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  • C’è un movimento globale che insegna alle donne come difendersi dall’odio sul web

    Scopriamo Women Warriors, un insieme di associazioni che in tutto il mondo sono impegnate contro la misoginia online

    17 Ottobre 2018

    Siamo sempre iperconnessi, questo lo sappiamo, considerando che metà della popolazione globale salpa, ogni giorno, dal porto della vita reale per tuffarsi a capofitto nel mare di Internet, navigando tra pagine e pagine alla scoperta di nuove avventure nel profondo Web. Ma bisogna tener d’occhio la propria rotta perché si nascondono piccoli mostri con la lingua biforcuta e senza un briciolo di pietà tra i meandri dei social. donna1 Nel nostro immaginario Internet è una sorta di terra fantastica, un luogo dove poter conoscere cose nuove, fare ricerche e soddisfare la nostra curiosità, una sorta di ponte per essere connessi col mondo, e con la nascita dei social media, si è consolidata la possibilità di parlare ovunque e con chiunque, insomma esserci sempre. Possiamo esattamente dire quando tutto questo si è trasformato in un posto così pieno di odio? Quando questa rivoluzione è diventata una vera e propria persecuzione? Negli ultimi dieci anni abbiamo amato e odiato il web e chi ne ha fatto le spese sono state spesso le donne.

    Le associazioni contro la misoginia online

    Credits: Mashable
    Sono migliaia le donne umiliate, offese e ridicolizzate su Internet, a partire dall’adolescente fino ad arrivare alla donna in carriera. Ma cosa alimenta questo odio? Spesso sono gli ex di queste donne ad essere la fonte di tanto odio nei loro confronti; si comincia con qualche minaccia e poi si passa ai fatti. “Una mattina ti svegli per iniziare la tua giornata e tutto cambia”, racconta Emma Holten, una ragazza vittima di uno ‘scherzo’ da parte del suo ex. Emma era una ragazza come tutte le altre e amava il suo corpo, ma quando, quel maledetto giorno, non riuscì più ad accedere ai propri profili social, quando capì che la sua mail era stata hackerata. Non aveva idea dell’enorme macigno che stava per abbattersi su di lei. donna2 I suoi occhi erano pieni di lacrime e pieni dei suoi scatti privati: era nuda, nuda nel corpo, vulnerabile, nuda nell’anima. Cominciarono a piovere insulti di tutti i tipi, e più i giorni passavano, più il dolore cresceva e più odiava il suo corpo, l’oggetto di quelle immagini. Già, oggetto è la parola chiave di tutta questa storia e di quella delle altre ragazze. Come uscire allora da questa situazione, da dove prendere la forza per andare avanti e ricominciare? La risposta non è semplice, probabilmente l’unica cosa sensata può sembrare quella di nascondersi e aspettare che tutto passi, prima o poi la gente dimenticherà, ma chi non dimentica è la vittima. LEGGI ANCHE: Social Network e revenge porn: qual è il punto della situazione? Il revenge porn è qualcosa di atroce: è il proprio corpo sotto accusa, ma non per qualche atteggiamento provocatorio. Nelle foto incriminate la persona non è consenziente, non è consapevole della posa, dello scatto, di niente. Cosa ha deciso di fare Emma? Ha alzato la testa. Ha ripreso il controllo della sua vita. Ha cominciato a creare nuovi contenuti per modificare l’algoritmo di Google, ha smesso di essere offline ed è tornata online, così tutte le notizie su di lei potessero essere sostituite da notizie create da lei. Ha assunto un fotografo per un nuovo set di foto, stavolta alle sue condizioni, sempre nuda, ma dove potesse essere soggetto consenziente di quegli scatti, e non oggetto. donna3 Ha scritto un’obiezione in cui ha spiegato l’umiliazione subita, il suo stato d’animo e tutto il lavoro fatto per riappropriarsi della sua immagine di donna. Ha collaborato con il Guardian per realizzare un video, raccontando tutto il suo calvario. Emma ha ripreso il suo spazio, le era stata strappata la sua identità, la sua privacy. Ha sofferto, è vero, ma ha lottato. Ci sono così anche tante altre storie, come quella di Katelyn Bowden, sempre la stessa dinamica e anche lei non si è rassegnata, ma ha fondato BADASS , un gruppo di sopravvissuti che combattono contro l’uso non consensuale di immagini private per poi inviare un avvertimento a tutti i troll che si nascondono dietro l’anonimato. Il gruppo si infiltra nei forum di revenge porn, distorcendo le conversazioni. Insegna alle donne come utilizzare la ricerca inversa delle immagini per trovare la fonte originale delle loro foto ed inviare delle notifiche di rimozione, basandosi anche sulle ultime leggi create appositamente per arginare questo fenomeno. BADASS ha anche spinto, senza successo purtroppo, i legislatori statali dell’Ohio per introdurre una legge che bandisca l’uso non consensuale di foto private.
    by Badass Twitter

