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  • «Vi spiego cos’è un fablab e cosa fanno davvero i makers»

    A pochi giorni dalla Maker Faire Rome 2018, il punto con il designer Massimo Menichinelli, autore di FabLab e Maker (Edizioni Quodlibet studio design)

    3 Ottobre 2018

    Il movimento makers c’è, esiste, cresce e si trasforma: modelli di business più efficaci, strutture societarie più solide, un rapporto meno amatoriale con i grandi player del mercato. Ma senza perdere l’identità che ha reso i fablab qualcosa di speciale, non un’officina, non un’associazione, non un service, non un coworking, ma tutte queste cose insieme e molto di più. Si diventa grandi, anche a costo di qualche perdita eccellente: come la chiusura di Fablab Manchester. A voler fare a tutti i costi una sintesi, è questo quello che succede quando si incontra Massimo Menichinelli, un designer prima di tutto, che ha insegnato Digital Fabrication e Open Design presso l’Aalto University (Helsinki, Finlandia), Open Design alla SUPSI (Lugano, Svizzera) e Digital Fabrication per la Fab Academy (WeMake – Opendot, Milano). Ha lavorato allo sviluppo di diversi fablab in Italia (ha progettato il MUSE FabLab di Trento) e all’estero. E’ project manager all’interno dello IAAC | Fab Lab Barcelona e si occupa anche di Fablabs.io, il sito della Fab Foundation che si occupa, tra l’altro, di diffondere le linee guida sui fablab e che tiene aggiornato l’elenco dei fablab nel mondo. Menichinelli è anche autore di FabLab e Maker (Edizioni Quodlibet), volume pubblicato nel 2016 e presentato nel corso della Maker Faire di quell’anno. Due anni dopo ecco cosa ci ha detto dei fablab, dei makers, del movimento e della Maker Faire Rome: in attesa di incontrarlo durante la manifestazione (in programma dal 12 al 14 ottobre alla Fiera di Roma, un’ iniziativa organizzata dalla Camera di Commercio di Roma, attraverso la sua Azienda speciale Innova Camera). “Rispetto a quando il libro è stato scritto – ha detto a proposito del rapporto tra makers, big player e corporate – ci stanno conoscendo di più”. Anche se “è ancora un momento in cui dobbiamo farci capire”.

    La definizione più articolata di Maker viene da Chris Anderson: un maker è chiunque utilizzi strumenti digitali con un comune computer per sviluppare progetti e prototiparli da sé. Inoltre un maker normalmente condivide i propri progetti online e collabora con la comunità dei maker (Massimo Menichinelli, FabLab e Maker – Edizioni Quodlibet)
    makers
    makers credits fablab.io

    Dal MIT a Torino

    Un passaggio prezioso per fare il punto con l’autore su cosa sia un fablab, quali tecnologie utilizza, sulla storia della community in Italia, sugli aspetti economici e sociali, e soprattutto la relazione tra fablab, maker e design. “E’ un po’ il punto su anni di studio, di lavoro, di progettazione, in giro per il mondo e per fablab. Non è un libro che solo uno specialista può capire”, così l’ha delineato il suo autore, che, non è inutile ricordarlo, è prima di tutto un designer. “Il fablab? E’ una sorta di esperimento”, ha detto. “E lo spirito interessante è proprio farlo in un modo sempre diverso”, in base anche al rapporto con il territorio e alla rete che si viene a creare. “Non in modo automatico, non è un club. La rete si costruisce con eventi, progetti comuni, riunioni”.
     Anche per Chris Anderson  chiunque può essere un maker, ma la dimensione digitale e di comunità sono un punto fondamentale, che non tutti i creatori di artefatti condividono.

     Gli anni dei pionieri

    Ecco, Maker Faire Rome 2016 (il libro è stato presentato alla prima edizione che si è tenuta alla Nuova Fiera di Roma, ma è stato pensato a partire da luglio 2015) e Maker Faire Rome 2018, due date, più o meno due anni. Eppure per i makers (e per l’economia digitale nel suo complesso) si è trattato di 24 mesi con un peso specifico molto più elevato di quanto non lo sia dal punto di vista strettamente cronologico. Dunque gli artigiani digitali e l’esplosione del fenomeno in Italia: tardi, rispetto agli altri Paesi. Stati Uniti, Spagna, Olanda, Francia. Poi nel 2011 FablabItalia a Torino e da lì gli artigiani digitali sono diventati protagonisti anche nel nostro Paese.
    I fablab sono spazi dentro i quali i maker possono lavorare principalmente con tecnologie e processi di fabbricazione digitale, con una cultura  della condivisione e della collaborazione, sia per progetti profit che no-profit. I fablab nascono per democratizzare la fabbricazione digitale.

    Il modello di business, la vera selezione

    Un libro prezioso. Sì, prezioso perché per la prima volta cerca di delineare il perimetro, di definire un movimento, quello dei makers, per sua natura fluido. “Molti dei temi sono stati trattati in modo che resistessero il più possibile” ha detto in apertura Menichinelli. Un tentativo ambizioso, che sconta il peccato originale: quando cerchi di fotografare qualcosa, può succedere che quel qualcosa cambi faccia, muti, cresca o si riduca, o non ci sia semplicemente più, appena domani. Ecco il libro di Massimo Menichinelli è uno di quelli che andrebbe letto ieri, meglio anche prima. O scritto (una speranza?) una volta ogni sei mesi.
    E’ ormai riconosciuto dalla comunità globale dei fablab che ci sono 4 condizioni perché un laboratorio possa essere considerato un fablab. 1. L’accesso al laboratorio deve essere pubblico, anche se per un periodo limitato della settimana. 2. Il laboratorio deve sottoscrivere ed esibire al proprio interno la Fab Charter, il manifesto dei fablab scritto da Neil Ghershenfeld. 3. Il laboratorio deve avere un insieme di strumenti e dei processi condivisi con tutta la rete dei fablab. 4. Il laboratorio deve essere attivo e partecipe della rete globale dei fablab, non può isolarsi dagli altri laboratori o negare collaborazione.