Li abbiamo conosciuti durante il Fuorisalone e subito gli oggetti creati da Margherita Paleari e Matteo Facchi hanno suscitato la nostra più profonda curiosità. Solo dopo abbiamo scoperto che in realtà i prodotti di Dozen Design erano lì proprio per osservare le nostre reazioni.
Verrebbe quasi da chiamarle opere, più che prodotti, perché il confine tra arte e design nella ricerca di questa giovane startup è davvero sottile, sostenuto anche dall'abilità nella lavorazione del legno del collettivo di legnamé Co-Mo-Co, che materialmente realizza le idee concepite da Margherita e Matteo.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con i fondatori di Dozen Design, che ci hanno aiutato a capire in che direzione si muove oggi il design e qual è il vero valore del Made in Italy, in un settore che sembra sempre più spostarsi dal funzionale al rapporto tra oggetto e cliente-fruitore.
Come sta cambiando oggi il design in relazione alla nuova consapevolezza del valore artigianale del Made in Italy?
Margherita: Si sono aperte nuove strade, nuove opportunità di sperimentazione progettuale, lontane dalle logiche della produzione di serie, dalle logiche dei numeri.
In questo nuovo territorio di confine fra design e arte i numeri diventano quelli delle limited edition e la qualità della manifattura diventa centrale. I prodotti possono rispondere liberamente alle esigenze di micro-nicchie. È lo step verso un certo custom-design, un made-to-order che permette libera espressione creativa del designer e può riportare il cliente in un ruolo attivo di committente ovvero, usando una chiave di lettura del mondo digitale, di early adopter.
Il cliente ha il piacere di scoprire, scegliere e adottare per primo nuovi linguaggi, scegliendo oggetti di design non-industriale dall’alto valore progettuale, estetico ed emozionale.
Matteo: La consapevolezza del valore artigianale del Made in Italy è più sviluppata negli USA e in Cina che in Italia.
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"Scienza delle soluzioni immaginarie". Definireste così il design?
Margherita: Allontanandosi da logiche iperfunzionaliste che vedono al centro del progetto e, quindi, dell’intero processo di design, un problema, un bisogno concreto, un’esigenza reale, possiamo trovare uno spazio in cui gli oggetti rispondono ad un legittimo e diffuso desiderio di freschezza, di ironia, di immaginazione.
In determinate occasioni, come quelle che stiamo creando con la nostra sperimentazione, il design smette di essere scienza delle soluzioni formali a problemi concettuali o reali per diventare, semplicemente, gioco progettuale dagli esiti formali, ci auguriamo, interessanti.
Matteo: Definirei così il matrimonio.
Il simbolismo, in particolare nei vostri prodotti realizzati sul tema del triangolo, è un tipo di ricerca più artistica o più funzionale?
Margherita: Il simbolismo è la chiave che mette in relazione i nostri oggetti con significati più alti e universali e senza tempo e al contempo più intimi e fugaci.
Quando si gioca con forme archetipiche così forti come il triangolo equilatero e la funzione degli oggetti non è iperdefinita, il fruitore apre alla sua interpretazione, come farebbe davanti ad un’opera d’arte.
Al Fuorisalone abbiamo incontrato grafici, galleristi, cristiani, architetti, liberi muratori, tatuatori… Persino una sedicente occultista. E ognuno si è riconosciuto in questo simbolo per ragioni diverse. La discussione davanti a questi oggetti si fa sempre quindi molto interessante (e talvolta anche un po’ surreale).
Si tratta quindi di una ricerca funzionalista se definiamo come obiettivo quello di mettere in discussione alcuni schemi del design e di riportare al centro il legame emozionale fra persone e oggetti.
Matteo: Più… geometrica. Non facciamo ricerche simboliste. Sono i simboli a cercare noi. Noi li svuotiamo, il pubblico li riempie nuovamente.
Come è nata la collaborazione con il collettivo di legnamé Co-Mo-Co e in che modo completa i prodotti di Dozen Design?
Margherita: Abbiamo disegnato oggetti dall'alto valore simbolico in cui la qualità della manifattura ha un ruolo centrale. Quanto più gli oggetti sono minimalisti, tanto più è il dettaglio che conta.
Il collettivo canturino Co-Mo-Co ci ha permesso di utilizzare tecniche tradizionali e materiali di altissima qualità, in una forma di artigianato sperimentale e contemporaneo che è frutto di una collaborazione attiva, di uno scambio di idee ed opinioni sempre costruttivo. Questa è la magia del Made in Italy per noi designer italiani.
Matteo: La collaborazione con Co-Mo-Co è nata per magnetismo. Sono persone straordinarie prima che straordinari professionisti del legno. Io invece sono una pessima persona prima che un pessimo falegname, quindi il colpo di fulmine è stato inevitabile.
È vero che avete cominciato tre mesi fa? Cosa significa per una startup del design essere al Fuorisalone?
Margherita: Presentarsi al Fuorisalone, in particolare nel cuore storico di Tortona - il SuperStudio Più - è intanto un modo per celebrare e formalizzare il lancio del proprio progetto, è il modo per definire un prima e un dopo nella propria storia di startup nel mondo del design. Si tratta quindi essenzialmente di un debutto.
Nel nostro caso la sensazione che fosse arrivato il momento giusto è arrivata a pochi mesi dal Salone, un tempo sufficiente, potendo contare su un collettivo come Co-Mo-Co e sul supporto di amici e collaboratori, per far nascere nuove idee, finalizzare i prototipi, definire la comunicazione e divertirsi.
Matteo: Tutti passavano dallo stand Dozen credendo di osservare i nostri prodotti, ma in realtà i nostri prodotti erano lì per permetterci di osservare chi passava.
Il Fuorisalone è un focus group interessantissimo: in una settimana abbiamo potuto registrare centinaia di feedback e reazioni di addetti ai lavori, studenti e pubblico generalista. Abbiamo anche raccolto l’interesse commerciale di operatori internazionali, ma quel che ci interessa è fare indagini sociologiche design-driven, non business.