Si chiama reshoring il fenomeno del rientro della produzione delle aziende italiane dall’estero. Dopo anni in cui si è spesso sentito parlare del suo opposto, l'offshoring, oggi la tendenza inversa trova solide basi per realizzarsi portando effetti positivi sull’economia italiana, sia in termini occupazionali che economici.
Se aziende come Ferragamo, Tod's, Prada, Furla e Piquadro hanno riportato alcune produzioni in patria, per assicurare un rientro più sicuro anche per le PMI, Sistema Moda Italia (SMI) e PwC Advisory hanno avviato un progetto, "Reshoring" appunto, per creare le condizioni necessarie al rientro delle produzioni e all’aumento della produttività in due aree pilota: Puglia e Veneto. Con l'obiettivo di promuovere interventi di assistenza alle imprese, riqualificazione e formazione attraverso un’Accademia, ma anche di raccolta delle adesioni delle Imprese che intendono fare reshoring, SMI ha creato nuovi contatti con le imprese manifatturiere e monitora lo stato del progetto per estenderlo ad altre regioni.
A questa misura si aggiunge una soluzione avanzata di supply chain, a cura di Unicredit, dedicata alle aziende del settore tessile moda, con lo scopo di migliorare l’accesso al credito e rendere le aziende del settore più efficienti e competitive sul mercato.
Per conoscere numeri, modalità e sviluppi futuri di questo progetto pilota, in occasione della tavola rotonda sul credito alla filiera della moda italiana, abbiamo rivolto alcune domande a Claudio Marenzi, Presidente di Sistema Moda Italia e Amministratore Delegato di Herno, l'azienda di famiglia riportata al successo grazie ad un innovativo modello di produzione diffuso sul territorio.
Quali sono i numeri delle aziende italiane della moda che hanno delocalizzato la produzione?
Per dare un’idea di come si sta evolvendo la dinamica produttiva estera rispetto a quella italiana, è possibile osservare l’andamento della concentrazione produttiva italiana sul totale. Il secondo Osservatorio PwC sul Reshoring ha coinvolto i responsabili di 57 imprese del settore suddivisi tra imprese committenti proprietarie di un marchio e imprese della filiera produttiva, per capire meglio cosa è avvenuto nel periodo 2008-2014.
Le aziende del campione che producono meno del 25% in Italia sul totale della produzione si è quasi raddoppiata nel periodo considerato, passando da quasi il 30% nel 2004 a più del 50% nel 2014. All’opposto, le aziende del campione che producono più del 75% in Italia si sono dimezzate dal 44% del 2004 al 22% del 2014.
La delocalizzazione ha indebolito la filiera riducendo di conseguenza la capacità di fare investimenti in innovazione, formazione e aumento della produttività, riducendo la capacità dell’intero settore che basa comunque il proprio modello sulle competenze della filiera e distrettuale interna.
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La Cina, seppur in calo, si conferma essere il paese di destinazione principale delle produzioni delle imprese italiane del settore. Turchia e Paesi del Nord Africa stanno crescendo grazie alla miglior collocazione geografica rispetto all’Italia che consente tempi di approvvigionamento più rapidi. L’Indocina ha costi salariali molto bassi e per questo motivo ha attratto parte delle produzioni in rientro dalla Cina, generando però alcune perplessità rispetto le condizioni del lavoro in questi Paesi, che sono molto spesso lontane dagli standard occidentali e in misura sempre maggiore collidono con le aspettative del pubblico dei consumatori, che dimostra una più alta sensibilità e consapevolezza su questo tema.
Se le aziende made in Italy spostano le produzioni fuori dall'Italia, cosa le differenzia ancora dai concorrenti stranieri?
La delocalizzazione delle aziende avviene sempre per una questione di costi di produzione e manodopera. Quello che differenzia le aziende italiane dalle concorrenti stranieri è la qualità dei materiali utilizzati, unitamente al know how che viene comunque mantenuto e trasferito anche ai siti di produzione esteri. Inoltre, i fattori che contraddistinguono la qualità dei prodotti italiani sono anche l’innovazione e i continui investimenti dedicati all’R&D che fanno delle aziende italiane in molti dei casi i primi first mover sul mercato.
Ci sono aziende italiane che hanno già optato per il reshoring? Cosa ci hanno guadagnato?
