Il paese che più taglia in Istruzione e Ricerca (secondo solo all’Ungheria), l’ultima su 32 nazioni per la percentuale di spesa pubblica destinata all’istruzione, terza in Europa per il costo delle tasse universitarie: è così che l’Italia è stata fotografata dall’Ocse nel Rapporto Education at a glance 2013, un paese che ha smesso di credere nell’istruzione e nella cultura.
L'Italia premia chi sceglie un percorso scientifico
Il nostro paese si impegna però ad attuare le normative europee che prevedono il sostegno dei giovani che si dedicano allo studio di materie scientifiche: è per questo che anche le nostre università prevedono agevolazioni o esoneri totali per le iscrizioni a corsi di laurea scientifici.
L’Italia dovrebbe così tutelare la propria competitività internazionale nel campo dell’alta tecnologia, formando professionalità qualificate in grado di soddisfare la richiesta di aziende nel nostro paese. Quello che più spesso accade è, invece, che in un paese in cui il settore fatica a carburare i brillanti laureati si ritrovano davanti a un bivio: fare le valige in cerca di nuovi orizzonti o ripiegare su un lavoro lontano dalle proprie aspirazioni e dalla propria istruzione.
Il pentimento di chi studia materie scientifiche
Quanto detto è valido per coloro che riescono a raggiungere il titolo: una ricerca evidenzia come negli Stati Uniti oltre il 40% degli studenti che intraprendono questo percorso cambia indirizzo durante il college, a fronte di un 30% di coloro che si dedicano a materie umanistiche. Si consideri, tra l’altro, che gli Stati Uniti destinano ingenti somme al sostegno dei corsi di laurea scientifici, fatto comprensibile se si pensa che ospitano la Silicon Valley, il cuore pulsante della ricerca tecnologica mondiale. La chiave di lettura che alcuni studiosi danno a tale supporto getta però ombre sulle politiche internazionali a supporto dell'istruzione a indirizzo scientifico: un maggior numero di laureati in tale ambito garantisce maggiore concorrenza in termini di personale specializzato e, di conseguenza, un abbassamento del costo del lavoro, a mero vantaggio di chi assume.
La situazione in Italia non è molto diversa: la concorrenza è elevata e in un mercato del lavoro sofferente - in cui è prevista una crescita del tasso di disoccupazione al 12,8% nel 2014 - non ci sono molte chance di salvezza.
Quale l'istruzione migliore per il futuro del paese?
Il problema con tutta probabilità non è solo la disoccupazione e la difficile situazione di crisi che il Paese sta vivendo. Forse il focus della questione va spostato: e se l’Italia non avesse bisogno solo di chimici, ingegneri e fisici? Se il futuro risiedesse in qualcos’altro? Se la nostra naturale attitudine di artisti e creativi fosse la risposta a chi ci critica di essere dei followers in campo tecnologico?
Forse il paese con la più alta concentrazione di opere d’arte al mondo dovrebbe riaprire gli occhi sulla grande bellezza che gli appartiene e puntare – anche – sulla formazione di professionisti in grado di pensarla, curarla e reinventarla, professionisti che prima di essere ingegneri, letterati o esperti d’arte, siano innanzitutto pensatori capaci di guardare con occhi critici e fiduciosi al futuro del paese.
[Credits siderlandia.it, jhoncabot.edu, unito.it]