Nello spazio mutevole dei social media quasi tutto può essere messo in discussione eccetto la consapevolezza che una volta messi dei punti fermi, questi cambieranno ancora. Una cosa però è certa: dare il giusto significato alle parole può aiutarci a rendere solida una strategia, e community è un termine particolarmente interessante. Se agli inizi si intendeva come un gruppo di persone accomunate da un interesse, nel campo dei social media la community tende ad essere associata a qualsiasi gruppo online che interagisce con i contenuti, identificandosi completamente con l’engagement.
La community sopravvive anche senza di noi
Eppure sappiamo che il coinvolgimento è una delle strategie immediatamente indicate per la costruzione di un audience, come anche l’ascolto, i contenuti rilevanti, la gamification, gli omaggi. A questo punto potresti pensare: ma queste sono le strategie per la costruzione di una comunità! C’è solo una considerazione che può farci capire se ci troviamo di fronte all’una o all’altra: quella che noi consideriamo community continuerà anche senza i contenuti, le iniziative, o in generale senza il valore e la considerazione di cui è oggetto? Se la risposta è no, ci troviamo di fronte a un’audience.
Il fatto è che le attività eseguite sui social media non sono sufficienti per identificarci come membro di una comunità, quando intendiamo con questo termine un fenomeno che si manifesta indipendentemente dalle piattaforme, o addirittura dal prodotto. E questo perché la comunità è basata sulle relazioni non sui contenuti, parliamo di un gruppo che interagisce fra di loro e non che reagisce a uno stimolo. Tuttavia la necessità di trovare metriche efficaci per le nostre strategie social fa sì che la differenza tra le due realtà possa ancora essere pertinente e aiutarci a comprendere meglio le dinamiche delle relazioni digitali.
La differenza tra condividere e pubblicare
Coltivare una comunità implica utilizzare un gergo specifico con i suoi simboli e riferimenti, sviluppare una narrazione condivisa, e eventualmente mettere in comune delle risorse. Significa impegnarsi in conversazioni significative soprattutto quando parliamo in privato con le singole persone, cercando, per quanto possibile, di non rimandarle a un altra mail o numero di telefono aziendale. Il social care è un’attività molto impegnativa che deve essere intrapresa solo dopo un confronto con il settore di riferimento e la tipologia del business: un’azienda locale o estremamente di nicchia potrebbe indubbiamente avvantaggiarsene, ma potremmo dire lo stesso ad esempio per progetti internazionali o eCommerce orizzontali? Di fronte a un’offerta molto diversificata l’esigenza più urgente potrebbe essere molto più orientata sul prodotto o sui servizi, e quindi potrebbe essere più effiacace adottare un approccio da audience proponendo contenuti di volta in volta rilevanti.
Spazio aperto o owned media?
In una prospettiva di costruzione dell’audience l’ideale è essere lì dove sono le persone, considerando ad esempio il numero di iscritti o le piattaforme preferite dal nostro target. Se invece il nostro obiettivo è costruire una community dovremmo capire dove le persone possono parlare liberamente senza preoccuparsi dei giudizi altrui (per loro) o di proteggere il tuo marchio da commenti negativi: i nuovi social come Snapchat ad esempio sono pensati eliminando il meccanismo di gratificazione del like.
Nelle piattaforme più consolidate invece resta sempre valida, seppur molto faticosa, la strategia degli user generated content utilizzando le stesse parole e immagini della comunità non solo come commenti ma come cuore dei nostri messaggi.
Le differenze sono molto sottili ma se discusse potrebbero portare a dei cambi di prospettiva interessanti. Tu cosa ne pensi? Diccelo sulla nostra fan page!