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  • Le crisi di Gucci, Prada e gli altri luxury brand: quando i social dettano le regole alla creatività

    Da Dolce&Gabbana a Gucci passando per Prada e Burberry: il mondo dei social media per i luxury brand è diventato un campo minato dove ogni passo falso porta a gravi conseguenze (e a un post con scuse pubbliche)

    5 Marzo 2019

    Avete notato il circolo vizioso (o forse è meglio chiamarla “maledizione”) che ultimamente affligge i brand di lusso sui social? Si tratta di un complicato processo comunicativo costruito attraverso messaggi ambigui, i quali vengono interpretati dal pubblico social spesso in chiave negativa, scatenando così un vero e proprio colpo di frusta mediatico. Sono molti i casi di backlash dal mondo social sin dai suoi albori. Brand che esagerano con le allusioni sessuali e i doppi sensi e quelli che sfruttano luoghi comuni sessisti o razzisti non sono nuovi agli utenti di internet, ma il processo causa/effetto non sembra essere lo stesso per ogni brand: apparentemente, più è alto il livello di reputazione (come per i luxury brand), più il contraccolpo può essere pesante.

    Come il caso Dolce&Gabbana ha dato il via a una nuova era social

    Potremmo quasi definirlo come la “Seconda Repubblica dei social“, il periodo iniziato da pochi mesi per i luxury brand; un clima di tensione scatenato senza dubbio dalla più grande social crisis della storia della moda: il caso Dolce&Gabbana. LEGGI ANCHE: Dolce & Gabbana si scusa dopo le accuse di razzismo per i post comparsi su Instagram Ricordate il climax mediatico? Video di cattivo gusto, commenti negativi, diffusione degli screenshot di Stefano Gabbana, indignazione generale, reazione iperbolica degli utenti cinesi, chiusura dello show programmato a Shanghai, scuse pubbliche da parte del brand. I due designer, oltre a presentare pubbliche scuse scritte su Instagram, hanno scelto di metterci la faccia e mostrarsi al pubblico in un video molto discutibile che avrebbe potuto essere evitato. Nonostante ciò Dolce&Gabbana rimane vittima di uno shaming mediatico di portata impressionante che causerà non pochi danni non solo all’immagine social ma anche alla brand reputation a livello globale.

    Prada, Gucci e Burberry: il nuovo iter social per evitare il backlash

    Da questi avvenimenti i brand non hanno di certo imparato definitivamente a comunicare in maniera impeccabile e inoffensiva, eppure ciò che hanno capito bene è l’iter da seguire per evitare una caduta libera senza ritorno. Il segreto (oltre quello di evitare di scrivere cattiverie gratuite durante una delicata fase di problem solving) è quello di arrendersi subito all’evidenza: quando un post o un’intera campagna inizia a generare un malcontento generale, la macchina mediatica deve spegnersi prima che i motori si surriscaldino. Arrendersi in tempo significa cancellare ciò che ha turbato l’opinione pubblica e quindi minor rischio di schianto: più breve è il tempo di esistenza di un post “offensivo” più sarà veloce il processo di ripristino della normalità.  È successo a Prada lo scorso dicembre e a Gucci poche settimane fa, ed entrambe i brand se la sono cavata relativamente bene.
    Nello specifico, entrambe le Maison hanno ricevuto l’accusa di aver pubblicizzato prodotti che richiamassero al black facePrada è finita nella polemica con la releas,e per la linea Pradamalia, di un portachiavi a forma di scimmietta con grandi labbra rosse che ricorda le caricature degli afro americani fatte dai bianchi che si tingevano la faccia di nero e mettevano in risalto le labbra con il rosso. Prontamente Prada ha ritirato dal commercio l’accessorio da 550$ e pubblicato un comunicato di scuse. Sembra assurdo che appena un mese dopo lo scivolone di Prada sia ricaduta nella stessa trappola anche la Maison Gucci, che mette in vendita un maglione che richiama, anch’esso, il black face imaginary. Il modello, nero e aderente, presenta la caratteristica di un collo molto alto fin sotto il naso che mostra un cut-out sulla bocca contornato di rosso. LEGGI ANCHE: Cosa possiamo imparare dalla social crisis di Gucci per il maglione “blackface” Stesso iter di Prada: articolo eliminato dalla vendita, pubbliche scuse, e il gioco è fatto prima che il terrore si diffonda. Il next step di Gucci? Diventare proattivo per scavalcare ancor meglio le accuse di razzismo grazie a una serie di interessanti iniziative. L’azienda, guidata dal CEO Marco Bizzarri, annuncia l’apertura di una posizione come Direttore globale e regionale per la diversità e l’inclusività, l’avvio di uno scholarship program di Multicultural Design, un Awareness Program e un Exchange Program multiculturale.

    Burberry come Gucci

    Anche Burberry ha peccato di poca sensibilità, e stavolta non c’entra il razzismo ma un’argomento forse ancora più delicato: il suicidio. La causa è stato un accessorio di troppo durante la sfilata alla London Fashion Week, dove nell’ultima collezione del direttore creativo Riccardo Tisci è comparsa una felpa con una coulisse intorno al cappuccio sui generis: un vero e proprio cappio, ridimensionato, intorno al collo della modella.
     
