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  • 17 fail storici dei brand su Instagram (da non replicare sul tuo profilo)

    Nessun brand è davvero immune da scivoloni e questi esempi ci ricordano cosa non andrebbe mai fatto

    22 Marzo 2018

    Nessuno ne è immune e tutti, da noi comuni mortali fino ai brand più importanti, corrono il rischio quotidiano del fail sui social network. Il giudizio del popolo di Facebook, di Instagram o di Twitter è implacabile, per questo devi stare bene attento, soprattutto se sei un Social Media Manager.

    Se invece preferisci stare dall’altra parte della barricata e fare parte di quel popolo, potrai deliziarti con questi 17 esempi di fail su Instagram commessi da una serie di brand.

    1. L’effetto ottico scorretto di Kaiwei Ni

    Che il clickbait fosse scorretto e sconsigliato già lo sapevi, vero? Ma ciò che sicuramente non hai considerato sono i livelli fino a cui ci si può spingere in questo campo. Vincitore incontrastato di questa sleale manovra è Kaiwei Ni, produttore cinese di sneakers, che ha coniato lo scroll-bait. Come? Con un trucchetto senz’altro geniale, ma altrettanto scorretto: ha creato un annuncio sotto forma di Instagram Story in occasione del Black Friday.

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    Se, vedendo la foto, hai passato un dito sullo schermo per togliere quel capello, sei cascato nella trappola di Kaiwei Ni! Il tranello è esattamente questo, ovvero trarre in inganno l’utente facendogli credere che il capello sia sullo schermo e non all’interno dell’immagine. Così facendo, al passaggio di un dito si attiva lo scroll che, se fatto dal basso verso l’alto, reindirizza automaticamente a un altro sito.

    Creativo sì, subdolo anche. Ovviamente Instagram ha rimosso l’annuncio perché viola le norme della piattaforma.

    2. Il post troppo virale di Sunny Co. Clothing

    Costumi come se piovesse. Gratis! Ebbene sì: gratis. Ripetiamolo ancora una volta: gratis.

    Per promuovere il nuovo costume da bagno ispirato a Baywatch, la Sunny Co. Clothing ne ha condiviso una foto su Instagram annunciando che tutti coloro che l’avrebbero ri-postata, taggando il brand, entro 24 ore, avrebbero ricevuto gratuitamente il costume da bagno in questione. Un costume da 65 dollari.

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    Come era prevedibile (forse non per il brand!), il post è diventato virale ed è stato ripubblicato oltre le 3.000 volte soltanto nelle prime ore. Inutile dire che la società non si trovava in condizioni da poter mantenere la promessa fatta. Per questo ha affermato che “il volume virale dei partecipanti” ha dato loro il diritto di limitare la promozione.

    Ma, come ormai sappiamo, la community non perdona. I clienti giustamente insoddisfatti hanno preso d’assalto la posta del marchio con lamentele e hanno condiviso la propria indignazione sui social media, sollevando un polverone che Brady Silverwood, co-fondatore della Sunny Co, non ha potuto ignorare. Ha quindi rilasciato una dichiarazione in cui prometteva di inviare i costumi da bagno gratuiti a tutti i partecipanti. Morale della favola? Non fare promesse che non puoi mantenere!

    3. La scarpa di Dolce & Gabbana

    Arriva il turno di un nostro compatriota: il designer Stefano Gabbana. Che ha combinato l’altra metà della Dolce mela? Ha pubblicato la foto di una scarpa con su scritta la frase: “I’m thin and gorgeous” (sono magra e bellissima).

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    Sorvolando sul discutibile aspetto generale della scarpa, la frase scritta in blu è decisamente di cattivo gusto. Gli utenti si sono infuriati e molti di loro hanno fatto notare, anche con toni pacati, quanto fosse pericoloso e sconsiderato far passare un simile messaggio, considerando il sempre crescente problema dei disturbi alimentari. Ma siccome al peggio non c’è mai fine, ecco arrivare la ciliegina sulla torta: Gabbana non si è scusato, anzi ha replicato ai commenti in modo estremamente aspro, etichettando gli utenti come “stupidi”, “idioti”, ecc.

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    Uno scivolone imperdonabile, soprattutto per chi non ha nessuna intenzione di chiedere venia.

