Individuare la vera expertise è difficile.
In settori più maturi, gli andamenti sono definiti da anni, a volte addirittura decenni di dati relativi ai risultati. In questo nuovo settore, è spesso difficile capire quali sono i veri esperti e quelli che hanno veramente condotto interventi sostanziali nell’ambito dei social media. La maggior parte dei dati a disposizione va indietro solo di qualche anno, e sono pochi quelli che possono dimostrare un effettivo ritorno dell’investimento.
La difficoltà nel misurare il ROI.
Nonostante i molti tentativi di misurare “l’engagement” o “ROI” non c’e ancora uno standard del settore in grado di render conto dei risultai ottenuti nei social media, sia per quanto attiene l’immagine personale sia quella corporate. Mentre molti hanno sviluppato una loro abilità nel misurare le proprie attività in modo ad-hoc, non è ancora stato realizzato un modello rapido ed efficace che tutto il settore possa usare per le proprie misurazioni.
Traduzione dell’articolo: "The Many Challenges of the Social Media Industry" by Jeremiah Owyang.
Il testo è stato tradotto e curato da Marco Bandini, via Planning-Affected Toughts.