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  • Cosa fanno oggi le banche di investimento per le imprese (anche in Italia)

    Dai vecchi ai nuovi player, ecco chi permette alle imprese di crescere oggi

    21 Marzo 2019

    Senza di lui molte aziende di valore rimarrebbero ferme al palo, incapaci di scalare, espandersi, fare exit o quotarsi in Borsa. L’investment banking gioca un ruolo decisivo nella vita delle imprese, in Europa, come nel resto nel mondo. Il clima nel quale lavorano le principali investment bank del Vecchio Continente non è dei migliori: gli effetti ancora presenti della crisi del 2008, la concorrenza sempre più forte delle banche americane, ne minano la crescita. Eppure, malgrado questi “freni”, le banche di investimento europee non hanno perso la capacità di fiutare grandi affari e di aprire “vere autostrade” per le imprese. Ma facciamo un passo indietro: cosa fa esattamente una investment bank? Riassumendo, sono due le attività principali che svolge:

    • l’emissione, la sottoscrizione e il collocamento di titoli sul mercato primario;
    • la consulenza in operazioni di fusione, scissione, incorporazione, acquisizione o ristrutturazioni societarie.
    Per capire il fenomeno, partiamo dai numeri. I dati, forniti dallo “investment banking scorecard”, pubblicato dal Wall Street Journal, ci parlano di un comparto capace di generare 19 miliardi di revenue solo in Europa, con un incremento del 4% rispetto al 2017. Tra tutte le attività di cui si compone il settore, a dominare sono le operazioni di merger & acquisition, che hanno avuto un valore superiore al miliardo di dollari, con una crescita importante del +36%.

    Investment banking in Europa: le vecchie glorie

    Chi domina l’investment banking europeo? Sono due i player storici: parliamo di Barclays e Deutsche Bank, tra le prime banche di investimento al mondo. A loro si affiancano nuovi player, come Banca Mediolanum, che mettono in campo nuove energie e iniziative (come Elite Mediolanum Longue). Partiamo dalle vecchie glorie. Forbes ha messo a confronto le ambizioni e anche i “grattacapi” di Jes Staley e Christian Sewing, CEO rispettivamente di Barclays e Deutsche Bank. Entrambi, da quando hanno preso in mano il timone delle due banche storiche, hanno virato sulle attività di investment banking, con l’ambizione di competere con i giganti americani di Wall Street, come Goldman Sachs, che guida la classifica mondiale dell’investment banking (7,37 miliardi di revenue per la sua divisione, secondo i dati raccolti da Investopedia). In una recente intervista, Staley ha svelato i piani del gruppo, affermando la sua volontà di competere con le banche statunitensi. Staley ricorda una delle operazioni più importanti realizzate dal suo gruppo, proprio nel mercato USA: la banca è stata advisor di CVS, la più grande catena di farmacie negli Stati Uniti, nell’acquisizione di Aetna, per 69 miliardi: “A supporto dell’operazione, abbiamo sottoscritto uno dei più grandi finanziamenti corporate nella storia degli Stati Uniti, fornendo 20 miliardi di dollari a CVS. Solo Barclays, JP Morgan e Goldman Sachs, sono state in grado, ad oggi, di sottoscrivere un finanziamento di tali dimensioni”, ha dichiarato Staley. Nella stessa intervista, parla anche di alcuni dei nodi che deve sciogliere nel presente e nel futuro della banca, un colosso che gestisce asset per 1,33 miliardi di sterline ed è presente in 40 Paesi del mondo. Nello specifico, Staley cita la spinosa questione del post Brexit, che ha costretto la banca a trasferire molte sue “branch” sotto la loro controllata di Dublino, e l’ingresso di un nuovo azionista, come Sherborne, che ha acquistato il 5,2% del capitale della banca e pare meno favorevole a spingere sulle attività di CIB, acronimo di Corporate e Investment Banking. Scelte importanti e pochissima possibilità di fare errori, attendono anche Christian Sewing, CEO di Deutsche Bank, altro colosso con utili netti di 341 milioni di euro, nel 2018. Convinto assertore anche lui delle ragioni dell’investment banking, ha tuttavia dovuto modificare parte delle sue posizioni, riducendo le operazioni nel comparto (soprattutto verso il mercato asiatico e quello americano) per contenere le perdite che la banca ha affrontato negli ultimi anni: la Deutsche Bank è tornata in utile nel 2018, dopo quattro anni di risultati deludenti. I tagli hanno di fatto diminuito l’esposizione alla leva finanziaria della banca d’investimento di 100 miliardi di euro, ovvero il 10%: «Manteniamo il nostro impegno nei confronti della nostra Corporate & Investment Bank e della nostra presenza internazionale: ne siamo fermamente convinti», ha dichiarato Sewing in una nota. Dal futuro della banca, dipenderà l’intero comportato dell’investment banking europeo. Lo scenario di una fusione con la Commerzbank (di cui si vocifera da tempo), potrebbe portare la banca a competere di nuovo con i giganti di Wall Street.

    I nuovi player: Banca Mediolanum

    L’investment banking è un settore effervescente, pieno di colpi di scena e spazio per nuove iniziative. Come, per esempio, l’accordo sottoscritto tra Elite, (piattaforma internazionale del London Stock Exchange per le aziende ad alto potenziale di crescita), e Banca Mediolanum. Dalla partnership è nata Elite Mediolanum Longue. Di cosa si tratta? L’accordo si configura come una collaborazione nuova tra Elite e un partner del mondo bancario. Longue ha lo scopo di supportare le aziende in tutte le fasi del loro sviluppo, soprattutto nell’accesso ai capitali, sul mercato pubblico e privato: “Il lancio della prima ELITE Banca Mediolanum Lounge rappresenta un ulteriore importante passo sul percorso di crescita e innovazione che l’azienda da sempre persegue come obiettivo prioritario e che nel corso degli ultimi anni ci ha permesso sempre più di costruire e consolidare il rapporto fiduciario con i clienti imprenditori e dunque con le loro piccole e medie imprese”, ha dichiarato Massimo Doris, CEO di Banca Mediolanum, in occasione della presentazione del programma. L’accordo con Banca Mediolanum consente a 21 nuove società italiane di entrare nel programma Elite che, con queste nuove “aziende in pancia”, ha superato quota 1.100 imprese. Elite può contare oggi su società che provengono da 40 Paesi e che hanno ricavi aggregati di oltre 82 miliardi di euro, dando lavoro a poco meno di 500mila persone. “Siamo sempre stati convinti – continua Doris – che il nostro tessuto imprenditoriale rappresenti un patrimonio imprescindibile per un sistema paese produttivo, competitivo, orientato al futuro e pronto a cogliere le sfide internazionali che lo aspettano, e che per farlo con successo occorra un più agevole accesso a strumenti di finanziamento alternativi a quello del credito bancario”. Le 21 società italiane sono rappresentative di 12 settori diversi: dall’entertainment alla moda, dal tech all’industria, fino al food. Provengono da 8 diverse regioni italiane e presentano un fatturato aggregato di 1,3 miliardi di Euro, per un totale di 6.000 dipendenti. Questo contenuto è stato realizzato con il supporto di Banca Mediolanum

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