    4. Il nome razzista dei prodotti di ColourPop

    Anche nel ventunesimo secolo il razzismo continua a rappresentare una delle principali fonti di fail da parte dei brand. Stavolta è toccato a ColourPop, noto marchio di cosmetici. Quando l’azienda ha reso note le sfumature della nuova linea di prodotti “sculpting stix”, ha anche rivelato un pessimo talento nella scelta dei nomi. Le tonalità più scure, infatti, avevano nomi come “Yikes” (esclamazione che equivale a: “Accidenti!”) e “Typo”(errore di battitura).

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    Fortunatamente, dopo aver ricevuto critiche e lamentele da parte di molte donne, il marchio ha chiesto immediatamente scusa e ha sostituito i nomi precedenti con altri decisamente migliori: “Bloom” e “Platonic”.

    5. La scelta comunicativa che lascia perplessi di Reformation

    Nel caso di Reformation l’errore è talmente palese che viene da chiedersi se non sia stato fatto proprio per scatenare le polemiche. La foto incriminata è la pubblicità del vestito Guava (198 dollari) e ci presenta una modella seduta sul tavolo in una posa lasciva mentre, alle sue spalle, lavorano degli operai. Giudicate voi!

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    Il post ha suscitato una forte indignazione tra i clienti che hanno trovato l’immagine classista e razzista. In questo caso il fail che vi proponiamo è anche stato difeso da una parte della community del brand, ma l’argomentazione della difesa è controverso. Pare infatti che la compagnia pubblichi regolarmente le immagini della sua fabbrica e dei suoi lavoratori su Instagram: stiamo ancora cercando di capire come questo possa essere considerato un punto a favore del brand.

    6. La svista di Benetton

    Probabilmente un errore in buona fede, quello di Benetton, ma pur sempre un errore: la pubblicazione di una foto di ragazzi con la didascalia: “Sorry ladies. Girls not allowed” (Scusate signore. Le ragazze non sono ammesse).

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    Non ci pare servano ulteriori commenti.

    7. Le imperfezioni “finte” di Missguided

    Missguided ci ha provato, a fare un bel contenuto, promuovendo la naturalezza e la positività del corpo, anche e sopratutto, quando questo è imperfetto. In questo caso, l’imperfezione che viene mostrata nelle foto del brand su Instagram, è la smagliatura. Fin qui tutto bene, se non fosse che quelle smagliature non sono figlie del tempo e dei cambiamenti del corpo, bensì di Photoshop.

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    Questo, almeno, secondo Chloe Sheppard, fotografa professionista che ha accusato il marchio di modificare le foto per aggiungere smagliature ai corpi delle modelle. In un’intervista con The Debfrief ha dichiarato che, andando sul loro post originale e ingrandendo il punto in cui compaiono le smagliature, è possibile vedere piccoli dossi e ombre bianche, che rivelerebbero una post-produzione.

    Sarà vero? Chi può dirlo. Finora il brand ha smentito, dichiarando che le foto sono al 100% non photoshoppate.

    8. L’hashtag sbagliato di Warburton

    Quello che riguarda Warburton è una fail che non offende nessuno e può persino risultare divertente, anche se non certo per il brand. Vediamo l’accaduto: l’azienda di panificazione britannica ha lanciato l’hashtag #CrumpetCreations e ha chiesto ai follower di reinventare le famose Crumpet (un dei loro prodotti).

    Warburton non sa però che si tratta di un hashtag già ampiamente utilizzato dalla comunità dei Furries che, per chi non lo sapesse, sono persone che amano travestirsi da animali o da personaggi di cartoni animati. Di conseguenza, il contenuto del marchio è finito in mezzo ai contenuti pubblicati dai Furries, in una mescolanza piuttosto bizzarra che ha messo in una posizione imbarazzante il brand.

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    9. La scelta poco inclusiva di Revolve

    Un altro fail legato all’etnia delle proprie clienti è quello di Revolve. L’anno scorso, infatti, il brand ha scatenato l’indignazione quando ha “dimenticato” di includere donne di colore e taglie forti nei Revolve Awards.

    Molti instagramers, a cui non è sfuggita la mancanza, hanno protestato creando l’hashtag #RevolveSoWhite, che serviva proprio a diffondere rimostranze circa l’assenza di diversità all’interno del marchio.

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    In effetti, da una rapida occhiata al feed del brand, si evince immediatamente una sorta di pregiudizio nei confronti di tipi specifici di donne.