    Oltre il Web: un’occhiata alla TV

    BADASS ha scoraggiato dozzine di troll, rimosso centinaia di foto e ha dalla sua parte migliaia di donne. Ma le molestie online continuano, in particolare tra gli adolescenti. Per loro, l’obiettivo finale non è la gratificazione sessuale. È l’eccitazione di poter schiacciare le vittime con un clic, come se non fossero nulla. Nel Regno Unito fece scalpore il caso di Love Island ,  uno show di incontri dove furono prese di mira molte concorrenti, tra cui Zara McDermott: i suoi scatti privati erano ovunque. “Quando avevo 13 o 14 anni, sono diventata vittima di revenge porn per la prima volta. Ora è la seconda volta che mi succede “, affermò McDermott. “Allora i miei amici mi incolpavano, la scuola mi incolpava ma non ero io a sbagliare”. Anche in questo caso, la colpa era di un ex, ma lei non ha mai intrapreso nessuna battaglia contro di lui, sperando piuttosto in un suo pentimento. Troppo buona o troppa paura?
    Credits: Mashable

    Come combattere il problema?

    Come si fa a cambiare un aspetto così radicato e disgustoso della nostra società? Il Regno Unito è attualmente impegnato nella revisione di una guida per l’educazione sessuale nelle scuole secondarie. Per quanto riguarda le leggi relative all’uso non consensuale delle immagini, i risultati sono contrastanti. Sono stati fatti passi da gigante con la nuova legislazione introdotta nel Regno Unito, Israele, Giappone, Canada, Australia, Nuova Zelanda e 40 stati in America . Nel Regno Unito la divulgazione di immagini private non autorizzate è reato criminale (ma non sessuale), ma molte vittime preferiscono non proseguire la denuncia perchè non vogliono essere associate per sempre alla vicenda che le ha travolte. Secondo i dati rivelati dalla BBC, su 7.806 incidenti, 2.813 accuse non sono state perseguite dalle vittime. provacy Negli Stati Uniti, un recente voto su una proposta di legge che criminalizza l’uso non consensuale di immagini private è stato posticipato nello stato di New York, bloccando in modo efficace i progressi ottenuti e posticipare il tutto nel 2019. Carrie Goldberg , avvocato specializzato in diritti digitali e molestie online, dice che il ritardo è stato causato da un intervento da parte di Google e da Internet Association.  L’Internet Association, parlando per conto di Google, sostiene che “la società sta lavorando per impedire a queste persone di usare le loro piattaforme per queste oscenità, continuando a lavorare con i legislatori impegnati a risolvere il problema. ” Per Goldberg, il problema è che la grande tecnologia svolge un ruolo importante e sta ignorando pubblicamente il problema, esacerbando la sua diffusione. Facebook ha proposto una soluzione, un servizio attraverso cui le persone possono inviargli delle loro foto che dovrebbero essere sottoposte a hash. metro Hashing significa aggiungere un’impronta digitale nascosta a immagini sessualmente esplicite in modo che ogni volta che qualcuno tenta di ricaricare il file, Facebook viene avvisato e può ritirarlo. Un portavoce del social network afferma: “Il nostro punto di vista è che nessuno, non importa il genere o l’identità di genere, dovrebbe avere a sperimentare questo tipo di abuso” Questi provvedimenti sono pochi, la situazione è grave ma purtroppo ci sono molte donne in altre parti del mondo, che sono messe peggio. In America Latina, Africa orientale e occidentale, Sud-est asiatico, le donne sono lasciate a se stesse, senza alcun supporto legale o educativo. LEGGI ANCHE: Week in Social: dall’addio a Google+ ai video più lunghi di 15 secondi su Instagram

