Il ritardo italiano nel product placement è evidente, ma il potenziale è elevato, dal momento che si tratta di un'opportunità da cogliere assolutamente sia per superare il problema dell'affollamento pubblicitario sia per raggiungere efficacemente gli spettatori, le cui abitudini sono sempre più modificate da strumenti tecnologici come i Personal Video Recorder.
Inoltre il product placement è uno strumento per “fare branding”, un esercizio di grande risultato per la costruzione della marca, e, cosa ancora più importante, è una pratica che non disturba perché un mondo senza marchi non è un mondo reale...
Questi sono alcuni dei motivi sulla cui base, nel secondo convegno sul product placement tenutosi a Milano lo scorso 12 ottobre, si è affermata la necessità di un coinvolgimento reciproco tra cinema e brand sempre crescente, con opportunità legate a tutto il sistema, comprendendo anche la promozione e gli eventi.
Di seguito vi allego un articolo relativo al convegno di Milano pubblicato da Silvia Antonini su DailyMedia.it.
Gli operatori sul product placement: alto potenziale ma mercato ancora troppo piccolo
(articolo di Silvia Antonini)
C’è ancora parecchia strada da percorrere prima di riuscire a trasformare il cinema italiano in un’industria competitiva. Mancano le risorse economiche, e gli investimenti pubblicitari, secondo l’Upa, nel 2005 raggiungeranno gli 82 milioni di euro circa, più o meno quanto l’anno scorso. E adesso ci si mette anche la finanziaria 2005 e i tagli al Fus.
In questo contesto ci aveva provato il legislatore a dare una mano in minima parte: nel 2004, con la legge Urbani sul cinema, il mondo dei 35 millimetri incontra quello dei marchi pubblicitari. La pratica di inserire brand in un film si chiama product placement e in Usa è un mercato molto fiorente, che quest’anno è cresciuto del 15% circa rispetto al 2004. Ma in Italia questa resta un’opportunità in buona parte sulla carta, dato che i decreti attuativi sono vecchi di pochi mesi e i volumi non ancora abbastanza significativi. Eppure, il potenziale è alto, soprattutto oggi che attraverso i videoregistratori selettivi è possibile registrare programmi tv eliminando la pubblicità.
Di tutto questo si è parlato a Milano nella seconda puntata del convegno “Product placement: cinema e brand si incontrano”, organizzato da la Repubblica e Cinecittà Holding. Una ricerca condotta da Astra Demoskopea, su un campione di spettatori italiani che al cinema hanno visto due pellicole di produzione non Usa, ha evidenziato che il 50% ha notato i marchi inseriti nella storia, mentre complessivamente la reazione alla presenza evidente di prodotti ne ha disturbato, a diversi livelli, solo il 16%.
Va detto che, nonostante in generale l’atteggiamento degli spettatori sia tollerante, la propensione all’acquisto non ne risulta particolarmente sollecitata. L’utilizzo del product placement solleva alcune problematiche che, in primo luogo, riguardano i contenuti artistici del film.
Si tratta di scegliere, come ha sottolineato il critico de la Repubblica Roberto Nepoti, tra un inserimento coerente con la storia e uno del tutto avulso.
Cosa è meglio? Per Mark Workman, ceo della First Fireworks, agenzia che si occupa di product placement per marchi come Visa o Mercedes, la strategia del placement, come nel caso di un film di grande successo come “Pretty Woman” di cui però non si ricordano gli sponsor, è stata ampiamente superata da quella dell’integrazione tra prodotto e personaggio, vista molto bene in “Man in black” con gli occhiali da sole.
Il futuro, ormai alle porte, è quello del branded entertainment, progetti di comunicazione che presuppongono una perfetta coincidenza tra marchio, film e campagne pubblicitarie a sostegno del prodotto. Il film “National Treasure” con Nicholas Cage, sponsorizzato da Visa, al botteghino ha guadagnato350 milioni di euro, e per la carta di credito ha generato un incremento delle vendite del 15,7%.
L’Italia resta poco competitiva rispetto a Hollywood anche perché non esiste un vero star system, i nostri attori non hanno lo stesso potere di identificazione dei divi americani. Tutto ciò limita la possibilità di sviluppare un adeguato merchandising che, invece, rappresenta una parte importante dei profitti. Inoltre, la pubblicità è più interessata ai volti televisivi.
Una felice eccezione, sul fronte delle aziende, è rappresentata dalla pasta Garofalo, che ha deciso di investire sul cinema il 100% del proprio budget in comunicazione, tra product placement e campagne pubblicitarie al cinema. Nel 2006 il marchio sarà presente in ben quattro pellicole, tre realizzate in collaborazione con Cattleya e la quarta insieme alla Colorado Film, dal titolo “La cura del gorilla”, con Stefania Rocca e Claudio Bisio.
Alla gestione di un progetto di product placement devono concorrere anche strutture di consulenza, come la milanese Camelot, i centri media, le stesse case di produzione. Nel caso del film “L’uomo perfetto” di Luca Lucini, la presenza di Coca Cola è stata assicurata dall’azione congiunta di Starcom e Cattleya. Con l’azienda sono state concordate le scene di inserimento senza intervenire sulle modalità.