    Come se non bastasse, Valerie Eguavoen di On A Curve, ha scritto un post intitolato #YOUBELONGNOW – Rispondere alla rivoluzione e all’industria della moda, sulla sua costante esclusione delle donne nere in cui affermava: “Nonostante il supporto schiacciante che ho ricevuto su Instagram, devo dire che non sono un pioniere. Centinaia di donne di colore hanno espresso le proprie frustrazioni su questo argomento ogni giorno, attraverso commenti, piattaforme, email”.

    In questa gogna Revolve non è l’unico marchio presente. Pesanti critiche sono state rivolte, in questo senso, anche ad Athleta, Wish.com e Boohoo.

    10. La didascalia inappropriata di Tarte Cosmetics

    Anche Tarte Cosmetics fa parte della medesima cerchia, con la differenza che le critiche mosse contro questo marchio si rivolgono alla pubblicazione da parte dell’azienda di una didascalia: il testo che accompagnava la foto recitava “La mia testa durante il giorno: patate, patate, ching chong pomodoro”.

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    In questo caso però il brand ha rimosso la foto e ha diffuso un post di scuse: “Ci scusiamo profondamente con chiunque abbiamo offeso oggi, è stata una svista e non intendevamo assolutamente postare con questa intenzione. Abbiamo rimosso immediatamente e abbiamo parlato con lo stagista spiegando perché è stato offensivo”.

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    Tuttavia, alcuni utenti della rete non si sono sentiti soddisfatti perché il marchio non si scusava direttamente con la comunità asiatica. Questo ha portato Tarte Cosmetics a rilasciare una seconda dichiarazione di scuse scritta direttamente dal CEO e fondatore, Maureen Kelly.

    11. Il nome equivoco del prodotto di Wycon Cosmetics

    Ormai è chiaro che gli scivoloni sono legati prevalentemente al razzismo dei brand (presunto o reale che sia). Anche l’azienda italiana Wycon Cosmetics, infatti, ha dovuto affrontare una controversia su questo argomento. Una volta diffusa la propria linea di smalti in gel, rivelarono che la tonalità più scura si chiamava Thick as a Nigga.

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    Dopo i primi attacchi sui social, il marchio si è inizialmente limitato a cambiare nome, e successivamente si è scusato con i propri follower nella sezione commenti.

    “Siamo spiacenti che questo post abbia innescato questo tipo di reazioni: ogni colore della nostra collezione Gel On è ispirato, con un atteggiamento allegro e un pizzico di ingenuità, da famosi titoli di canzoni, molti dei che derivano dal panorama hip-hop. Ad esempio ‘Drop It Like It’s Hot’ di Snoop Dogg, ‘Bootilicious’ di Beyoncé, ‘Candy Shop’ di 50 Cent, Lollipop, Lady Marmalade ecc … Il riferimento qui è ‘Thick Nigga’ di DBangz. Wycon è un marchio per tutti. #Nobodyexcluded è il nostro motto e non intendevamo offendere nessuno!”

    12. Zpalette e come gli utenti non vanno trattati sui social media

    Lasciando (per il momento) l’argomento razzismo, torniamo a parlare di fail di altro tipo. Come per esempio quello di Zpalette, che ha ampiamente dimostrato come non vadano trattati i clienti su Instagram. Il marchio ha recentemente pubblicato il suo prodotto Z Potter, dal costo di 85 dollari.

    Come ha reagito il marchio quando i clienti si sono lamentati di un simile prezzo? Comprandoli! Respingeva i reclami e premiava i commentatori positivi con uno sconto.

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    Successivamente il marchio ha rilasciato una dichiarazione per giustificare una simile azione e ha rivelato che, secondo il pensiero dell’azienda, quei commentatori sono solo persone che vogliono “saltare sul carrozzone o persone che vogliono essere viste o ascoltate, o vogliono ottenere followers”. Questa affermazione è stata tuttavia cancellata non appena la community ha iniziato a boicottare Zpalette.

    Nel frattempo, BoxyCharm ha approfittato della polemica per ribadire con quanto amore e rispetto trattasse i proprio clienti.

    13. Oille e la reazione troppo permalosa

    La blogger per la cura della pelle Vanessa di GoalsToGetGlowing era in cerca di un detergente per il viso che avesse un pH basso, spiegando anche il motivo della sua scelta. Una scelta lecita, considerato che ha sempre specificato quanto si trattasse di una soluzione soggettiva.

