Inutile girarci intorno, abbiamo sbagliato. Come altri prima, tra cui Radio24, Vanity Fair, GQ e Panorama, ma per questo non meno colpevoli, anche noi abbiamo ripreso un termine senza approfondire la sua origine. Insomma, abbiamo fatto un errore da principianti e per questo chiediamo scusa.
"Influser": perché abbiamo sbagliato
Il primo errore che abbiamo fatto è stato utilizzare un termine, influser, che non viene dal marketing ma da una geniale trovata - dobbiamo proprio ammetterlo, visto che ci siamo cascati anche noi - di un'agenzia milanese (Influse) che ha coniato questo termine e l’ha utilizzato per parlare di micro-influencer.
Il secondo errore, più grave, è stato non spiegarvi da dove questa figura ha origine ma limitarci ad un accenno veloce in un post che di per sé non aggiungeva nulla.
L'influencer della porta accanto
Già nel 2000, Seth Godin nel suo Unleashing the Ideavirus introduce il concetto di sneezer, una persona che quando parla viene ascoltata e a cui soprattutto viene dato credito. Sono gli early adopter delle idee, quelli che sperimentano per primi e discutono della validità delle idee altrui, diventando poi potenti veicoli di trasmissione.
Seth Godin li classifica in due categorie: promiscuous sneezer e powerful sneezer. I primi hanno una carica inferiore e sono motivati dal denaro, diventando di fatto degli sponsor piuttosto che opinion leader mentre i secondi sono persone talmente potenti da generare spirito di emulazione. La cosa che rende interessante questa seconda categoria di sneezer è il fatto di non poterli “comprare” e non poter prevedere cosa potrebbe spingerli a seguire una tendenza piuttosto che un’altra. Paradossalmente, accettare di essere promotori di contenuti altrui li rende meno credibili.
«Dopo aver lasciato Yahoo!, mi sono state offerte molte opportunità che ho rifiutato» spiega Godin, parlando di se stesso. «Perché l’ho fatto? Perché non non volevo sperperare in starnuti la forza acquisita tramite il mio ultimo libro».
Con lo sviluppo del web 2.0 e dei social media gli sneezer sono diventati quelli che comunemente chiamiamo influencer e le aziende ne hanno approfittato, trasformandoli in alcuni casi in semplici testimonial, ignorando così il potere della loro influenza.
In questa visione l’influencer marketing non è altro che un tipo di pubblicità che sfrutta l’idea, da sempre esistita, che le persone emulino le scelte e le preferenze dei loro punti di riferimento. In questo non c’è nulla di male: il consumatore si fa influenzare pur capendo la differenza tra un influencer seriale che passa da una bandiera all’altra ed un personaggio che abbraccia un brand per convinzione e per coerenza con la propria professione.
Influencer marketing, i punti forti
Ricorrere alle digital PR e agli influencer incrementa l’efficacia della propria campagna marketing ed influenza concretamente anche le scelte d’acquisto dei consumatori. Grazie agli influencer, i brand sono in grado di accorciare la distanza con il loro pubblico di riferimento, mostrando il loro lato più "vero" e umano.
«Gli influencer sono una realtà, individui capaci di avere un impatto rilevante a livello di comunicazione sugli utenti e, quindi, sui brand» afferma Matteo Pogliani, autore del libro Influencer Marketing. «Figure che diventano riferimento per un network e riescono, grazie a autorevolezza e fiducia, a condizionarlo».
Nonostante quando si parli di influencer la mente corra subito ai top blogger o agli instagrammer, è vero anche che tutti siamo potenzialmente in grado di generare influenza e diventare un riferimento per la nostra rete sociale, anche grazie all’utilizzo dei social network. Si parla quindi di micro-influencer: consumatori “evoluti”, informati, attenti alle novità e pronti a condividerle nella cerchia di contatti caratterizzati da un’audience minima ma dal fortissimo grado di credibilità, capaci di generare fiducia.
Ma non è tutto, secondo una ricerca di Edelman, sono proprio le persone che sono più vicine a noi ad essere più credibili di quanto possano essere invece vip oppure figure esposte.
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Quando l’influencer marketing perde potenza
Gli influencer diventano poco credibili quando non esiste un legame tra la loro persona ed il prodotto: il potere degli influencer, infatti, funziona quando c’è un forte legame tra le capacità dell’individuo e la qualità del prodotto/servizio. Se manca questa dinamica che rende verosimile l’uso da parte dell’influencer, oppure viene meno un'affinità di target, si crea frizione. Nei social media questa dinamica viene esasperata a causa dell’elemento numerico ed alla difficoltà, da parte delle aziende, di riuscire a selezionare i micro-influencer giusti.
Quello che deriva è influencer marketing, uno strumento di per sé potentissimo, fatto male oppure improvvisato che danneggia tutto il settore. Un esempio di quest’ultima tendenza è l’utilizzo, assolutamente sbagliato, dei social come baratto: tu mi regali il prodotto ed io faccio una recensione.
In conclusione
Guardando al futuro, il marketing non potrà prescindere dall’influencer marketing inteso come strumento strategico e complesso in grado di creare sinergie che possano rendere il prodotto più “vero” ed accessibile. Non si tratta di fare pubblicità in un modo diverso, ma di comunicare in modo più efficace, ricco ed attendibile grazie alla posizione degli influencer coinvolti.
Il valore aggiunto che l’influencer marketing può portare al marketing in generale è proprio l’autenticità, strumento principe per arrivare all’utente o al consumatore.
In conclusione, non possono mancare di nuovo le nostre scuse. Ed anche la promessa per i futuro di un’attenzione costante nella ricerca e nella verifica delle fonti.