Si chiama sharing economy e più che la moda del momento è una nuova forma di economia che sta cambiando le dinamiche della catena del lavoro e del mercato. Giunta l’ora che gli Stati ne prendano coscienza e conoscenza, il 2 marzo 2016 ha segnato una data fondamentale per l’Italia, primo Paese aderente all’Unione Europea a presentare una proposta di legge volta a regolamentare la sharing economy e già ribattezzata, Sharing Economy Act.
La proposta stessa è basata sul concetto di condivisione e partecipazione: rimarrà infatti online e consultabile fino al 16 maggio. Chiunque potrà commentare o proporre modifiche, quasi a sottolineare che la sharing economy colpisce proprio tutti, politica compresa.
Sharing Economy Act, contenuti e limiti della proposta Made in Italy
“Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento, bensì sottomettere il nemico senza combattere.”
- Sun Tzu.
Se non puoi eliminare la sharing economy è meglio regolamentarla e far sì che si adegui alle normative vigenti in modo da integrarsi a pieno nelle dinamiche economiche italiane, seppur il quadro normativo sia ancora carente.
L’integruppo parlamentare “innovazione” ha presentato, il 2 marzo 2016, la prima proposta di legge per una regolamentazione ufficiale del fenomeno chiamato sharing economy.
I punti fondamentali del testo riguardano:
- i soggetti coinvolti: fare chiarezza sulla distinzione esistente tra chi pratica la sharing economy come professione e chi la utilizza “per arrotondare”, dalle società che sono solo intermediarie di prestazioni, ma non possiedono il bene condiviso, fino all’esclusione di un rapporto di subordinazione tra datore di lavoro e collaboratore. La proposta va a colpire chi è impiegato nell’economia di condivisione per incrementare il suo primo reddito.
- Il lato fiscale: con lo Sharing Economy Act si impone che i ricavi generati dalle piattaforme e dalle aziende vengano tassati del 10% fino ad un tetto massimo di 10.000 euro annui, oltre i quali gli introiti verranno accomunati a redditi veri e propri e soggetti a denuncia e dichiarazione. Nel primo caso sarà la stessa società operante in sharing economy a farsi sostituto di imposta e versare le tasse all’erario. Esclusi però ancora rimangono i servizi di mera intermediazione come Uber e la questione di determinazione della sede fiscale in Italia per il pagamento delle tasse nel Bel Paese.
- La modalità di pagamento del servizio: elettronica.
- Gli esclusi: lo Sharing Economy Act esclude dalla sharing economy i business che hanno tariffe fisse consultabili e stabilite dal gestore.
- Chi controlla? Le autorità preposte sono state individuate nell’Autorità per la Concorrenza ed il Mercato (Agcm) che veglierà sulle dinamiche di mercato ed il rapporto con i consumatori analizzando preventivamente le policy dei diversi attori ed inserendo i nominativi nel registro (Registro elettronico nazionale delle piattaforme digitali dell’economia della condivisione).
Come ogni novità, anche lo Sharing Economy Act presenta dei limiti che dovranno essere migliorati alla prossima occasione.
Il primo dubbio sta nella definizione univoca delle aziende da includere nel panorama normativo della sharing economy, con una netta distinzione tra collaborative e rental economy; seconda questione è quella relativa a come differenziare fermamente le attività che coinvolgono un semplice scambio di beni e servizi e le attività prettamente economica; ultimo punto, la mancanza dei riferimenti previdenziali o di diritti sociali dei lavoratori coinvolti.
Differenti normative per un unico continente, la sharing economy chiede chiarezza all’UE
Digital Single Market strategy, si chiama così la manovra che i big della sharing economy chiedono di attivare il prima possibile all’interno dell’Unione Europea, una normativa, cioè, unica per tutti gli stati membri che tuteli i soggetti economici dalle diverse prese di posizione dei singoli governi, permettendo alle aziende di sharing economy di attuare politiche ed attività di espansione che vadano bene per ogni Paese, senza doversi adattare confine dopo confine.
Da Uber ad Airbnb quello che viene chiesto all’UE è di prendere seriamente in considerazione i nuovi modelli di business emersi - ancora agli albori nel vecchio continente - per confermare un nuovo modo di fare economia in grado di cambiare il tessuto imprenditoriale, la catena del valore, il rapporto con il lavoratore e l’utente finale.
I cambiamenti spaventano sempre, ma un grosso passo sarebbe capirli e non soltanto limitarli.
“Supportarci significa comprendere il contributo della sharing economy alla crescita europea” scrivono le aziende europee ed americane protagoniste dell’economia di condivisione, che vedono in nuove leggi ed emendamenti l’unica strada per creare nuove regole di concorrenza e un diverso modo di rapportarsi al cliente, confinando le limitazioni subite negli ultimi anni.
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Sharing economy a Milano: il baratto amministrativo
La sharing economy si sta radicando anche Milano, capitale di moda ed innovazione, che non poteva di certo rimanere indietro coi tempi.
Il baratto amministrativo, ad esempio, è la nuova possibilità nominata all’interno del decreto Sblocca Italia, iniziativa per la quale la Pubblica Amministrazione e i cittadini diventano i protagonisti. Con il baratto amministrativo i cittadini indebitati con il comune, ma impossibilitati a pagare le tasse dovute, possono convertire il debito in ore di lavoro da destinare al servizio pubblico, dalla cura del verde alla manutenzione delle scuole. Milano è la prima grande città italiana a metterlo in atto, esempio di una vera e propria pratica collaborativa tra cittadini e pubblica amministrazione.
Milano si fa protagonista di sharing economy, secondo una notizia dell’ultima ora, anche per un altro motivo: la città collaborerà con il colosso Airbnb per fornire a prezzi agevolati alloggi temporanei ai parenti dei pazienti in degenza negli ospedali meneghini, coinvolgendo l’Associazione Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano che si occuperà di organizzare e gestire l’accoglienza e l’ospitalità dei richiedenti.
Non solo la famosa "arte di arrangiarsi" insomma, ma la voglia di tornare a condividere beni e servizi per vivere tutti un pochino meglio. Secondo le previsioni economiche anche il 2016 sarà l’anno della sharing economy e certamente siamo solo all’inizio.