Qualche settimana fa la beauty vlogger Em Ford pubblicava un emozionante video in cui denunciava i pesanti commenti di cui era stata vittima nelle settimane precedenti dopo aver mostrato per la prima volta il suo viso affetto da acne adulta.
Del caso hanno parlato molte testate online, sottolineando la disarmante malignità delle parole degli utenti. Il tema del body shaming e del bullismo tornavano ancora in cima ai temi di tendenza, trascinandosi dietro il potente hashtag (di incerta origine) #DontJudgeChallenge.
In quegli stessi giorni Vine, Instagram e le altre piattaforme video più diffuse diventavano palcoscenico di un nuovo "movimento" dalle ambizioni sociali e benefiche ma dagli effetti contrastanti e discussi, che ha preso in prestito proprio il nome "Don't Judge Challenge".
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Nato come strumento per esprimere il proprio dissenso in merito al ruolo predominante che l’aspetto fisico ricopre nella società occidentale, il #DontJudgeChallenge vede come protagonisti giovani ragazzi che si mascherano "da brutti" con l’obiettivo di dimostrare quanto sbagliato possa essere basarsi esclusivamente sull’aspetto esteriore nel formulare il proprio giudizio su un’altra persona.
Utilizzando il montaggio facilitato che strumenti come Vine o Instagram consentono, i protagonisti si mostrano dapprima imbruttiti e goffi per poi, dopo aver coperto l’obiettivo con un mano, ricomparire in tutta la loro bellezza.
Eh sì, perché se vi siete imbattuti in questi video, avrete notato che almeno finora la maggior parte dei ragazzi che stanno prendendo parte al #DontJudgeChallenge sono giovani di bell’aspetto, apparentemente sicuri di sé.
L’accusa di molti verso l’azione collettiva è banale ma tuttavia difficilmente contestabile: cosa rende legittimati questi ragazzi a definire come tremende e sgradevoli (rafforzandone quindi la possibilità di divenire oggetto di bullismo) caratteristiche come le sopracciglia folte o i brufoli? Per lo più, associandole ad un atteggiamento eccessivamente goffo e impacciato, come se le due cose facessero necessariamente parte di una imprescindibile equazione matematica?
#dontjudgechallenge ? i tried pic.twitter.com/Wpa56Q40ot
— E. (@Elisa__x333) 5 Luglio 2015
Alcuni utenti hanno quindi reagito postando le loro reazioni.
#dontjudgechallenge Literally so stupid pic.twitter.com/wlSL21ICn0
— Abigail (@abigaildxwns) 6 Luglio 2015
The #dontjudgechallange is nothing but an excuse for a bunch of attractive ppl to make fun of others all in the name of a "joke"
— / / i a n / / (@404gender) 6 Luglio 2015
THIS IS LITERALLY ME #DontJudgeChallenge ????? pic.twitter.com/6JNoceCiJg
— granny (@grannywinkle) 6 Luglio 2015
La meschinità del body shaming (così viene definita in lingua anglosassone la pratica derisoria nei confronti di chi, per scelta o condizione naturale, non è conforme ai canoni estetici) è uno dei temi più più dibattuti online. Perfino il marketing non ne è rimasto escluso: dalle campagne di Dove, alla vicenda della criticatissima affissione di Protein World. Personaggi pubblici sono arrivati alle luci della ribalta grazie anche alla loro diversità, diventando poi testimonial di brand importanti, come è successo alla modella Chantelle Winnie, affetta da vitiligine ma diventata una delle più richieste top model e brand ambassador di Desigual.
Il tema è quindi figlio del nostro tempo, non nuovo, chiaramente non banalizzabile. Anche per questo si resta ancor più sbigottiti nel vedere la strana direzione intrapresa dal #DontJudgeChallenge. Social sì, ma sociale? Forse no. C'è poco di simile al fenomeno video della scorsa estate, l'Ice Bucket Challenge, che seppur sul finire ha raccolto qualche critica, ha contribuito a catalizzare l’attenzione su una grave malattia e a raccogliere fondi per la ricerca in nome di un "noi" collettivo. Nel #DontJudgeChallenge il "noi" sembra essere stato fagocitato in nome dell’"io" senza forse che i suoi sostenitori (giovani, teoricamente ancora più sensibili al tema) nemmeno se ne siano resi conto.
Possibile che l’ossessione per l’immagine che i social hanno contribuito a rafforzare sia arrivata a negare sé stessa nelle nostre coscienze? Anche ammesso che non sia così (e lo speriamo vivamente) siamo davanti all’ennesimo esempio degli effetti negativi della sovraesposizione del sé e della dipendenza da social-approvazione?
Nell’ultimo mese, secondo Topsy, attorno all’hashtag #DontJudgeChallenge si possono registrare quasi 3 milioni di interazioni su Twitter. Cosa c’è di così virale in questo controverso fenomeno?
Questa compilation di video #DontJudgeChallenge ha già raccolto più di 2 milioni di visualizzazioni.
Seguiamo il modello Tensione-Emozione-Catarsi. Possiamo osservare come lo schema sembri sdoppiarsi per due differenti pubblici: chi si riconosce nei protagonisti dei video e chi invece ne critica l’azione.
Se le prime due fasi camminano di pari passo (la Tensione causata da un tema difficile e attuale come quello del body shaming e l’Emozione che si concentra nel momento in cui la mano copre l’obiettivo) l’ultima si diversifica in avvenuta Catarsi, nella forma di divertimento, per il primo tipo di spettatore, e mancata soddisfazione delle attese per il secondo tipo, che non trova adeguato riscontro nell’approccio al tema.
i hate the #dontjudgechallange. having acne etc doesn't make you ugly, stop belittling people by giving them the idea they aren't beautiful
— Aidan Alexander (@aidanjalexander) 6 Luglio 2015
E voi, cosa pensate del #DontJudgeChallenge?