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  • Direttori creativi e rebranding, cosa ci insegnano gli esempi di Celine e Burberry

    Sono molte le Maison di moda che affidano il proprio rebranding a direttori creativi star, anche a costo di perdere la propria identità (e i vecchi post di Instagram)

    10 Settembre 2018

    Agli appassionati di fashion e luxury non saranno di certo sfuggite le ultime news sul rebranding di Burberry e Celine (il mancato accento acuto sulla prima e non è un refuso e stiamo per spiegarvi il perché). Sulle grandi testate di moda (e non solo) non si fa che parlare di grandi novità legate al restyling quasi estremo che tanto piace alle Maison di moda, anche storiche. Ma quanto ripaga questo cambio di muta e perché brand con una forte identità culturale e stilistica sentono il bisogno di un cambiamento tanto radicale? rebranding-burberry-celine

    Il rebranding di Celine: una storia che profuma di Saint Laurent

    Era il 2012 e qualcosa di imponente stava per accadere al brand Yves Saint Laurent: a capitanare l’ufficio creativo della storica Maison di moda parigina arriva Hedi Slimane, pupillo di Pierre Bergé, già designer della linea uomo YSL e direttore creativo del marchio Rive Gauche. Con Yves Saint Laurent, Slimane opta per una scelta così radicale da dividere le opinioni del mondo della moda: lo storico marchio perde il nome del fondatore e diventa solo Saint Laurent con un nuovo font. Non solo, la moda di Slimane implica un cambio di rotta totale di stile sia di design che comunicativo: decade l’ancien régime legato all’alta moda e entra in scena un rock-glam che quasi fa scandalo. Ma non c’è spazio per i criticoni visto che la mossa del designer franco-tunisino ha duplicato le revenue del brand e nel Q2 2015 ha aumentato le vendite del 27%. rebranding-burberry-celine-2 Un caso da replicare, dunque? C’è chi si sarebbe augurato di no e invece il modello Slimane è di nuovo in pista: a gennaio scorso Celine ha annunciato il suo arrivo in veste di direttore creativo al posto della talentuosa Phoebe Philo (Slimane aveva già lasciato nel 2016 il testimone di Saint Laurent a Anthony Vaccarello, ndr.). Ecco di nuovo, a distanza di sei anni, uno scioccante deja vu: Hedi Slimane mette piede da Celine e in occasione della presentazione dell’imminente collezione SS19 alla Fashion Week di Parigi cancella tutti (ma proprio TUTTI) i passati post di Instagram sulla pagina del brand e fa comparire al loro posto tre video identici con sotto tre copy differenti
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    LE NOUVEAU LOGO S’INSPIRE DIRECTEMENT DE CELUI, HISTORIQUE, DES ANNÉES 60. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ LA TYPOGRAPHIE EST MODERNISTE, DATANT DES ANNÉES 30. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ L’ACCENT SUR LE “E” DISPARAIT PAR SOUCI DE RÉDUCTION ET DE PURETÉ, A L’INSTAR DES COLLECTIONS DES ANNÉES 60. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ L’ESPACEMENT ENTRE LES LETTRES A AUSSI ÉTÉ ÉQUILIBRÉ, LES LETTRES RAPPROCHÉES. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ LA MENTION “PARIS” TRÈS PRESENTE HISTORIQUEMENT, REVIENT DE MANIÈRE INSTITUTIONNELLE SUR LE NOUVEAU CONCEPT PACKAGING ET SUR LES GRIFFES DES NOUVELLES COLLECTIONS. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ LA MENTION “PARIS” NE FIGURERA PAS SUR LES CAMPAGNES PUBLICITAIRES INTITULÉES “CELINE”. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ #CELINEBYHEDISLIMANE

    Un post condiviso da CELINE (@celine) in data: Set 2, 2018 at 1:18 PDT

    Sintetizzandone il contenuto (in inglese nel secondo post e in francese nel terzo) si annuncia la caduta dell’accento sulla prima e (di Céline) per semplificare e riagganciarsi al vecchio logo degli anni ’60 che lo prevedeva raramente, viene inoltre ridotta a distanza tra le lettere ed eliminata la parola “Paris” da ogni dicitura ufficiale.

    Il rebranding di Burberry: tradizione come innovazione

    Anche Burberry mesi fa aveva fatto notizia sui social per l’avvento dell’ex Givenchy Riccardo Tisci alla guida della direzione creativa dello storico brand londinese che quest’anno compie ben 162 anni.
     
     
     
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    A conversation between #PeterSaville and #RiccardoTisci Un post condiviso da Burberry (@burberry) in data: Ago 2, 2018 at 2:29 PDT
    Anche Tisci scava nei fantastici archivi Burberry alla ricerca di un nuovo logo e nuovi pattern, ma le novità non finiscono qui: Burberry sembra destinato, come molti brand ormai a diventare sempre più gender-fluid, fur-free e ad adottare una strategia go-to-market, ossia, un rilascio graduale della collezione che non viene più presentata nella sua interezza durante un’unica sfilata. LEGGI ANCHE: Come i luxury brand stanno utilizzando digital marketing e tecnologia Heritage è quindi la parola chiave di Riccardo Tisci nel suo inizio di percorso targato Burberry e questo ritorno al vintage sembra soddisfare i fan del brand e soprattutto quelli del designer tarantino.

    Direttori creativi “Star”: Maison eclissate o salvate?

    Questa storia dell’attingere a piene mani dalla tradizione e dal passato o di ripartire totalmente da zero non è nuova nella storia della moda. Anche se anni fa non esistevano ancora i social media deputati alla diffusione di novità in campo marketing e comunicazione, al momento delle sfilate in passerella le differenze si notavano comunque. rebranding-burberry-celine-3 Esempi lampanti come lo storico risorgimento di Gucci negli anni ’90 grazie a Tom Ford (e se vogliamo anche quello di Alessandro Michele per lo stesso brand pochi anni dopo) o quello del 2008 della Maison Valentino grazie al duo Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli (anche se non altrettanto invasivo) probabilmente sono stati interpretati come efficaci ed efficienti. Eppure il caso Slimane rimane emblematico, forse troppo, e rappresenta una cultura del creativo-VIP a cui tutto è concesso. Le Maison storiche con una forte identità di stile alle spalle hanno sicuramente il bisogno di rinnovarsi e adattarsi ai tempi che cambiano, ma è proprio necessario fare tabula rasa del passato per andare avanti? Forse mantenere visibili le scelte degli anni andati, fallimentari e non, è diventato tanto vergognoso da dover sempre ricominciare da capo? Ecco, il problema risiede in questo contesto decisionale visto che le Star vanno e vengono ma la brand identity rimane e le Maison di moda non sono certo cantieri da abbandonare una volta creata l’opera d’arte. Forse l’esempio di Tisci rappresenta un pacato e non invasivo tentativo di rebranding: rimanere ben saldi alle radici pur adattandosi a un nuovo terreno, dà i suoi frutti.