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  • Gli ostacoli da superare se vuoi vendere online in Cina

    Vendite in conto deposito, tasse, cauzioni e fatturazioni: quella degli eCommerce cinesi, per i brand stranieri, non è una semplice passeggiata ma un percorso molto impervio

    19 Giugno 2018

    Il mondo dell’eCommerce in Cina è in continuo fermento e i marchi occidentali non restano di certo a guardare mentre il più importante mercato elettronico del mondo ottiene numeri da capogiro. Eppure, quello tra le piattaforme eCommerce cinesi e i brand stranieri è un rapporto molto complesso fatto di incomprensioni, regole ferree e frustrazioni, specialmente nei casi in cui questi ultimi non abbiano negozi fisici o soggetti giuridici all’interno del Paese.

    La questione del conto deposito

    Prima di tutto molti siti eCommerce cinesi lavorano esclusivamente  in conto deposito, la maggior parte delle volte con un proprio team di buyer che seleziona la merce da vendere sul sito. È poi a compito del brand spedire prodotti al magazzino dell’eCommerce senza sapere già se la merce verrà venduta oppure no. ecommerce-cina-brand-stranieri In contesti differenti raramente i brand accetterebbero questo tipo di condizioni di vendita: grandi marchi soprattutto del mondo del lusso nei normali showroom permettono ai retailer di acquistare la merce e di pagarla e quindi possederla già prima di una vendita effettiva. Una vendita in conto deposito non verrebbe proprio menzionata da entrambe le parti. Da un punto di vista economico in realtà la cosa ha un senso: i brand potrebbero perdere molte entrate cedendo i propri stock a negozi, online o offline, magari incapaci di venderli. Ma è anche difficile garantire che una piattaforma di eCommerce presenti un marchio al meglio quando non hanno pagato nulla e hanno investito poco per il proprio successo. Non vi è alcuna certezza che la piattaforma supporti il brand come nel caso in cui possedesse fisicamente i prodotti.

    Tasse e depositi elevati

    Le piattaforme eCommerce Cinesi di solito chiedono ai brand di pagare depositi e tasse addizionali per vendere sui loro siti. Ad esempio il sito Elleshop chiede un deposito iniziale di 30 mila RMB (circa 4 mila Euro) con lo scopo di tutelare l’eCommerce e i suoi clienti in caso si verifichino problemi di qualità che richiedono rimborsi. ecommerce-cina-brand-stranieri-2 Nel caso di Elleshop c’è anche una ingente richiesta di commissioni: il 40% della vendita. Sia il deposito che le tasse e commissioni vengono definite da un contratto iniziale che il brand è costretto a firmare e a rispettare per almeno tre anni. LEGGI ANCHE: Google fa spesa in Cina: 550 milioni su JD, il rivale di Alibaba

    Prodotti quasi sempre selezionati da buyer

    Come accennavamo prima, molti siti eCommerce fanno affidamento su un team di buyer a lavoro per la selezione di prodotti da vendere di diversi brand. Inizialmente i brand tentano di suggerire ai siti quali prodotti spingere nella vendita ma spesso ciò non sembra influenzare le decisioni dei buyer che vantano di possedere una più approfondita conoscenza del mercato domestico. ecommerce-cina-brand-stranieri-3 Gli eCommerce Secoo e Shangpin fanno esplicitamente richiesta di un look book o di visitare lo showroom del brand prima di selezionare i prodotti ma nonostante ciò la maggior parte delle volte prediligono il famigerato conto deposito e non osano acquistare la merce in anticipo. Alcuni siti addirittura richiedono al brand di occuparsi anche della consegna al cliente finale a proprie spese.

    IVA e Fapiao (fatture)

    Un altro tasto dolente della vendita su eCommerce cinesi per i brand stranieri riguarda l’IVA da corrispondere. Visto che i siti eCommerce non acquistano i prodotti direttamente ma chiedono ai brand di renderli disponibili per la vendita in Cina, questi ultimi, non producendo direttamente sul territorio devono farli importare e quindi pagare le relative tasse. LEGGI ANCHE: Uno studio sulla Generazione Z in Cina fa crollare le nostre certezze su social e Influencer Inoltre se i brand non hanno costituito un soggetto giuridico in Cina non possono emettere le famose Fapiao (fatture) che invece sono richieste dalle piattaforme eCommerce. Se il brand non può emettere fattura, la piattaforma non è in grado di pagarlo. Questi brand avrebbero bisogno dell’ausilio di trading company, molto costose e non facilmente gestibili dal punto di vista relazionale senza la presenza di connessioni e conoscenze. Le piattaforme eCommerce, nonostante questi lati negativi rappresentano sempre e comunque un ottimo metodo di espansione del proprio business per i brand stranieri che grazie alla mediazione dei siti riescono anche ad ammortizzare spese accessorie d’importazione e a spostare la merce dall’online al retail per meglio gestire il problema del conto deposito. Sicuramente a causa di questi problemi, in Cina riescono a sfangarla, per ora, solo i grandi brand del lusso o marchi premium, mentre i piccoli non potrebbero mai sobbarcarsi questo tipo di spese.