Il reshoring è un fenomeno che sta iniziando a prendere piede grazie al contesto economico italiano e internazionale favorevole. L’indebolimento dell’Euro verso Dollaro, l’aumento del costo del lavoro nel Far East, gli incentivi all’innovazione in Italia (Credito d’Imposta/Patent Box), e le piattaforme finanziare che agevolano l’accesso al credito come l’ultima lanciata da SMI e Unicredit, sono tutti fattori che possono influenzare positivamente e favorire il rientro della produzione delle aziende italiane dall’estero.
Il secondo Osservatorio PwC sul Reshoring mostra che, in presenza di condizioni abilitanti, l’89% del campione sarebbe disponibile a fare rientrare le produzioni in Italia. In particolare, il 34% delle aziende intervistate sostiene che stanno seriamente considerato il reshoring in Italia, il 23% sta già effettuando il rientro e l’8% ha già concluso il processo.
I vantaggi che le aziende ne ricavano sono certamente un miglior approccio “time to market” che consente una maggiore flessibilità e un più accurato controllo della filiera. Non da ultimo sono da considerare gli effetti positivi che si potrebbero attendere in termini occupazionali sul territorio e per l’Italia in generale.
Presidente di Sistema Moda Italia, ha anche rilanciato l'azienda di famiglia. Perché ha scelto di investire con questa nuova formula di produzione proprio in Sicilia?
L’hub siciliano è un progetto fortemente voluto per le caratteristiche innovative sia del sito di produzione che per l’impatto occupazionale che questo progetto avrà in Sicilia.
Sarà costituito da una rete di nove laboratori lungo la fascia che va da Capo d’Orlando a Randazzo dove, già da tempo, è in corso una collaborazione con alcune aziende locali che forniscono a Herno più della metà della produzione.
Ed è proprio sul successo di questa cooperazione, che ho deciso di investire nella realizzazione dell’hub costituendo una società a maggioranza Herno. Giocherà comunque una parte importante Filippo Miracula, imprenditore messinese che sarà responsabile della gestione dei nove laboratori siciliani. L’hub darà lavoro a 100 persone direttamente e a 450 con l’indotto.
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Nel progetto Reshoring per il rilancio della filiera del tessile italiana ci sono il Veneto e la Puglia. In che modo avete selezionato le regioni di interesse?
La regione Puglia è la prima regione meridionale nel tessile abbigliamento, sia per numero di imprese attive che per numero di addetti (secondo i dati riportati nella Smart Specialisation Strategy, aggiornati al 2012, il settore del tessile-abbigliamento-calzaturiero è rappresentato da 5.200 imprese attive e impiega circa 47.000 addetti).
Nei quattro poli distrettuali, Calzature del Nord Barese, Abbigliamento del Barese, Calzetteria e Abbigliamento del Salento, Calzature di Casarano, esistono vere e proprie realtà di eccellenza artigianali.
Dal 2008, tuttavia, sia per effetto della congiuntura economica negativa che per la delocalizzazione delle attività produttive, il Distretto Moda della Puglia ha subito un forte indebolimento. L’intenzione è quella di contribuire al rientro delle produzioni nella Regione. La capacità produttiva attualmente è sottoutilizzata e la disoccupazione si registra intorno al 21,5 %, e al 58,1% per quanto riguarda quella giovanile.
Con interventi di formazione e riqualificazione del personale e un costante sostegno a investimenti in materia di Ricerca e Sviluppo cerchiamo di dare un risvolto concreto alla ripresa del territorio coinvolgendo diverse aziende pugliesi capofila e il loro network di subfornitura.
Per quanto riguarda il distretto della filiera del Veneto esso è stato scelto per la numerosa presenza di aziende sia a valle che a monte del settore. La filera è composta da aziende di produzione abbigliamento, produzione tessile, aziende contoterzi, fornitori di macchinari e materiali, fornitori di servizi, grossisti e distributori di prodotto, fornitori di servizi immateriali. Le imprese attive al 2012 erano 4.144, con circa 35.547 addetti.
Rafforzare questo distretto è importante per dare l’esempio di un sistema dell’industria del tessile che ha un alto potenziale di crescita e sviluppo. Anche in questo caso sono state già coinvolte aziende venete capofila che collaboreranno insieme ai laboratori minori.