Andare a lavorare all’estero non significa solo cercare un posto di lavoro, ma in moltissimi casi, crearlo. Stiamo assistendo, ad esempio, al fenomeno di delocalizzazione delle startup: i giovani imprenditori italiani con idee vincenti si trasferiscono all’estero per fondare le loro aziende.
I motivi? Sgravi fiscali, burocrazia semplificata, minor tassazione e una platea di imprenditori interessati ad investire in nuove idee.
I giovani startupper, insomma, preferiscono la Silicon Valley o le grandi capitali europee per fare business, ma la partenza non è così semplice. Si sa cosa si lascia ma non cosa si trova, anche in materia di comportamenti d’acquisto dei clienti.
Creare una startup all’estero: si può fare!
Pronti, via! L’idea c’è, le capacità anche, serve solo decidere dove si vuole aprire la propria startup, se in Italia o all’estero.
Prima di tutto è necessario analizzare il panorama Italia, che negli ultimi anni sembra non essere più così chiuso nei confronti delle nuove idee. In fondo il Bel Paese è sempre stato la patria delle piccole realtà aziendali, ma se dopo la nostra analisi capiamo che l’Italia non fa per noi è giunto il momento di scegliere il Paese dove installarsi, fare seguito a tutti gli adempimenti burocratici necessari, cercare, con tanta pazienza, il tessuto economico, investitori e partner, che troviamo più adatti a noi, analizzare a fondo i competitors che potremmo trovare nel nuovo mondo e infine andare a scuola di inglese, lingua ufficiale e fondamentale per fare business all’estero.
Se tutta questa lista è stata spuntata, allora siamo pronti per dedicare del tempo a collocare la nostra startup, il nostro prodotto o servizio, nella rete economica locale.
È importante partire dalle abitudini del consumatore finale: parlare la stessa lingua e soddisfarne a pieno i bisogni, cambiare qualcosa della nostra identità se fosse necessario. La frase il cliente ha sempre ragione rimane un must in fatto di business.
Alcuni esempi, anche di grandi brand, ci fanno capire cosa significhi diventare parte integrante del nuovo sistema economico.
KFC, il celebre brand del pollo fritto, in Canada ha dovuto cambiare il suo nome in PFK (Poulet Frit Kentucky) per parlare la lingua del proprio consumatore finale. Un piccolo cambiamento per un grande obiettivo, essere compreso e riconosciuto dal cliente.
Secondo caso è quello di Molson Coors’, un brand di birra artigianale, che ha deciso di lanciare in USA e in Canada il suo prodotto con due nomi diversi, Blue Moon e Belgian Moon, in quanto nel secondo Stato la percezione che la birra fosse belga e quindi artigiana aveva un certo appeal.
Libera circolazione di startup, in arrivo fondi e bandi per fare startup in Europa
Le istituzioni italiane ed europee hanno ormai smesso di stare solo a guardare, ma, attraverso iniziative di rilancio e bandi d’investimento, vogliono supportare chi decide di fare startup sul territorio europeo.
Per quanto riguarda il Bel Paese è nato quest’anno il progetto InnovAzione - Assistenza allo Sviluppo Internazionale di startup innovative. Un’iniziativa voluta da Assocamerestero, Camere di Commercio italiane all’estero in collaborazione con ICE-Agenzia con il sostegno del Ministero dello Sviluppo Economico, dedicata alla promozione all’estero e internazionalizzazione delle imprese italiane. Grazie a questo progetto è stato indetto un bando per gli incubatori sul territorio italiano a candidare le loro startup più meritevoli da inserire nel programma di apertura verso l’estero.
In Europa, invece, i giochi riguardano veri e propri finanziamenti, oltre che servizi ed informazioni utili, per le startup che vogliono aprire all’estero. Un settore, in particolare, viene indicato come quello più adatto a ricevere tali fondi: il comparto ICT, in cui la domanda di professionisti e competenze è in continua crescita, ma il numero di laureati in informatica in drastica diminuzione.
Il ruolo dell’Unione Europea rimane comunque molto attivo grazie a servizi come quello per trovare collaborazioni e fare reti di impresa. I programmi attivi sono: Fiware per le startup del web, un programma nell’ambito di Horizon 2020 rivolto alle piccole imprese, e Cosme o Eurostars, nati per aiutare le startup nella fase di ricerca e sviluppo.
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Successi italiani all’estero: il caso Algida
Di startup all’estero che hanno fatto carriera proprio perché collocate oltre confine, abbiamo già alcuni esempi, da quelle del comparto ICT come Mashape o Coderloop o C3DNA, fino a chi implementa strumenti social come MySmark o Speaker, o chi ancora si occupa di turismo come Bravofly, editoria per Timbuktu e fiere ed eventi per WhereInFair.
Ciò che ha accomunato queste e altre startup di successo internazionale è stata proprio la voglia di aprire all’estero perchè in Italia la loro idea o non è stata presa in considerazione o non ha incontrato le platee giuste per sfondare con, ovviamente, un conseguente impoverimento del tessuto aziendale nel nostro Paese.
Ma le startup che oggi sbarcano all’estero si può dire che abbiano avuto un predecessore di eccellenza. Non era una starup ma un’azienda italiana fondata nel 1945 in uno dei settori per eccellenza in Italia: il gelato. Il suo nome è Algida ed oggi è di proprietà del gruppo Unilever.
Algida può essere considerato un perfetto esempio di “mimetizzazione nel nuovo tessuto economico”. Il logo è lo stesso cuore di panna bianco e rosso in tutto il mondo, ma il nome cambia: da Algida in Italia a HB negli USA, da Selecta nelle Filippine a Frigo in Spagna. La scelta è stata dettata da una politica ben precisa: tenere il logo universalmente riconoscibile, un vero e proprio codice comunicativo, ma cambiare il nome del brand a seconda delle abitudini del consumatore, così che ogni amante del gelato in tutto il mondo senta il brand come suo, vicino alla sua realtà.
Insomma un bel passo rispetto al Cremino degli anni '40.