    L’esercito aumenta: siamo tutte women warriors

    Mirare alla sessualità delle donne è una tattica politica di grande successo per zittirle e screditare la loro immagine, dice Lulú Barrera , un’attivista femminista a Città del Messico e fondatrice di Luchadoras . Le conseguenze possono essere incredibilmente severe: dall’odio virale alle campagne di mobbing fino alla violenza che si traduce nel mondo reale. In un rapporto inviato al Relatore speciale delle Nazioni Unite, Luchadoras ha documentato tre casi di personaggi pubblici femminili, due giornalisti e un politico, che hanno subito gravi violenze dopo aver parlato online contro la misoginia. Una delle donne è stata costretta a scappare dal Messico. d5 Barrera dice che gli attacchi seguono uno schema in cui i media perpetuano la colpa delle vittime seguite da successive ondate di odio online. Luchadoras, che si traduce come “donne guerriere”, è un’organizzazione che usa la tecnologia per lottare per l’uguaglianza di genere. “Non dovremmo dire alle donne di smettere. Dovremmo mostrare alle donne come farlo in modo più sicuro. Dovremmo porre l’attenzione sui perpetratori di odio”.  Aggiunge che le donne dovrebbero camuffare alcuni segni della propria identità, nascondendo cicatrici, tatuaggi e disattivare la geolocalizzazione delle foto. Luchadoras organizza workshop che assistono le donne che non sono mai state online prima, attraverso la familiarizzare con cellulari, social media, software open source, cercando di avere un atteggiamento più creativo e proattivo nei confronti della tecnologia. È fondamentale assistere le donne che non hanno mai avuto un approccio diretto con internet e la tecnologia. revenge porn Maryam Ado Haruna che lavora con il Centro per le tecnologie dell’informazione e lo sviluppo (CITAD), afferma che il problema è della famiglia che nega l’accesso ad internet alle proprie figlie e ovviamente anche dei mariti contrariati dalla possibilità che le proprie mogli possano essere online, facendone anche una questione religiosa. Inoltre, la metà delle vittime degli abusi online sono più vulnerabili perché non hanno alcuna conoscenza dei dispositivi che utilizzano per accedere ad internet. Molte donne vedono il web come qualcosa di nuovo, qualcosa che possa portarle alla vita reale, per non essere costantemente legate al luogo in cui la famiglia, ma soprattutto gli uomini, le hanno relegate. Una via di fuga che, a causa dell’inesperienza, può tramutarsi nelle peggiore galera. “Tutti gli strumenti tecnologici che cercano di rendere Internet più sicuro sono pensati per l’Occidente. Ma le maggiori minacce a donne e ragazze sono in realtà nei paesi in via di sviluppo come il mio”, afferma Nighat Dad, avvocato pakistano, attivista per i diritti delle donne e fondatrice della Digital Rights Foundation, l’associazione creata nel 2012 che insegna alle donne come esprimersi liberamente e in sicurezza su Internet. LEGGI ANCHE: Cosa c’è dietro il cyberbullismo (e come stanare gli haters) Uno dei servizi più importanti è la linea di assistenza per le molestie informatiche. È la prima linea di assistenza riservata alle vittime di abusi online in Pakistan. Concede alle donne gli strumenti necessari di cui hanno bisogno per affrontare gli attacchi online, offrendo consulenza a coloro che non dispongono delle competenze tecniche o che hanno bisogno di qualcuno con cui parlare. In Pakistan sono 44 milioni le persone online, il 22% della sua popolazione. Le donne ne rappresentano solo un quinto. Inoltre la libertà di mostrasi in rete è davvero minima, anche solo la testa coperta, può essere usata come arma contro di lei. Può creare disonore in famiglia. Una minima libertà digitale può avere ripercussioni molto serie. Questo è quello che è successo a Qandeel Baloch, una star dei social media in Pakistan drogata e strangolata dal fratello. La causa? Disonore. Prima che venisse uccisa, i suoi familiari hanno iniziato a ricevere delle minacce e dei suoi scatti “provocanti” hanno iniziato a circolare in rete, diventando virali. u1 Sui social difendeva le donne e spesso diceva: “In quanto donne, dobbiamo alzarci in piedi per difendere noi stesse. Dobbiamo difenderci a vicenda. Dobbiamo difendere la giustizia”. Ma potremmo citarne ancora e ancora, come Saba Eitizaz che ha affrontato la stessa situazione della Baloch, riuscendo a salvarsi grazie all’intervento di Nighat Dad che sottolinea a gran voce: “È passato il tempo in cui i colpevoli rimangono impuniti”. La maggior parte delle vicende di revenge porn vedono come oggetto la donna, ma a volte capita anche agli uomini di essere scherniti, umiliati. Spesso addirittura sono altre donne ad agire in questo modo sconsiderato, ad essere mosse dall’odio verso colleghe, amiche, amanti. Il problema è così diffuso da aver generato un paradosso, quello di non essere più considerato importante. Quante persone hanno subito e quante altre saranno delle vittime? Perché stiamo riversando così tanto rancore, tanta frustrazione in rete? Rovinare la reputazione di qualcuno può provocarci una simile goduria? Infangare, screditare e alla fine schiacciare qualcuno, è davvero così gratificante?