Ora che qualche giorno è passato dal 30 novembre, Festa nazionale dell’Erario, sarebbe cosa buona e giusta che ogni imprenditore o libero professionista avesse cura di mettere insieme qualche dato.
Secondo la Commissione europea (rapporto Taxation Trends 2017) l’Italia è il secondo Paese europeo per aumento della pressione fiscale rispetto al Pil. Peggio di noi in questa classifica nel decennio 2005-2015 ha fatto la Grecia. Ma essere al primo posto per incremento del fisco non vuol dire avere le tasse più alte dall’Unione, perché è chiaro che nelle classifiche che tengono conto degli incrementi contano i livelli di partenza. Infatti i contribuenti greci, ad esempio, nel 2015 hanno pagato tasse per il 25,7% di Pil, quasi cinque punti in meno dell’Italia (30,2%).
Incrociando questi dati con quelli diffusi recentemente dall’Ocse, la tassazione complessiva dell'Italia lo scorso anno è stata pari al 42,9% del Pil. Praticamente cifre invertite del momento storico più felice del nostro Paese dal punto di vista fiscale. quando nel 1965 in pieno “Miracolo economico” le tasse incidevano sul Pil del 24,7%. Un lontanissimo ricordo.
Iva, più cari di noi solo i furbetti
Sempre secondo lo stesso rapporto, con il nostro 22% di Iva, super precario perché legato alla famosa clausola di salvaguardia (ovvero una di quelle norme della serie "ce lo chiede l'Europa" che prevede l'aumento automatico dell'Iva con cui lo Stato cerca di "salvaguardare" i vincoli Ue di bilancio), siamo più vicini a chi paga meno tasse di noi, come la Danimarca, con il 25%, e l’Irlanda che - chissà come mai - tanto piace ai colossi digitali del nuovo continente (23%). Mentre le economie alle quali dovremmo essere più vicini non hanno di questi problemi: in Germania l'Iva è salda al 19% dal 2007, mentre in Francia è ferma da 4 anni al 20%.
Il cuneo fiscale, beffa per imprese e lavoratori
Mettere insieme i dati, dicevamo. Lo ha fatto negli scorsi mesi il Presidente della Corte dei Conti, Arturo Martucci di Scarfizzi, che ha incrociato quelli di MEF, Equitalia, Ocse e Banca Mondiale per inserirli nel Rapporto 2017 sul Coordinamento della finanza pubblica, presentato al Senato nelle scorse settimane.
“Il cuneo fiscale – ha detto il Presidente della Corte dei Conti - colloca al livello più alto la differenza esistente nel nostro Paese fra il costo del lavoro a carico dell’imprenditore e il reddito netto che rimane in busta paga al lavoratore: il 49% prelevato a titolo di contributi (su entrambi) e di imposte (a carico del lavoratore) eccede di ben 10 punti l’onere che si registra mediamente nel resto d’Europa”.
Ma le tasse le pagano solo metà degli italiani
In una situazione così, però, l’imprenditore e titolare di partita Iva onesto che paga le tasse dovrebbe ogni anno fare un esercizio critico, per esempio iniziare a non avere più affari con chi, a un metro dalla sua saracinesca, le tasse non le paga. Siano essi altre imprese che, soprattutto, cittadini/clienti.
Numeri alla mano, secondo l’Erario nel 2015 le dichiarazioni dei redditi sono state 40,77 milioni, ma solo 30,9 milioni sono gli italiani ad aver dichiarato redditi in positivo. Quindi, considerata una base abitanti di 60,66 milioni, possiamo dedurre facilmente che oltre la metà degli italiani (il 50,9%) non ha reddito o è a carico di qualcuno. Ora, va bene tutto, ma in estrema sincerità e onestà possiamo lamentarci di molte cose ma è evidente che che i conti non tornino.
Le aziende che crescono di più
Ora, sarebbe troppo complicato aprire anche ragionamenti sulla qualità dei servizi resi in rapporto a quante tasse paghiamo, ma ragionando da imprenditori che (nonostante tutto) investono in Italia potremmo provare almeno a capire quanto stiano crescendo le nostre aziende e, quindi, la nostra competitività come Sistema Paese. Perché se è vero come è vero che paghiamo troppe tasse, saremmo comunque felici di produrre, magari creando nuove imprese e, di conseguenza, anche nuovi posti di lavoro.
Nelle scorse settimane l’Istat ha reso noti i dati sui nuovi imprenditori e le aziende che crescono più velocemente. Nel 2015 sono poco più di 375 mila gli italiani che hanno avviato una nuova attività. Per la maggior parte (il 55,8%) sono lavoratori in proprio, dato che circa 200 mila di queste attività non hanno dipendenti.
Nello stesso rapporto si parla delle cosiddette imprese “high-growth”, ovvero quelle che crescono di più. Nel periodo di riferimento in termini percentuali sono pochissime (12 mila), hanno assunto di più di altre, con una crescita dell’occupazione dell’80% in tre anni e generalmente, rispetto alle altre imprese, sono quelle orientate verso settori ad alto contenuto tecnologico/conoscitivo oltre che, naturalmente, con un livello di formazione più avanzato.
Una fotografia che vede nuovi imprenditori non proprio giovanissimi: secondo l'Istat, la quasi totalità di questi imprenditori ha più di 35 anni. Quindi non stiamo parlando di ventenni che fanno una startup nel garage di casa.
Facciamoci del male adesso
A proposito di tasse, proprio queste aziende, quelle che vanno meglio e che nonostante cuneo fiscale, la burocrazia e svantaggi competitivi di ogni tipo scelgono di far girare l’economia in Italia, sono quelle che potrebbero pagare indirettamente gli effetti della Web Tax che il Parlamento vorrebbe imporre dal 2019 ai furbetti della Silicon Valley. Ma questa è un’altra storia.