Forse avrete sentito parlare di una petizione online chiamata "Facebook Stop Stalking Our Unpublished Posts!", o magari siete tra i 28.000 utenti indignati che l'hanno firmata. In tal caso avreste anche una certa dose di ragione. Ma cominciamo dall'inizio.
Tutto è partito da un articolo pubblicato su Slate, che rivelava l'esistenza di uno studio effettuato da alcuni ricercatori di Facebook sul meccanismo dell'auto-censura; ovvero sul motivo che ci porta a scrivere dei post, che alla fine decidiamo di non pubblicare.
A tutti è capitato, qualche volta, di cominciare a scrivere qualcosa, per poi cambiare idea all'ultimo momento. Sfortunatamente il codice che è nel vostro browser non ha dimenticato quel che avete scritto, anche se avete deciso di non pubblicarlo. A quanto pare, le cose che scegliete di non condividere non sono del tutto private.
Attraverso il browser, Das e Kramer, gli autori della ricerca, hanno raccolto e analizzato i dati di 5 milioni di utenti Facebook anglofoni. Ma per quale motivo a Facebook interessa sapere cosa non condividiamo?
Semplice, perché quei post non pubblicati potrebbero contenere informazioni rilevanti per gli inserzionisti! Dopotutto si tratta di un social network che punta molto sulla possibilità di mostrare agli utenti pubblicità "su misura".
Per alcuni utenti l'idea che qualcuno spiasse le bozze dei loro post era intollerabile, e così hanno creato la petizione. E senza dubbio è una posizione condivisibile... a chi piacerebbe sentirsi osservato così da vicino?
Ma c'è una piccola precisazione da fare; gli autori dello studio hanno spiegato che lo script utilizzato per raccogliere informazioni non era in grado di conservare il testo dei messaggi in questione. Aveva la sola funzione di individuare e segnalare gli episodi di auto-censura, rivelando cioè quanti erano i post censurati e quanti invece quelli pubblicati.
Anche alla luce di queste dichiarazioni, la vicenda non è meno inquietante. Il fatto che Facebook sia in grado di raccogliere questi dati proprio sotto il naso degli utenti, significa che volendo non avrebbe difficoltà a conservare anche il contenuto dei post. La tecnologia per farlo c'è già.
Questa non è la prima volta che il social network di Zuckerberg viola la fiducia degli utenti con normative sulla privacy piuttosto ambigue. Ma è anche vero che la principale attrattiva di Facebook per utenti e aziende è proprio l'enorme quantità di dati personali a cui ha accesso.
La domanda che sempre più spesso siamo costretti a farci su internet è: quante e quali informazioni siamo disposti a cedere in cambio di un servizio?