Che fetta ricopre l'agroalimentare nell'export dei prodotti italiani?
Negli ultimi 15 anni il ruolo dell’Italia nel commercio internazionale si è andato modificando. Il Paese è diventato importatore netto di beni e servizi. Questo passaggio è avvenuto nel quadro di un’evoluzione dell’economia mondiale, in cui accanto al parziale declino dei vecchi attori del mondo occidentale si è assistito al rapido affermarsi di nuove aree, con Asia e Cina al primo posto come motori della crescita globale. L’Italia, purtroppo, è rimasta ai margini di questo processo, eccetto che per un comparto: l’ agroalimentare. Il settore food infatti è andato, almeno per certi versi, in contro-tendenza e il cosiddetto made in Italy agroalimentare da qualche anno costituisce una delle componenti più robuste e dinamiche delle esportazioni italiane. Ho rivolto qualche domanda a Daniele Vinci, project manager di comunikafood, sull'argomento.
Ciao Daniele, per prima cosa: in che direzione si muove il commercio dell’agroalimentare italiano, si vende ancora grazie a fiere e B2B o il web è già il canale migliore?
Ciao Fabio, la domanda parte da un errore di fondo. Il commercio agroalimentare italiano non è un comparto monolitico.
Esistono differenti tipologie di prodotti che hanno strade e vita commerciale propria. Pensa al comparto ortofrutticolo. È un mercato interamente “manipolato” dalla logistica. Il prezzo del prodotto, paradossalmente, non è determinato dalla produzione, ma dal tempo e la gestione logistica che è necessaria per farlo arrivare ai consumatori.
Allo stesso tempo, questa tipologia di prodotti ha diverse “vitalità”. Esiste il prodotto da GDO e quello del contadino che vende al mercato rionale. Seguendo il concetto di filiera a chilometro zero qualche persona ha cominciato ad organizzarsi per acquistare direttamente dal contadino facendo gruppi d’acquisto. Da lì sono poi nati progetti online che “standardizzavano” questo processo attraverso un carrello virtuale. Vedi progetti come Zolle o Bioexpress.
Il web non è un “canale” migliore, è piuttosto un insieme di strumenti che facilitano alcuni processi di vendita e che semplificano l’organizzazione dei processi commerciali. Ti porto un esempio che ho visto nascere e di cui ne parlo sempre: Jenuino. A differenza di altri progetti ha una forza maggiore perché permette ai produttori di “organizzare” la produzione e facilita l’incontro tra chi deve acquistare e che deve vendere. Si crea un circuito di produzione-vendita-acquisto virtuoso. Dove il valore condiviso è quello della cura per la qualità del prodotto.
Per rispondere sinteticamente, il web è un canale migliore? No, il web non è un canale migliore. Il web offre delle opportunità organizzative e commerciali migliori rispetto ai tradizionali canali di distribuzione e vendita. Tieni anche conto che la maggioranza dei processi tradizionali utilizza soluzioni web based per ottimizzare i processi. Banalmente l’uso della e-mail. La vera sfida dei mercati è quella di saper trovare vantaggio dai Mix Tools Management offerti dal web che permettono di riequilibrare, e non semplicemente incrementare come nella logica di un capitalismo ormai fallito, l’offerta e la domanda, stabilendo il prezzo win-win tra chi produce e chi vende. I canali tradizionali sono vitali, il web non li sostituisce, il web è parte di quei canali.
Quali passi deve fare un’azienda agroalimentare per prepararsi consapevolmente a puntare sull’e-commerce?
Un’azienda del settore alimentare deve considerare il commercio online un vero e proprio comparto aziendale. Non è un qualcosa che avviene senza pianificazione, strategia e gestione. Per vendere online serve sicuramente conoscenza del mercato in cui si opera, ma è necessario interpretare le dinamiche del web e saper usare i suoi strumenti. Non serve essere programmatori, ma è necessario sapersi interfacciare con un programmatore per non avere dubbi e saper valutare se un sito e-commerce vale 1€ o 10.000€. Serve capire che la pubblicità online ha dei modelli differenti di contatto rispetto alla pubblicità tradizionale.
Sul web si è potenzialmente in collegamento con tutto il pianeta, ma anche in rete è necessario individuare le nicchie di mercato giuste per il proprio posizionamento.
Qual è il modo migliore per farlo?
Serve conoscenza approfondita del settore per individuare le nicchie di valore. Una nicchia non è un valore a priori, serve capire il suo potenziale commerciale.
