Simone Tornabene, Head of Strategy di WHY e docente del Corso in Content Marketing: Strategy, Storytelling, Web Copywriting ha risposto ad alcune nostre domande e curiosità, in attesa che il corso abbia inizio.
Secondo la tua esperienza, cosa rende un contenuto condivisibile?
La rilevanza. Spesso il concetto di rilevanza viene scambiato con quello di "accordanza"o "originalità". Ma non è così: rilevante può essere anche un contenuto che mi causa emozioni negative o un contenuto non strettamente originale. Ovviamente la rilevanza è un parametro che dipende da troppe variabili difficili da catturare. Possiamo però tracciare dei confini legati, ad esempio, alla narratività: tendo a condividere i contenuti (che quindi sono rilevanti per me), se questi mi offrono spunto per costruire la mia immagine o affermare la mia identità.
I contenuti non sono solo parte della narrazione del brand, sono elemento di narrazione di sé. Quindi il brand offre ai singoli lettori un modo per costruire la propria identità online attraverso l'atto della condivisione.
Per un brand sui Social Media, la community è tutto. Come sfruttare il valore degli UGC?
Gli UGC sono croce e delizia del marketing online. Da un lato seducono con la promessa di un risparmio sui costi di creatività e di produzione dei contenuti stessi: sono gli utenti che vogliamo raggiungere a fare, per noi, il lavoro. Dall'altro il brand perde quasi completamente il controllo sulla qualità dell'output. Con seri pericoli per il posizionamento.
Personalmente non amo ricorrere agli UGC. Proprio perché la narrazione che ne segue è di solito poco rilevate (in volume), un po' forzata e spesso di pessima qualità. Preferisco focalizzarmi sulla co-creazione: il ruolo degli utenti è partecipare al processo creativo, non governarlo. Mi viene in mente la campagna di Michael Kors di qualche anno fa: le utenti erano invitate a scattare una foto con il contenuto della propria Kors e pubblicarla sui social. Le foto con più like sono state riprodotte da fotografi professionisti in studio e sono diventate parte della campagna ufficiale del brand. Online e offline.
Ci dai un esempio di content strategy ben studiata ma che non ha avuto l'esito previsto?
È molto difficile indicare una content strategy ben studiata ma con un esito non soddisfacente: in fondo possiamo giudicarla solo dall'esito. Diciamo che mi sarei aspettato di più dagli sforzi di Ceres su Twitter. Parliamo di un ottimo approccio, non lasciato al caso e al momento non premiato dal numero di follower.
Ma la mia è solo un'opinione da bar: non conosciamo le aspettative e gli obiettivi di Ceres e dell'ottimo team che gestisce i social. Non avendo accesso alla loro content strategy (sicuramente ottimamente eseguita sul fronte produzione contenuti, che possiamo giudicare) non possiamo stabilire se il risultato che vediamo sia adeguato o meno. Questo è fin troppo spesso una realtà tristemente comune online: opinioni spacciate per analisi, che di analitico non hanno nulla perché non possono partire da obiettivi e assessment della situazione. Ma si rifanno solo a opinioni personali.
Quali sono gli strumenti di cui non puoi fare a meno?
Buffer e Canva! Ma nel corso del tempo sono molti quelli che ho perduto causa chiusura. Prismatic e Daily erano due ottimi tools di social media marketing per i piani editoriali. Anche l'editor video di Youtube è uno strumento magnifico nella sua semplicità. Infine Onlypult per Instagram: uno strumento che sono molto contento di pagare.
Tre sbagli da non commettere mai quando si parla di content marketing
1) Pensare che i contenuti debbano piacere. I contenuti devono piacere e convertire. Insieme.
2) Pensare che sia solo una questione di storytelling. È una questione di storytelling e misurazione dati. Insieme.
3) Non si tratta di contenuto ma di processo. Il content marketing di successo è un flusso, il contenuto è solo uno degli strumenti.