Siamo stati a Monaco ad uno dei più grandi eventi di tecnologie immersive d’Europa: l’AWE Europe 2017, edizione europea dell’Augmented Reality World Expo.
Più di 1500 partecipanti strettamente legati ai settori della VR e AR, 115 speakers internazionali, 90 esibitori e sponsor come Google, Bosch, Coca-Cola e Nvidia, si sono incontrati per discutere le frontiere dei mondi digitali e le loro applicazioni in ambiti diversi ma sempre più connessi.
I guru della VR
Tra gli ideatori dell’evento troviamo Ori Inbar, eclettico fondatore di Super Ventures fondo dedicato alla AR e di AugmentedReality.org, e Tom Emrich, spesso definito “l’uomo del futuro”, tra i più importanti influencer in ambito tecnologie immersive e wearables. Grazie a loro e alla community formatasi attorno all’evento, da anni AWE stimola l’innovazione catalizzando un networking acceso e dinamico tra startup, aziende, ricercatori e creatori per innovare ben oltre al semplice entertainment.
Hardware e contenuti
Nell’area Expo, inutile dirlo, si vedevano ovunque visori VR e occhiali AR (notevoli gli elmetti AR di Daqri per l’assistenza sul lavoro).
Inbar ha aperto la scena nella Main Hall ripercorrendo la rapida evoluzione di questa tecnologia negli ultimi anni e che rappresenta la next platform dove le informazioni verranno visualizzate, elaborate e create.
L’hardware rappresenta ancora un ostacolo alla diffusione di massa (colpa di prezzi e ingombro fisico), ma non vi sono dubbi che proprio grazie alle svariate iterazioni di glasses e visori (invece che su smartphone) queste tecnologie mostreranno il loro vero potenziale.
La vera sfida si gioca sui contenuti, sul software e know how che richiede collaborazione tra designer e ingegneri, arte e programmazione, visione e strategie di business dirompenti. In tutti i campi, le tecnologie immersive spingono, non solo gli utenti ma in primis i produttori, ad un netto cambio di prospettiva.
Intelligenza artificiale e realtà virtuale
Secondo Thad Starner, Professore di Informatica del Georgia Institute of Technology, la AR non rappresenta un’opportunità solo per noi, umani, ma una grande finestra sul mondo per le intelligenze artificiali. Finora le IA sono state allenate a riconoscere oggetti, scene, pattern, sondando i contenuti del web. Perché invece non mostrare loro il mondo attraverso i nostri occhi, dove guardiamo, cosa facciamo, come manipoliamo l’ambiente circostante? Farlo è possibile associando a visori AR le IA, arricchendo il bagaglio di dati con microfoni, sensori wearables e BCI (brain-computer interfaces).
Il risultato? Assistenti digitali maturati attraverso le nostre esperienze, “ghosts in the glasses” profondamente adattati alle nostre routine e esigenze.
Big data e realtà virtuale
E a proposito di dati. Nell’era della computer vision e della scansione degli ambienti strettamente collegata a database online, possiamo forse continuare a cercare informazioni attraverso barre di ricerca e portali? Google cambierà, gli analytics evolveranno, l’interazione diventerà informazione, supportata da machine learning e nuove dimensioni di accesso ai dati. CognitiveVR, ad esempio, basa il suo business sulla raccolta di dati tramite VR e AR. I campi di applicazione variano dall’automotive, alla produzione industriale fino al medicale.
L’innovazione sta non solo nei dati raccolti ma nel mondo in cui essi vengono presentati, fruiti direttamente “out-reality”, immediati e su misura dell’utente. Come dichiarato da Dirk Schart di RE’FLEKT, l’obiettivo è evolvere dalla “search engine era” alla “Jarvis era”, dove gli utenti saranno circondati dalle informazioni più adatte e contestuali e l’interazione avverrà mediante interfacce olografiche.
A proposito di ologrammi date un’occhiata qui...
La vera sfida, il tatto
I diversi panel portano alla luce un punto chiave: vista e udito non bastano più. Sono i nostri sensi primari, quelli che monopolizzano la nostra percezione, ma le realtà immersive necessitano di un ulteriore passo: il tatto. Numerosi interventi hanno sottolineato l’importanza delle tecnologie aptiche, “touch makes it real”. Il tatto offre interazione, senso di realtà, vicinanza che non possiamo separare da noi stessi a oltranza.
Quali le soluzioni? Questo è ancora un problema: guanti, tute, sensori. Ma chi di noi vorrebbe davvero indossare questo armamentario nella vita di tutti i giorni? Il mercato consumer attende soluzioni innovative, post hardware, e il campo di gioco rimane aperto a qualsiasi idea.
AR e VR possono fare tanto per il fashion
Diverse le soluzioni proposte invece in ambito commerciale, fashion e arte. Come sottolineato dal performance artist Amir Baradaran, AR e VR sono uno campo di sperimentazione straordinario, per nulla compromesso dai limiti delle odierne soluzioni, anzi. Ogni difetto diventa esso stesso parte del processo creativo favorendo il lavoro sul contenuto piuttosto che sulla performance tecnologica. A fianco della sperimentazione, nascono poi progetti per innovare l’approccio all’arte come Artivive, o per facilitare il rapporto tra creatori e clienti, come nel caso della startup ucraina Virtmotion, che punta a realizzare il Pinterest in AR per jewelry designer e tattoo artist.
La Virtual World Society
La morale di AWE Europe 2017 è che le realtà immersive sono ancora terre di confine, ci troviamo nel pieno della fase pionieristica della loro colonizzazione. Non vi sono standard, né piattaforme definitive. Possiamo costruirle noi, adesso, attraverso investimenti, ricerca e attente riflessioni. Mai come adesso è fondamentale il networking tra realtà vicine e lontane (ma poi nell’era di internet ha senso più parlare di distanza?). La condivisione di idee diventa un laboratorio per prototipare le VR e AR del futuro, a favore di un impatto costruttivo sulla vita di tutti i giorni.
E' un po' la missione della Virtual World Society, fondata dai pionieri della VR (attivi da ben 30-40 anni nel settore) quali Tom Furness e Christopher Stapleton, che stimolano la comunità internazionale con gruppi di ricerca organizzati tra attivisti VR, ricercatori e istituzioni per facilitare un’evoluzione di queste tecnologie al servizio della società e senza escludere dal progresso le tante piccole realtà che si stanno affacciando al settore. E’ il caso di Anastasia Miron, a lavoro su Child Proof Yourself, progetto in VR per sensibilizzare e supportare le giovani mamme nei confronti delle necessità emotive e psicologiche dei propri bambini, o di Navid Navab, che ha trasformato la sua ricerca artistica nel mondo del suono in strumento per stimolare la ricerca medico-chirurgica in collaborazione con medici e ingegneri dell’Università di Monaco.
AWE Europe 2017 ci dimostra come vivere in un mondo connesso non possiede solo una connotazione tecnica, ma va valorizzata soprattutto con una forte connessione tra menti, esperienze e professioni. Il futuro è mixed reality, su entrambi i lati dello schermo.