    Vanessa ha quindi pubblicato una foto di diversi detergenti e dei loro livelli di pH. Al centro ce n’era uno della marca Oille, che aveva un pH pari a 9,5. La colpa della blogger è stata quella di utilizzare, in proposito, l’emoji che indica “no”.

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    Nonostante non criticasse il detergente in alcun modo, ha comunque sollevato le ire di Oille, che ha prontamente risposto:

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    La community si è immediatamente scagliata contro il brand, in difesa della blogger, spingendo quindi Oille a chiedere scusa a Vanessa dopo qualche tempo.

    14. La mancanza di tatto di LimeCrime

    Chi non teme di venir derubato delle credenziali bancarie e delle informazioni che riguardano le proprie carte di credito? Nessuno. Ma questo non sembra importare alla Lime Crime. L’azienda, in seguito ad un cyberattacco che ha inviato malware e rubato i dati sensibili dei clienti, non ha minimamente pensato di rassicurarli.

    La conseguenza è stata la nascita del movimento #Boycottlimecrime, partito dopo che alcuni clienti hanno appreso che le informazioni sulla carta di credito erano state rubate a causa del sito web del marchio.

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    Doe Deere, fondatrice di LimeCrime, ha risposto dicendo che non avrebbe tollerato un simile bullismo. Risposta che non ha fatto altro che scatenare ulteriori polemiche. Alla fine, Doe Deere, ha risposto con una dichiarazione i cui ha enfatizzato i propri sforzi per proteggere il sito web e per prevenire futuri attacchi.

    15. La campagna tutta da rifare di Vera Bradley

    Perché è bello essere una ragazza? La risposta vuole darla Vera Bradley. Peccato che sia quella sbagliata. Le sue clienti non hanno infatti preso bene la serie di visual emessi in occasione della campagna #itsgoodtobeagirl.

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    Le frasi come “Quel momento in cui un gentiluomo ti offre il suo posto” e “Il bisogno di 5 sfumature di rossetto” non sono state affatto apprezzate, in quanto non tutte le donne hanno bisogno di cinque sfumature di rossetto, né fanno affidamento sull’aiuto di alcun gentiluomo. Forse una simile campagna sarebbe stata apprezzata dalle donne negli anni ‘50, ma non certo da quelle di oggi.

    16. The Ordinary che manda via il Social Media Manager

    Questa è un’altra di quelle divertenti, promesso.

    Si tratta della vicenda che ha visto coinvolto l’amministratore delegato del marchio di cura della pelle The Ordinary. Brandon Truaxe, infatti, ha deciso di sperimentare un nuovo livello di trasparenza del marchio una volta assunto il controllo dell’account Instagram di quest’ultimo. Che ha condiviso? La domanda giusta è: cosa non ha condiviso.

    Ha decretato la cancellazione dei piani di marketing dell’azienda e ha detto che avrebbe comunicato direttamente con i clienti tramite Instagram. Un uomo di parola. Fedele all’approccio promesso, per cominciare ha pubblicato la foto di un mucchio di spazzatura per dichiarare che avrebbe eliminato la plastica dalla confezione del suo prodotto.

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    Che altro? Ha chiesto scusa pubblicamente a Drunk Elephant, un precedente concorrente, e ha condiviso la propria storia personale. Forse per certi aspetti potrebbe sembrare un’ottima tecnica, senz’altro ammirevole, ma alla community non è piaciuta e ha iniziato a tempestare i suoi post con la richiesta di smettere e di assumere un Social Media Manager.

    Truaxe non l’ha presa bene e ha risposto per le rime a quei commenti che riteneva “irrispettosi”, minacciando di eliminare tutti i commenti negativi, a meno che non fossero utili critiche. La ciliegina sulla torta? Ha cominciato a bloccare i follower che riteneva negativi. Il boicottaggio del marchio è stata la risposta dei clienti.

    17. Il targeting sbagliato di McDonald’s

    Ultimo della lista della vergogna è McDonald’s, ottimo esempio di cosa non si debba fare quando si seleziona il target per le proprie sponsorizzazioni su Instagram! Avendo fatto di tutta l’erba un fascio, il marchio ha incluso numerosi utenti non interessati al suo cibo. In una parola? Spam.

    Questo spiega il perchè, nonostante gli oltre 771.000 follower, i commenti negativi siano stati all’ordine del giorno.

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