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    @burberry @riccardotisci17 Suicide is not fashion. It is not glamorous nor edgy and since this show is dedicated to the youth expressing their voice, here I go. Riccardo Tisci and everyone at Burberry it is beyond me how you could let a look resembling a noose hanging from a neck out on the runway. How could anyone overlook this and think it would be okay to do this especially in a line dedicated to young girls and youth. The impressionable youth. Not to mention the rising suicide rates world wide. Let’s not forget about the horrifying history of lynching either. There are hundreds of ways to tie a rope and they chose to tie it like a noose completely ignoring the fact that it was hanging around a neck. A massive brand like Burberry who is typically considered commercial and classy should not have overlooked such an obvious resemblance. I left my fitting extremely triggered after seeing this look (even though I did not wear it myself). Feeling as though I was right back where I was when I was going through an experience with suicide in my family. Also to add in they briefly hung one from the ceiling (trying to figure out the knot) and were laughing about it in the dressing room. I had asked to speak to someone about it but the only thing I was told to do was to write a letter. I had a brief conversation with someone but all that it entailed was “it’s fashion. Nobody cares about what’s going on in your personal life so just keep it to yourself” well I’m sorry but this is an issue bigger than myself. A look so ignorantly put together and a situation so poorly handled. I am ashamed to have been apart of the show. #burberry.

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    A rompere il silenzio dopo la sfilata è stata la modella Liz Kennedy con un post Instagram diventato presto virale: l’accusa è chiaramente quella di aver peccato di mancanza di sensibilità e incoscienza mettendo in bella vista intorno al collo un chiaro simbolo legato al suicidio. Dopo pochi giorni sono arrivate le scuse (social) di Tisci e del brand.
     
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    I’d like to express myself following my recent show. First of all, I‘m deeply sorry to anyone whose feelings I unintentionally have hurt. I am a man of my principles and I take my responsibilities seriously. I am committed to learn from this so that this never happens again. Those who know me well or who know my work will understand that any references I have used in my collections have never been driven by negativity. This is not at my core. I take inspirations from life as I love it, in all of its beautiful forms. This collection was born from a very positive place. Throughout my life I have always fought for diversity, for sexuality, for people of colour, for women’s rights, for all genders, and for inclusivity. And I consider myself a world citizen and I’ve been raised in a loving family who taught me how to love and respect everyone around me. I listen, I learn, I improve and I believe in the power of love.

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    These steps include: 1. Increasing our understanding We will strengthen our understanding of and sensitivity to a range of perspectives to help us live the values we hold and be truly inclusive. We will: . • Introduce additional training for all employees, including senior management • Establish employee councils focused on diversity and inclusion • Assemble an advisory board of external experts 2. Diversifying the pipeline of talent We will evolve our pipeline of talent to ensure we better reflect the world we live in and build a more diverse talent base for the future. We will: . • Strengthen goals to ensure diverse representation in our employee base • Expand our creative arts scholarship internationally to support students from diverse backgrounds and provide full-time employment for 50 graduates from the programme over the next five years • Extend internationally Burberry Inspire, our in-school arts and culture programme designed to help young people overcome challenging circumstances and see future opportunity in the creative industries 3. Championing those who help others We will add to our support of organisations promoting diversity and inclusion and providing assistance to people in crisis, including the Samaritans, who offer a safe, confidential place to which people can turn

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    Anche Burberry, come Gucci, sceglie uno step in più dopo quello delle scuse pubbliche: dimostrare gli obiettivi di CSR ed HR scegliendo di implementare gli aiuti alle organizzazioni “che promuovono diversità e inclusività e che provvedono all’assistenza di persone in difficoltà, compresi i Samaritani, i quali offrono un ricovero sicuro e discreto a chiunque”. Stando all’ultimo aggiornamento del The Guardian, i Samaritani avrebbero confermato di essere stati contattati da Burberry ma che nessun accordo è stato ancora preso con il brand.

    Bastano le scuse per evitare una social crisis?

    Visto così schematizzato, questo iter di figuracce e scuse sembra concludersi quasi sempre con un lieto fine. Fatta eccezione per Dolce&Gabbana che ancora porta i segni, online e offline, di un duro colpo mediatico, per gli altri brand che hanno più o meno imparato la lezione, il sistema sembra quasi essersi standardizzato. È interessante osservare come questa serie di scivoloni vengano “recuperati” così velocemente da addirittura bloccare in tempo un nefasto tam tam che conduce al baratro. A questo punto ci chiediamo: è la moda a prendersi troppe libertà espressive oppure è il pubblico social a puntualizzare sempre tutto (forse troppo?) interpretando come minaccioso anche ciò che vorrebbe invece essere semplicemente “estetica”? La risposta non è così semplice. Di sicuro, per sopravvivenza e per il bene della propria reputazione, i brand stanno pian piano imparando a conoscere i rischi legati a una comunicazione sbagliata. Il terreno social è molto fertile ma sa essere alle volte anche assai impervio.

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