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  • Fare l’influencer può essere davvero un lavoro? Risponde l’esperto

    Brand inesperti e furbetti, aspiranti influencer, follower raggirati. Il racconto di un fenomeno che fa gola a tanti attraverso l'analisi di un caso recente

    9 Ottobre 2018

    Questa è la storia di una giovane ragazza che da piccola tronista si trasforma in influencer navigata per poi vedere il suo impero sgretolarsi come un castello di sabbia. No, non siamo impazziti, oggi vogliamo raccontarvi sul serio una storia, ed è la storia di tutti quelli che l’Influencer Marketing non lo hanno proprio capito. Come protagonisti abbiamo brand inesperti, aspiranti influencer, follower raggirati e poi ci siamo noi, spettatori di questo “show”. La vera domanda a cui rispondere nella storia di Sara Affi Fella è “cosa saremmo disposti a fare per un pugno di follower?”. Ma andiamo con ordine. LEGGI ANCHE: Facebook sempre più simile a Instagram, punta sull’Influencer Marketing e testa la visualizzazione griglia

    La vicenda

    È di qualche settimana fa la notizia che una partecipante ad un noto programma televisivo, abbia “svenduto” famiglia, fidanzato, redazione, per una manciata di like (in realtà quasi 1 milione)! Sara Affi Fella, questo il nome della ragazza al centro dello scandalo, si è vista, in poco più di un’ora, diminuire alla velocità con cui erano arrivati, i propri follower su Instagram. Da 1 milione, che è la soglia minima per entrare nel fantastico mondo dorato degli Influencer che contano, giù in picchiata verso il profondo abisso dei poco più di 125.000 follower. Ma non è tutto: non sono mancati insulti, offese e minacce che rasentano il cyberbullismo. Ma questo è un altro triste capitolo. Influencer Marketing

    Alcune considerazioni

    Una situazione che ha dell’assurdo ma più frequente di quanto si possa immaginare e soprattutto un case study che impone una riflessione su come e dove ci stia portando la voglia di apparire, l’idea (sbagliata) del guadagno super facile e la gratificazione di avere milioni di persone che seguono la nostra vita. “È l’Influencer Marketing, bellezza!” direbbe qualcuno. E mentre ci ritroviamo a constatare che la corsa al follower sta diventando una vera e propria professione (se fatta bene), siamo di fronte a uno dei primi veri casi di Unfollower Marketing con conseguenze disastrose sulla reputazione digitale. Ma prima di chiarirci le idee su cosa l’Influencer Marketing dovrebbe essere e cosa no fissiamo alcuni punti da cui partire:
    • I 5 settori in cui l’Influencer Marketing è più utilizzato dai brand sono: Fashion&Accessori, Beauty&Cosmetica, Food&Beverage, Automotive e Viaggi.
    • Alcuni brand come Fitvia e HelloBody utilizzano esclusivamente i micro influencer di Instagram per promuoversi sul web.
    • A Maggio di quest’anno l’Unione Nazionale Consumatori denuncia l’azienda Fitvia, i principali influencer e lo stesso Instagram per la natura fuorviante dei contenuti proposti.
    • Molti influencer (o che si definiscono tali) non spingono realmente all’azione ma fungono solo da vetrina di prodotto.
    • Il personal branding sui social se non è solidamente basato su un rapporto di trasparenza e fiducia diventa prima o poi un’arma a doppio taglio (come in questo caso)
    • Un influencer serio sa che quando decidi di usare i social devi consapevolmente renderti conto che stai instaurando un rapporto di fiducia diretto con le persone.
    • Promuovere in modo esplicito un prodotto o un brand ed essere pagati per farlo vuol dire essere testimonial non influencer
    • Quando crei uno scandalo o cadi in fallo solo per racimolare qualche follower in più il brand che ti ha “ingaggiato” è il primo a dissociarsi e a scappare a gambe levate (come in questo caso!).
    LEGGI ANCHE: Davvero la vita di un influencer è migliore? influencerInfluencerInfluencer                       Di follower sul fuoco ne abbiamo fin troppi, cerchiamo di fare chiarezza. Cosa si nasconde veramente dietro il fantastico e patinato mondo degli Influencer? Lo abbiamo chiesto a chi di questo se ne intende veramente. Matteo Pogliani, esperto di Influencer Marketing.

