“Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso.”
Così esordiva Albert Einstein in una lettera allo scrittore svizzero Carl Seeling nel 1952.
L’elemento "curiosità" assume sempre più importanza in molti settori. La ricerca del candidato perfetto, già da qualche tempo e sempre più in futuro, non si baserà solamente su quanto già appreso, ma sulla capacità di apprendere, e la curiosità umana giocherà un ruolo molto più importante rispetto al passato. Perché?
L’intelligenza artificiale (IA), tema caldo del momento, anche se non è nuovo. Già nel 1997 Deep Blue, la IA di IBM batteva il campione mondiale di scacchi Kasparov, e un anno fa AlphaGo, la IA di Google DeepMind, ha battuto uno dei campioni mondiali di Go, un gioco cinese con innumerevoli mosse possibili.
Apprendimento: Macchina 1- Uomo 0
Le capacità di apprendimento dell'intelligenza artificiale è molto superiore a quella umana. Ogni IA ha un determinato obiettivo, il quale diventa la sua unica priorità: per questo l’apprendimento di informazioni che porta al raggiungimento di esso, è potenzialmente senza limiti.
Prendiamo per esempio una self-driving car: ha un solo obiettivo, che si preoccuperà di raggiungere. Non si preoccuperà di cercare la canzone giusta per accompagnare a destinazione il proprio passeggero, rispondere al telefono o pensare a quando prenotare il biglietto aereo per andare in vacanza. In questo senso la self driving car è molto più efficiente di noi. Così, per certi versi, lo è uno degli antenati dell’intelligenza artificiale: la calcolatrice, che ha delle abilità aritmetiche superiori a qualunque essere umano.
La AI è consciousness-free, libera dal flusso di coscienza che ben caratterizza la specie umana.
Ma andiamo oltre il fattore “apprendimento”.
L’intelligenza artificiale potrà mai diventare più curiosa dell’essere umano?
La principale caratteristica di tutte le tecnologie è l’efficienza. L’intelligenza artificiale come tutte le altre tecnologie è programmata, o meglio istruita, per elaborare un determinato compito: una sola intelligenza dedicata ad un lavoro specifico.
Come invece sottolinea Kevin Kelly, studioso di cultura digitale e fondatore di Wired, nelle nostre menti ci sono molti tipi di intelligenza: abbiamo il ragionamento deduttivo, l’intelligenza emotiva, l’intelligenza spaziale.
Si, siamo esseri complicati, e, in quanto tali, caratterizzati da un qualcosa che probabilmente la IA non potrà mai incorporare: la curiosità di cui parlava Einstein, quella curiosità che può emergere in molteplici campi, anche sconnessi tra di loro. Siamo decisamente ad una nuova rivoluzione industriale. Nella prima l’uomo si preoccupava delle macchine come “forza artificiale” e della conseguente perdita dei posti di lavoro, (che si è effettivamente verificata), però se ne sono creati anche tanti altri. Ma è anche questo il costo dell’innovazione e dell'evoluzione.
Non è stato sempre cosi d’altronde? La storia è ciclica, i cambiamenti e l’innovazione portano nuovi interrogativi. Da Matrix a Westworld, il quesito è lo stesso: e se l’intelligenza artificiale diventasse più abile di noi?
La nascita di qualcosa porta con sé la paura del nuovo: Seneca (tutore di Nerone) ammonì la nascita dei libri come causa di distrazione; l’arrivo della stampa nel ‘400 e il conseguente accumulo di libri preoccupava Leibniz di un ritorno alla barbarie; e ancora la nascita del telefono portò con se preoccupazioni relative al nostro modo di conversare in maniera civile.
Una nuova era
Dopo l’era dell’industrializzazione, seguita dall’era dell’informazione, siamo ora sul nascere di una nuova era , un’ “Era Aumentata” in cui la collaborazione uomo - macchina può portare a raggiungerci risultati inimmaginabili.
È vero che il nostro apprendimento verso materie per cui non nutriamo alcun interesse non potrà mai aggiungere i livelli dell'IA, e che un computer sarà sempre più veloce di noi nel testare un’idea se ha un obiettivo prefissato e informazioni ben precise.
I computer però mancano di un neuro-sistema che riesce a collegare i problemi in maniera analoga e magari connetterli ad esperienze passate e non correlate al problema presente. Per esempio, un algoritmo che riconosce caratteristiche ed espressioni del viso o programmato per il riconoscimento di immagini non saprà giocare a dama o ad un videogame.
In altre parole, in termini di performance, la IA supera di gran lunga l’uomo, ma quando parliamo di curiosità e la passione verso i propri interessi, queste sono caratteristiche tipicamente umane.