Vendere tartufo online, ad esempio, potrebbe essere apparentemente una nicchia di valore. Invece non è così semplice venderlo. Vendere Olio Extravergine Online "pregiato" è una nicchia di valore. Venderlo in mercati dove la richiesta sta salendo e si riesce a vendere il prodotto a 30€ a litro è una nicchia da esplorare. Per farla breve, serve conoscenza del settore per saper prevedere scenari successivi.
L’imprenditore online non è quello che punta su mercato saturi, ma su quelli che si intravede possano svilupparsi, come nei mercati tradizionali. Infatti, il commercio online non differisce da logiche commerciali tradizionali, differisce solo nell’approccio e negli strumenti utilizzati per arrivare all’informazione. Per differenziarsi e scoprire nicchie di valore nel mercato alimentare serve conoscere le tendenze alimentari dei relativi paesi e studiare un piano operativo commerciale dedicato che prevede il marketing mix per promuovere al meglio il prodotto.
Alla vendita e all’acquisto online ormai sono tutti abituati ma per i prodotti alimentari c’è un evidente problema di deperibilità, che potrebbe indurre il consumatore a desistere. Come si aggira questo problema?
Il problema della vendita online di prodotti alimentari non è tanto legato alla deperibilità, ma al tempo di spedizione e logistica per alcune tipologie di prodotti. Le persone sono abituate a comprare cibo al supermercato ed alla bottega sotto casa, se pagano un prodotto alimentare vorrebbero averlo “in mano”.
Per superare questo limite esistono varie formule. La prima è quella della trasparenza e chiarezza dell’informazione sul sito. Seconda cosa è quella di studiare nuove formule d’acquisto. Le persone sono abitudinarie, ma non stupide. Se vogliono acquistare un vino pregiato online, sanno che dovranno attendere per riceverlo. Quello che, infatti,manca nella maggioranza dei siti web che vendono vino online, ad esempio, è l’acquisto assistito, la massima e dettagliata informazione sul prodotto e sul processo di acquisto. Il tracking del processo e la capacità di “fidelizzare” l’acquirente al servizio e non solo alle offerte di prezzo.
Si usa ancora poco il concetto di acquisto collettivo e di esclusività. Tutti pensano che i prodotti alimentari online sono vendibili solo ed esclusivamente a gourmet e fanatici del cibo e che invece la massaia e il dipendente pubblico che guadagna 1.000€ al mese si rivolgano più facilmente al supermercato. Io penso, invece, che la realtà è che ad oggi non esiste un servizio che soddisfi le loro esigenze. Se qualcuno riuscirà a trovare la formula giusta anche loro acquisteranno alimentari online. Conosco mamme e papà "comuni" che acquistano pannolini lavabili in cooperativa su dei forum. Persone "comuni", che non cercano il risparmio sulla qualità, ma utilizzano logiche di economie di scala dando valore ad un processo commerciale annullato dalla GDO, sfruttando l’aggregazione della domanda che anticipa l’offerta. Pensi davvero che se ci fosse un servizio su misura che gli evitasse di fare ore di fila al supermercato il sabato pomeriggio non lo userebbero?
Dalla vendita diretta all’e-commerce, è proprio l’agroalimentare il settore da cui far ripartire l’intera economia puntando sul made in Italy?
A mio avviso bisogna non essere troppo faciloni nel valutare una tendenza. Il mercato agroalimentare italiano ha sicuramente un valore aggiunto, ma non è così internazionale come crediamo. Il vino italiano ha acquisito notorietà e prestigio in tutto il mondo, ma ormai anche altri altre parti del mondo producono ottimo vino. Questo per dire che non possiamo cullarci su glorie passate.
Il cibo italiano ha una grande qualità, che rappresenta e rimanda ad una cultura tipicamente nostrana del “saper vivere bene”. Il cibo italiano non ha un valore in sé, ma ha un valore dal punto di vista sociale, di convivialità e lusso. In tutto questo gli enti italiani che devono tutelare il nostro prodotto dovrebbero e potrebbero fare qualcosa in più. L’internazionalizzazione dei nostri prodotti non può solo passare da visite guidate sfarzose e piene di formalità. Il commercio ruota intorno ad accordi commerciali, normative e aggregazione dell’offerta.
Il prodotto italiano per aver più forza sui mercati, a mio avviso, dovrebbe avere un simbolo univoco. Brand possiamo usarne quanti ne vogliamo, ma il simbolo univoco, quello esclusivo dell’Italia come modello e salubrità di prodotti, deve essere distintivo, forte e corporativo.
Spero di esser riuscito a rispondere coerentemente a ciò che desideravi sapere.
Grazie Daniele per la disponibilità e l'ampia analisi.
E tu, se è vero che sei quello che mangi, sai quello che mangi quando acquisti online?