    Che cos’è (davvero) l’Influencer Marketing

    Ciao Matteo! Una domanda secca: fare l’influencer è una professione? «Per certi versi sì, ma suona comunque male. Essere Influencer significa avere raggiunto una forte posizione all’interno di un network, guadagnando autorevolezza e credibilità. Se il nostro percorso online punta in questa direzione riusciremo ad avere forte impatto sugli utenti che ci seguono e quindi è molto probabile che ne deriveranno occasioni per monetizzare, siano esse collaborazioni, corsi o altro. Ma non possiamo partire immediatamente con l’idea di farne un lavoro. Quello arriverà con il tempo e sulla base del valore che gli utenti ci riconosceranno». Marketing Influencer Numeri alla mano, cosa si nasconde veramente dietro il fantastico mondo dei social influencer? «Partiamo subito col chiarire che di fantastico, realmente, c’è molto meno di quello che la gente pensi. Secondo uno studio dell’Università di Offenburg, accanto ai casi di successo in Germania c’è il 97% degli YouTuber che non riesce a superare i 10mila Euro all’anno. Il 2%, che produce numeri non certo banali (almeno 1,4 milioni di visite al mese), tocca a malapena attorno ai 16,8 mila Dollari. I numeri importanti li fa il restante 1%: con visualizzazioni mensili tra i 2 e i 42 milioni. Un trend che stando a Bloomberg tende anno dopo anno ad accentuarsi. Altro tema è quello dei numeri “gonfiati”: esistono come dimostrato più volte scorciatoie per guadagnare velocemente seguito e persino engagement. Ma non è tutto nero: esistono molti esempi di influencer di livello che sono riusciti a creare forte autorevolezza e ad avere una fanbase ampia e fidelizzata. Da qui nascono molte campagne interessanti anche per i brand». LEGGI ANCHE: 5 modi efficaci per collaborare con gli Influencer (e far crescere il tuo brand)

    Influencer si nasce o si diventa?

    Ci sono personaggi noti e meno noti, provenienti da programmi tv e non, che farebbero carte false per affermarsi su Instagram. Perché? É tutto riconducibile al guadagno rapido e con il minimo impegno? «L’Influencer Marketing vive un momento particolare, una sorta di bolla che porta tutti a volerne far parte, spesso forzandone limiti e confini. Una situazione che spinge molti brand a voler fare campagne a tutti i costi, senza avere nella maggior parte dei casi le competenze e le necessità per farlo. Un approccio che favorisce l’attività di molti pseudo influencer, personaggi che offrono una alta fanbase e qualche migliaio di like, ma che non generano poi un reale impatto a favore del marchio con cui collaborano». Influencer «In questo senso Instagram diventa uno strumento “mordi e fuggi”, in cui monetizzare rapidamente e con scarso impegno (avete visto al qualità di quei post?), senza però una concretezza dei risultati. Ed è proprio questa mancanza che prima o poi farà scoppiare la bolla e “ripulirà” un po’ l’empasse creatasi. Essere Influencer non significa essere visibili e riconoscibili, ma riferimento concreto». Il numero di follower oggi è veramente più importante di un titolo di studio per i giovani della Z Generation? «Se si vuole vivere nella bolla di cui abbiamo parlato forse sì, ma è rischioso e spesso inutile. Lo abbiamo detto, non è tutto oro ciò che luccica. Tanti like non fanno sempre rima con guadagno, o anche quando lo fanno potrebbe essere soltanto un periodo.Ovvio è che da giovani è più facile valutare possibili scorciatoie e l’immagine che viene fatta passare di questo mondo, spesso “artefatta” e ingigantita, incentiva questa loro volontà del “tutto e subito”». «Ma poi bastano pochi mesi di attività per scontrarsi con la realtà: acquisire una posizione di riferimento in un network è difficilissimo, così come lo è portare avanti un progetto online. Si nasconde, se ben fatto, molto più lavoro di quanto i giovani possano pensare. Persino pubblicare un video su YouTube porta con sé tanto impegno. Sia chiaro, non c’è nulla di male a lavorare su Instagram e YouTube a un proprio progetto, sperando magari che possa raggiungere buoni numeri, ma è dura pensare di farne la nostra prima opzione». Non pensi che questa ricerca spasmodica del like e del follower ci stia un po’ sfuggendo di mano? «Assolutamente sì. Ma è colpa dell’atmosfera che si è creata dove tutto è ricondotto a follower e like senza mai, invece, avere un’analisi critica sul valore della qualità. Non si vuole mai guardare oltre: non basta leggere 100mila follower, bisognerebbe ad esempio capire cosa questo numero rappresenta. Sono tutti veri? Si relazionano con me? Qual è il legame che hanno con me e i miei contenuti? Queste sono solo alcune delle domande da farsi. Idem per i like. La colpa è di tanti addetti ai lavori che hanno pian piano rinunciato alla ricerca della qualità, preferendo una via più facile da vendere, ma assai pericolosa alla lunga». Influencer

