Dopo mesi di primarie tra le più combattute e verbalmente violente della storia d'America si arriva allo scontro finale che non ti aspetti: il nuovo presidente degli Stati Uniti sarà uno tra Hillary Clinton e Donald Trump. Ma davvero era una conclusione così inaspettata? Il movimento sui media ha sempre anticipato la nomination, dai tempi in cui solo la TV la faceva da padrone: il frontrunner detta l'agenda, gli altri diventano sfidanti solo nel momento in cui sono costretti a rincorrere.
In campo repubblicano, dall'Iowa ad oggi, c'è stato un solo protagonista: il tycoon di New York. Come ha scritto Ann Coulter: "Trump è un signore che ha vinto la nomination repubblicana senza spendere grandi budget, senza praticamente fare spot TV, senza pagare sondaggi..."
I numeri, in effetti, parlano chiaro: secondo il New York Times Hillary ha fino ad oggi racimolato la bellezza di 262 milioni di dollari, e ne ha spesi già 157. Trump ha invece investito nella corsa alla nomination "solo" 50 milioni (gran parte di tasca sua) spendendone circa 47.
Trump è il re delle interazioni sui social media
Nonostante questo dispendio di risorse il miliardario di NY ha guidato le interazioni distanziando la corazzata Clinton e anche la social star Bernie Sanders. Osserviamo gli ultimi 30 giorni, secondo Crowdbubble, Trump ha ricevuto più del doppio dell'engagement di Hillary.
Il candidato non convenzionale usa i social in maniera anti-convenzionale. E pensare che proprio il capo di Facebook, Mark Zuckerberg (già donatore delle due campagne di Obama) ha di recente fatto una dichiarazione contro chi "Invoca la costruzione di muri e vuole distanziare le persone le une dalle altre". Un vero paradosso, dato che proprio in Facebook, Trump ottiene i maggiori consensi.
Il social engagement si tradurrà in voti?
Se le persone votassero come si stanno comportando sui social, Trump sarebbe già il prossimo POTUS. Tuttavia, ad oggi, non esistono statistiche chiare sull'influsso dei social media nella cabina elettorale. I "Mi Piace" riusciranno mai a trasformarsi in voti? Una risposta che sarà molto importante e decisiva, per la prima volta nella storia. Anche se ancora si deve fare i conti con gli spot TV (dove Trump è stato pressoché assente) e con il porta-a-porta (la macchina da guerra di "Billary" è tra le più radicate e rodate della storia americana).
Gli anni d'oro della rissa
La pubblicità negativa è la più popolare tra tutte le forme di propaganda elettorale americana, è qui che si spendono i grandi budget ed è sempre qui che il terreno di scontro diventa più scivoloso, man mano che ci si avvicina all'election day. Il messaggio che questo tipo di comunicazione vuole trasmettere non è tanto "il mio prodotto è migliore", quando piuttosto "il tuo è peggiore".
Questo modo rissoso di farsi promozione si declina in messaggi che mirano a screditare l'avversario, criticandone il carattere, il passato, le precedenti dichiarazioni e la vita privata.
Possiamo dire che la pubblicità negativa c'è sempre stata o è una peculiarità di questi anni? Il "The Wesleyan Media Project" ha redatto un grafico piuttosto esplicito da questo punto di vista, in cui è lampante l'influenza crescente dei negative ads.
Da una prospettiva storica, è anche plausibile che l'estremo focus dei new media sul chiacchiericcio, lo scambio rapido di accuse, le battute in 140 caratteri e la polemica a tutti costi (che fa più audience ed arriva prima) abbia accelerato questo processo, rendendo il dibattito sempre più "rissoso".
Perché Hillary è in svantaggio
Per chi parte già con un vantaggio - di popolarità sui sondaggi, ad esempio - fare "negative advertising" può non rappresentare la scelta più saggia, considerato che il rischio di dare legittimità e notorietà all'avversario è sempre in agguato. Ma a quale pubblico è diretta la pubblicità negativa? Non certo a chi è già convinto delle sue idee; in queste persone, un messaggio offensivo verso il proprio candidato, può sortire perfino l'effetto opposto: gli attacchi potrebbero essere interpretati come una minaccia al proprio sistema di valori, stimolando contro-argomentazioni per radicare ancora di più la convinzione di sostenere lo schieramento giusto. Una sorta di complesso di Willy il Coyote: simpatizziamo per i secondi, per quelli presi di mira e attaccati da tutti.
Ecco spiegato perché Hillary sta investendo moltissimo in pubblicità negativa: la sua corsa è già diventata una rincorsa su Trump, che la obbliga alla rissa per puntare sull'elettorato leaning, a partire dai repubblicani delusi del #NeverTrump. Sarà sul campo degli indecisi che si giocherà la sfida di novembre, come dimostra l'ultimo sondaggio di Fox News.
Gli attacchi di Hillary si fanno ogni giorno più pesanti ed oltre la metà dei suoi spot dell'ultimo mese sono dedicati ad uno scontro frontale verso il rivale, che (per ora) se ne sta a guardare e si limita a scaramucce. Ecco ad esempio questo recente AD, veicolato su Twitter, che mira a spaccare la base del GOP:
"President Trump" is a dangerous proposition.
Mitt Romney, Ted Cruz, and Marco Rubio agree.https://t.co/fUkISvgaXC
— Hillary Clinton (@HillaryClinton) 4 maggio 2016
Tutti i crucci di Hillary
Nonostante i sondaggi le accreditino un vantaggio complessivo sul tycoon, la Clinton sa bene che:
- Trump è popolarissimo anche tra i dem e, soprattutto, tra la grande maggioranza dei "delusi dalla politica".
- Che la sua propaganda negativa contro di lei non tarderà ad arrivare, e sarà probabilmente la più violenta di sempre. Non c'entrano le facili battute maschiliste, ma scheletri nell'armadio ben più importanti che fino ad oggi sono stati soltanto sussurrati (Vi dice qualcosa Benghazi e lo scandalo delle e-mail?).
- Che Trump ha una insolita capacità di etichettare l'avversario con epiteti da cui difficilmente ci si può liberare: Marco Rubio diventò "Little Marco" e Ted Cruz "Lying Ted". Un epiteto, quello di "Ted il bugiardo", affibbiato già in Iowa (dove Trump denunciò dei presunti brogli elettorali) e che, a forza di ripeterlo, è presto diventato un problema reale per il senatore texano, costretto recentemente al ritiro.
- Che il tycoon (grazie al tam tam sui social e sulle TV) ha speso ancora pochissimo e ha una enorme liquidità da sfruttare di cui ad oggi non si è neanche intravisto il potenziale.
Da parte sua Trump sa bene che (soltanto per Cleveland) il SuperPAC di Billary ha già in serbo per lui 70 milioni da investire in negative advertising. Chi sarà il prossimo a rincorrere?