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  • Il caso dell’influencer trollata perché voleva pagare l’hotel in visibilità

    Il case study di Elle Darby e dell'albergatore Paul Stenson che declina la sua offerta, diffamandola online, apre ad analisi approfondite su un mondo non così semplice come sembra

    24 Gennaio 2018

    È di questi giorni la notizia della blogger Elle che ha chiesto a un hotel a Dublino una stanza per sé e il suo compagno per 5 giorni durante il periodo di San Valentino, in cambio di visibilità sui suoi canali social. Elle Darby è una micro influencer, con un pubblico di più di 88.000 follower solo su Instagram, che ha deciso proattivamente di proporre i suoi servizi a un albergatore, Paul Stenson, che però non solo ha declinato l’offerta, ma ha deciso a sua volta di pubblicare sui social la richiesta della ragazza polemizzando.

    Un fatto che ci consente di fare una riflessione sull’influencer marketing in questo momento storico, e su come strutturare le digital PR in maniera fruttuosa.

    Un breve recap

    Facciamo un passo indietro e analizziamo come la vicenda attraverso i social, si sia sviluppata e abbia assunto i connotati di un dibattito pubblico sull’influencer marketing. Elle contatta Paul Stenson con un’email definendo la prestazione e ponendo ad esempio una precedente collaborazione. A questo punto l’albergatore pubblica sui social l’email, oscurando il nome del mittente e scrivendo un commento “caldo” in cui vengono chiamati in causa i dipendenti che, secondo lui, non possono essere pagati in visibilità, la moneta di scambio proposta dalla ragazza. Le reazioni del pubblico online sono ampie arrivando a un volume di migliaia di interazioni, raggiungendo, di conseguenza, i media tradizionali che a loro volta amplificano il messaggio e generano un conseguente aumento del flusso di comunicazione online. A questo punto Elle pubblica un video sul suo canale YouTube accusando l’albergatore di comportamento scorretto e di averla esposta a una lapidazione mediatica. Non senza malizia, Paul le risponde su Facebook con più di un post, ognuno con una media di 34k interazioni. Nell’ultimo promette anche di pubblicare un libro su come ottenere visibilità online senza spendere soldi, con relativi grafici di come l’engagement sia aumentato esponenzialmente grazie alla polemica e inviandole per giunta una finta fattura per la visibilità. I temi in gioco sono diversi: rilevanza dell’influencer marketing per le aziende, metodo di approccio dell’influencer ai nuovi clienti, percezione dell’influencer marketing per l’opinione pubblica e infine la gestione della controversia: è vero che l’engagement generato attraverso la polemica è stato ugualmente proficuo per l’albergatore rispetto a una eventuale sponsorizzazione? Procediamo per punti.

    L’importante è che se ne parli

    Paul Stenson sostiene di aver ottenuto non solo lo stesso risultato che avrebbe guadagnato attraverso l’influencer marketing, ma addirittura che il consenso riscosso attraverso la polemica sia di maggiore impatto rispetto all’ipotetica campagna con l’influencer. In altre parole sostiene la regola pubblicitaria tratta dal celebre aforismo di Oscar Wilde “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli”. Questa regola è in generale vera, ma a patto che l’oggetto della discussione/pubblicità sia lo stesso della polemica. Con questa condizione anche una pubblicità negativa potrebbe dare rilevanza e diffondere la conoscenza presso il pubblico dell’oggetto in questione, come nel caso del buondì Motta. Nel caso in questione, invece, questo presupposto non si realizza: quello che viene promosso a livello globale non è l’albergo e i suoi servizi, ma il tema generale della deontologia degli influencer. Quindi la risposta è no, la visibilità guadagnata da questa polemica non equivale a un buon advertising sull’albergo, ma è una cosa diversa. Una prova pratica? Nessuno si ricorda come si chiama l’albergo.
    Fonte

    L’Influencer marketing paga?

    In secondo luogo, posta la non rilevanza ai fini della promozione dell’albergo, ci chiediamo in che modo questa strategia di “promozione inversa” abbia funzionato. Vi rispondiamo subito: male. Il tone of voice del commento dell’albergatore nei confronti dell’influencer non solo è stato negativo ma è stato mendace. Nel suo post replica alla blogger che la visibilità che lei offre all’ albergo non servirebbe a pagare i suoi dipendenti. Cioè quelli che dovrebbero lavorare affinché il soggiorno dell’influencer sia gradevole. In altre parole lui sostiene che la pubblicità in generale non ha valore perché non è cash. via GIPHY La replica che sorge naturale è che se un’azienda decide di fare un investimento in advertising (di qualsiasi natura, cartellonistica, eventi, spazi pubblicitari, PR) paga i propri dipendenti con il ritorno da quell’investimento, non certo dandogli a fine mese i ritagli della guida in cui il suo albergo è menzionato oppure con un comodo cartellone 3×2 da portare a casa. Se l’opinione di Paul è questa, consigliamo di chiudere tutti i canali social dell’albergo – che conta migiaia di follower, evidentemente frutto di investimenti pianificati e non casuali – visto che, al pari dell’adv, non pagano in maniera diretta gli stipendi dei dipendenti. Inoltre offrire cinque notti di pernottamento è un piccolo investimento più che ammortizzabile se Elle riuscisse a persuadere già solo 80 persone, ovvero l’1% del suo pubblico, a prenotare nello stesso hotel.

    E l’opinione pubblica?

    Si potrebbe obiettare che il grande pubblico online ha appoggiato la posizione polemica di Paul e lo dimostrano i tanti like ai post. Cosa significa in termini di comunicazione strategica? Il primo punto è quello a cui abbiamo già accennato, cioè che il consenso creato non è intorno al tema dei servizi dell’hotel ma in merito alla validità dell’influencer marketing. Un consenso che non si trasforma in valore aggiunto né per l’azienda in termini di ritorno economico né di brand awareness. Il secondo punto è che Paul ha generato questo consenso creando però una frattura, ponendo al centro del dibattito un tema divisivo che impone, per sua natura, che chi legge prenda una posizione: favorevole o contraria. I favorevoli sono immediatamente visibili in termini di like, cioè migliaia di persone, ma i contrari dove possiamo trovarli oltre che nei migliaia di commenti negativi? Intanto stanno arrivando numerose recensioni negative sulla pagina Facebook – collegata ovviamente al posizionamento SEO di Google – sulla stampa, che in diversi casi ha posto dubbi circa i modi dell’albergatore e, in ultimo, verso tutti gli influencer e sponsor a livello locale e internazionale che hanno capito di non essere persone gradite e che, in futuro, si guarderanno bene dal promuovere l’albergo o di proporre partnership. Sul fronte temporale della strategia comunicativa il consenso indotto è di breve periodo – posto che questo consenso sia monetizzabile in termini di prenotazioni – mentre la criticità è di medio-lungo periodo e mina i rapporti dell’azienda per future partnership e istituzioni che colgono tutta la disonestà intellettuale di pubblicare una richiesta che, fruttuosa o meno, era lecito porre. That’s marketing, baby.

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