    Il rapporto tra aziende e Influencer

    Cosa cercano le aziende in un influencer e su che criteri basano la loro scelta? «Dovrei parlarti di autorevolezza, reputazione, know-how, qualità dei contenuti, ma sono solo le più virtuose a lavorare in tal senso. La maggioranza, contaminata dall’atmosfera e segnata dalla mancanza di competenze in questo settore, si lascia guidare dal parametro più facile da leggere e più “scenografico”: follower ed engagement. Ma come dicevo prima è rischioso fermarsi lì. Ad esempio, potrebbe succedere che il 45% dei 100mila follower che leggo sono indiani o addirittura finti. Se il mio progetto è in Italia come posso pensare che ciò non segni negativamente la campagna? Dobbiamo tornare ad un’analisi più qualitativa e data driven, contestualizzando profondamente i dati e facendone base concreta per la selezione degli Influencer». Che differenza c’è tra i veri Influencer e chi su Instagram promuove in modo piuttosto evidente un prodotto? «La differenza sta nell’impatto che generano per il brand. C’è molta differenza tra veicolare semplicemente la visibilità di un messaggio e arricchirne la capacità di essere appreso, assimilato. Per essere riconosciuto come tale, l’Influencer deve spingere all’azione e non solo fungere da vetrina di prodotto. Se la scelta è quest’ultima, molto meglio investire il proprio budget nelle forme classiche di advertising, meno costose e più performanti». LEGGI ANCHE: Uno studio sulla Generazione Z in Cina fa crollare le nostre certezze su social e Influencer Che skill dovrebbe avere un Influencer di professione? «Possono essere molte, differenti a seconda del progetto e del percorso creato. Queste, a mio avviso, sono le più importanti: Comunicazione: per un Influencer comunicare nella giusta maniera è un must, una capacità che gli permette di relazionarsi al meglio con i follower. Know-how verticale: avere grandi conoscenze ed essere verticali su un settore permette all’Influencer di posizionarsi e diventare riconoscibile. Chi cerca un contenuto autorevole in tale campo potrà rifarsi e relazionarsi con lui. Conoscenza delle piattaforme digital: non deve essere uno smanettone certo, ma conoscere le basi di funzionamento dei principali canali social e web è fondamentale. Più andrà avanti nel suo percorso più ce ne sarà bisogno e se non le avesse dovrebbe integrarle con il supporto di un team (sviluppatori, grafici, esperti in advertising, ecc.). Capacità relazionali: abbiamo parlato di network di individui ed è quindi fondamentale per un Influencer saper gestire le relazioni con il proprio follower. Inutile essere il più competente o un grande creator di contenuti se poi non rispondo ai commento o ai messaggi degli utenti. È nelle relazioni che si saldano i rapporti e il network cresce. Originalità e creatività: non significa essere artisti o pseudo tali, ma avere la capacità di essere un creator, di dar vita a contenuti di qualità, contenuti capaci di differenziarsi dagli altri e di rispondere alle esigenze degli utenti». Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi o anni? «Gli Influencer c’erano (se ne parla già da inizio anni ‘50 con il termine opinion leader), ci sono e ci saranno, perché è insito nella natura umana avere riferimenti e relazionarsi in gruppo. Detto ciò, è difficile fare previsioni data la rapidità con cui evolve la realtà digitale. Credo (ma forse è più corretto dire spero) che la bolla possa non dico esplodere, ma ridimensionarsi. Penso sia l’unico modo per tornare a un approccio più reale e funzionale alle finalità di utenti e brand. Non c’è dubbio che lato creator si andrà sempre di più verso i video e che sarà necessario trovare nuovi canali per raggiungere segmenti che sono sempre meno vicini ai canali classici. Penso inoltre che le piattaforme esistenti, Facebook in primis, spingeranno sempre di più per sfruttare la forza degli Influencer e gestire le attività di Influencer Marketing, monetizzando su queste. L’arrivo del Brand Collabs Manager o di Facebook Watch va letto in questa direzione. Novità che potrebbero semplificare le attività dei brand, ma soprattutto portare a una migliore tracciabilità delle campagne (magari a performance)».