In guerra, in amore ed in campagna elettorale tutto è concesso.
Detto ciò, superate le elezioni dello scorso 5 giugno, ed in vista dei ballottaggi del 19, la domanda sorge spontanea: ma sui social, tutto è concesso sempre e comunque?
Chi segue la politica o chi semplicemente segue alcuni personaggi politici sui social avrà notato la differenza: ma il 4 giugno non si sarebbe dovuto rispettare il silenzio elettorale?
Silenzio elettorale, appunto, questo sconosciuto.
Ebbene sì, qualcuno lo ha rispettato ed altri no. Chi? Beh, prendiamo due città italiane, una al Nord ed una al Sud, entrambe con un candidato donna e un candidato uomo. E premettiamo che siamo assolutamente neutrali.
Roma, per iniziare: Giachetti vs Raggi. Per una questione di par condicio, ci limitiamo solo a postare un contenuto del giorno 4 giugno, giorno, teoricamente, dedicato al silenzio elettorale.
Raggi su Facebook, postato alle ore 14:45 del 04 Giugno 2016
Giachetti, 4 Giugno nessun post. Ecco quello del 5 Giugno:
Da Roma, passiamo a Torino:
Appendino vs Fassino.
Un post di Fassino del 4 Giugno 2016 delle ore 14:13
Post di Appendino del 4 Giugno 2016 delle 11:02
Notate la differenza? In entrambe le città troviamo due atteggiamenti opposti: la volontà di continuare ad affermarsi e dall'altra il silenzio, il non voler danneggiare questo momento con altre parole e post.
Quindi, cari lettori ninja, vi starete chiedendo: chi ha torto o ragione?
Facciamo prima un passo indietro: cos'è il silenzio elettorale?
L'obbligo, da parte di un candidato, di non compiere atti di propaganda il giorno prima del voto ovvero, in questo caso, interrompere l'attività di comunicazione elettorale allo scadere della mezzanotte dello scorso 3 giugno. Quindi: stop comizi e stop alla propaganda entro i 200 metri dai seggi.
Ma, quanto dista Facebook dal vostro seggio?
Facciamo un passo avanti, riconoscendo il valore del silenzio elettorale che permette all'elettore di poter riflettere e valutare la migliore scelta possibile. Per questo motivo, riconosciuta l'importanza del momento è stata approvata la legge che disciplina la campagna elettorale.
Risale al 1956, per essere più precisi, è la numero 212 del 4 aprile e all'articolo 9 si legge:
"1) Nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali
murali o altri e manifesti di propaganda.
2) Nei giorni destinati alla votazione altresì è vietata ogni forma di propaganda elettorale entro il raggio di 200 metri dall'ingresso delle sezioni elettorali.
3) È consentita la nuova affissione di giornali quotidiani o periodici nelle bacheche previste all'art. 1 della presente legge.
4) Chiunque contravviene alle norme di cui al presente articolo è punito con la reclusione fino ad un anno e con la multa da lire 100.000 a lire 1.000.000."
Nel 1985 vi è stata poi un'integrazione in merito alla comunicazione radiotelevisiva, ma siamo ancora lontani per poter arrivare ad un punto completo e risoluto.
Ma dal 1985 al 2016, quanto tempo è passato e quante cose sono cambiate?
Troppe domande per un'unica risposta: il silenzio elettorale sui social non esiste. Ebbene sì, è il caso di parlare di vuoto legislativo: nessuno fino ad ora ha pensato di valutare adeguatamente il peso che i social hanno nella vita di tutti i giorni.
Come si potrebbe impedire a tutti i cittadini di non postare le proprie opinioni su Facebook o su Twitter? In un'era in cui il voto è più social che segreto ed in attesa che questo aspetto venga disciplinato, torniamo alla domanda primordiale: chi ha torto o ragione?
Tutti o nessuno. Nessuno vieta ad un candidato dunque di fare propaganda su Facebook, ma né tantomeno nessuno suggerisce di scatenarsi in post e commenti selvaggi.
Il pensiero originale ed elegante di preservare i cittadini dalla caccia al voto, almeno il giorno prima, però non sarebbe poi così male.