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  • Ecco per cosa scambiamo ogni giorno la nostra privacy

    Scandali come Cambridge analytica o leggi come il GDPR ci fanno considerare che la privacy sia un bene prezioso, da proteggere ad ogni costo

    19 Luglio 2018

    Privacy, privacy, privacy. È la parola del momento: scandali come quello di Cambridge Analytica hanno intaccato quella di milioni di utenti e l’Europa tenta di proteggere i suoi cittadini con leggi come il GDPR. Ma è sufficiente? E, sopratutto, a chi importa?

    Per cosa scambiamo la nostra privacy

    La verità è che ci piacciono le scorciatoie, e, ancora prima che esistessero i social network o il web, tutti noi eravamo (e lo siamo ancora) disposti a barattare un po’ della nostra privacy in cambio di una maggiore comodità. LEGGI ANCHE: VIDEO Boston Dynamics sta costruendo automi che camminano come noi e cani e gatti robot Valga come esempio pre-internet la cartolina postale. Una foto, qualche riga di commento e l’indirizzo a cui recapitarla. Tutte informazioni alla luce del sole, non solo del destinatario. Ma che volete che sia far sapere che si era in vacanza, in un certo posto, che ci si diverte molto nonostante si spenda di più del previsto rispetto alla comodità e il prezzo più basso per la spedizione rispetto a una più riservata lettera imbustata? privacy Sembra un pochino esagerato come esempio? Pensiamo a tutte le volte che paghiamo con carta di credito, oppure imbocchiamo veloci l’uscita dell’autostrada dalla corsia Telepass: sono tutte occasioni in cui stimiamo la tutela della nostra privacy meno importante della comodità. Lo stesso atteggiamento verso la privacy ci porta ad accettare, svogliatamente e con una certa noncuranza, i cookies di quel sito che vogliamo tanto visitare. Una ricerca del PEW institute confermava già qualche anno fa (nel 2014) questo comportamento diffuso. Siamo consapevoli di essere tracciati, monitorati, spiati e profilati da governi, aziende e organizzazioni varie, ma contemporaneamente, anche se ci si dichiara preoccupati, si partecipa attivamente alla raccolta di dati. Lo facciamo ogni volta che condividiamo un contenuto sui social, che facciamo clic frettolosamente nell’accettare le condizioni d’uso di una nuova app, che togliamo di mezzo il banner che ci avverte dei cookies per leggere subito quella pagina di gossip. la_privacy_ha_un_prezzo_1

    Il prezzo della privacy

    Siamo tutti consapevoli dell’importanza della privacy e, almeno a parole, la teniamo in gran conto. Ci piace avere delle conversazioni intime con gli amici, discutendo di argomenti che solo con loro affronteremmo, vogliamo decidere liberamente della nostra vita, il lavoro, le vacanze, e cosa decidiamo e perché lo abbiamo deciso sono solo fatti nostri. LEGGI ANCHE: 3 miti da sfatare sull’intelligenza artificiale e sui rischi che corriamo Però, pensiamoci un attimo: non è anche piacere utile o piacevole ricevere sconti e offerte personalizzate in base ai nostri gusti? avere nuove opportunità di lavoro o di incontro? Non è comodo essere considerati “bravi cittadini”, “buoni pagatori” e ottenere così più facilmente un prestito?  Per quanto sia importante la nostra privacy, siamo in realtà disposti a rinunciarne (almeno in parte) per ottenere in cambio un nuovo lavoro, un nuovo partner, una vacanza a prezzo stracciato o il MAC che tanto desideravamo. Potremmo dire, come Eric Schmidt e Jared Cohen, autori di The new digital age, che la privacy ha un costo. Per conservarla intatta e integra dobbiamo essere disposti a rinunciare a tutte le opportunità professionali e sociali che potrebbero nascere dall’uso dei social network. Un prezzo che in pochi sono disposti a pagare ma bisognerebbe prestarci più attenzione, prima che la nostra privacy sia compromessa irrimediabilmente, come accade già ai cittadini cinesi per i quali è già in funzione un sistema di social credit scoring.