Sarà capitato a molti di avere un amico su Facebook o Instagram che posta tantissime foto dei figli: ben presto ci ritroviamo a conoscere una larga serie di informazioni su questi bambini esposti online. Conosciamo i loro gusti, li abbiamo visti con il costumino da bagno e sappiamo quale scuola frequentano. Di alcuni abbiamo anche visto la geolocalizzazione della casa del loro amichetto preferito. Ma queste informazioni non sono solo in nostro "possesso", ma lo sono anche delle piattaforme che custodiscono i nostri dati.
Il futuro dei nostri bambini
Il primo punto da analizzare è riguardo le informazioni che mettiamo online. Foto, video, post, geolocalizzazioni: il rischio di diffondere questa lunga serie di dati sensibili non è - come alcuni genitori potranno subito pensare - da valutare esclusivamente in relazione a cattivi intenzionati dall'impermeabile color cammello (immaginatevi se qualcuno riuscisse ad hackerare il telefono di vostra figlia undicenne e a gelocalizzarla) ma sul piano del futuro di questi bambini. Il primo è un rischio possibile ma non probabile, il secondo invece è quello che quasi sicuramente accadrà ai bambini di oggi e adulti di domani.
Quello di cui stiamo parlando è la possibilità - concreta - che l'ammissione all'università di vostro figlio venga decisa sfogliando i suoi dati online. Guardando le sue foto da ragazzino, quella foto che gli avete fatto con il pannolino nel salotto, una foto tanto innocente quanto eloquente. Una foto in cui voi rivedete la tenerezza di un momento ma che altri giudicheranno in base all'estrazione sociale, alla public presence del ragazzo, al suo contesto familiare. E ancora i selezionatori dello stage per praticante avvocato potranno trovare online il video girato da quattordicenne sbronzo con i suoi amici e decretare che il suo profilo non è il linea con quello dell'azienda.
Fantascienza? Secondo Career Builder - uno dei più grandi portali per la ricerca di lavoro a livello mondiale - il 59% dei datori di lavoro affermano di essere influenzati dall'identità digitale del candidato. Più della metà.
Papà, chi sono io?
Il secondo punto su cui riflettere è il consenso. Di chi? Di nostro figlio, ovviamente. Ogni giorno postiamo numerosi contenuti che contribuiscono alla costruzione della sua identità digitale. Chi è, cosa fa, cosa gli piace. Sicuramente come tutori potete ampiamente disporre della possibilità di parlare di loro, ma avete davvero il diritto di definirli come persone digitali? Siamo sicuri che raggiunta la maggiore età siano felici di quel video che gli avete fatto - e disponibile a tutti online - dove non riesce a dire le tabelline? Oppure il racconto che narra della sua nascita del tutto casuale e non voluta? Come li farà sentire leggere che un suo genitore ha precisamente, chiaramente, innegabilmente scritto nero su bianco che si era quasi pentito di averlo fatto nascere?
I vecchi litigi genitore-figlio si sono sempre basati su fatti del tutto controvertibili su base della propria memoria: quella frase detestabile pronunciata in una giornata negativa da nostra madre è sbiadita con il tempo e non siamo nemmeno più tanto sicuri l'abbia detto veramente. Adesso, invece, accumuliamo ricordi indelebili.
Prevedere il futuro
Il terzo punto da considerare è come evolveranno le piattaforme social. I dati che le piattaforme immagazzinano aumentano sempre di più e al momento arricchiscono i provider grazie all'utilizzo di questi dati per una pubblicità sempre più targettizzata. Possiamo però immaginare che non sarà sempre così. Ogni giorno le piattaforme social cambiano i loro contratti, le loro policy e anche i loro accordi finanziari.
Un esempio interessante è sicuramente com'è cambiato il software di elaborazione delle immagini di Facebook: inizialmente noi caricavamo le nostre foto online ed era finità lì. Adesso quando uploadiamo un'immagine è lo stesso software a suggerirci i possibili tag riconoscendo i volti. Immaginate le implicazioni se questo software continuasse ad evolvere fino a riconoscere la stessa identità a diverse età, a connettere cioè le nostre foto da bambini, con le nostre foto da adolescenti e infine da adulti. Caricando le foto dei nostri figli potremmo star fornendo le informazioni necessarie per tracciare senza dubbio alcuno la sua identità in relazione a ogni reato, debolezza e piccolo peccatuccio di nostro figlio. E questo è solo uno dei tanti possibili scenari. E nemmeno il più apocalittico.
Quindi basta, non posto niente!
Non bisogna essere così estremi ovviamente. Ci sono molti genitori che non postano assolutamente nulla. Infondo non è giusto limitare il proprio desiderio di condividere le piccole grandi gioie del nostro quotidiano e, inoltre, appare impossibile non lasciare in assoluto un'impronta digitale dei propri figli.
Un'idea per preservare l'identità digitale di vostro figlio potrebbe essere quella di non citarne mai il nome per esteso, non geolocalizzarlo nè tantomeno taggarlo o fornire troppe informazioni sensibili con leggerezza. Sarebbe utile evitare riferimenti alla scuola e ai luoghi frequentati così come le foto che presentano anche parziale nudità del soggetto.
La nuova generazione ha un rapporto del tutto diverso con la privacy e appare molto più cosciente della precedente dei rischi di fornire - senza un opportuno controllo - i propri dati online. Non è un caso che tra i giovanissimi il social più utilizzato sia Snapchat che trova il suo punto di forza nella temporaneità dei contenuti. Se non essere online non è possibile - e nemmeno consigliabile secondo noi per alcune professioni - quello che è importante è una rinnovata consapevolezza del valore dei dati che ogni giorno forniamo online.
Come genitori si è chiamati a una nuova sfida: educare i figli sui pericoli e le grandi opportunità della rete. Dal mangiare con la bocca chiusa non mandare foto di nudo al fidanzatino/a; in tempi complessi c'è bisogno di una sempre maggiore pragmaticità delle figure genitoriali che dovrebbero trovare un equilibrio tra il negare e il sovraesporre. Infondo, riflettendoci, non è cambiato nulla da quando i nostri genitori discutevano se fosse giusto o meno comprarci il motorino. O forse no.