Autori dell'articolo sono gli Studenti dell'Università di Napoli Federico II
Foto di Diana Fevola
Qualche giorno fa il dipartimento di Scienze Sociali Federico II di Napoli, ha ospitato l’incontro sul film di animazione “L’arte della felicità” di Alessandro Rak, in collaborazione con Mad Enterteinment, Music, Animation & Documentary, casa di produzione di prodotti sonori e cinematografici napoletana. Sono intervenuti Ivan Cappiello e Marino Guarnieri, aiuto alla regia e responsabili animazione 3D, Antonio Fresa, produttore Mad e autore delle musiche.
L’idea del film nasce sulla scia della nona edizione del Festival L’arte della felicità – da cui trae il titolo – tenutasi a Napoli lo scorso Settembre, manifestazione che ha rappresentato il luogo di confronto tra esponenti del mondo della poesia, della sociologia, della filosofia, della psicologia e del giornalismo circa questioni filosofiche essenziali intorno alla vita. Preminente è stato il dibattito sul desiderio della felicità, inteso non come concetto astratto ed accademico, ma come strumento per la ricerca di quel benessere quotidiano a cui tutti dovremmo aspirare. Nel corso dell’evento si è discusso con gli ospiti circa la realizzazione tecnica del film d’animazione, il ritardo di produzioni pensate in una prospettiva crossmediale in Italia in riferimento al target cui il prodotto culturale fa riferimento, suscitando la curiosità e l’interesse del giovane pubblico. “L’arte della felicità” è un prodotto culturale di alta qualità, che è riuscito a canalizzare linguaggi visivi e sonori in modo affascinante e coinvolgente, riscuotendo un successo eccezionale.
Il personaggio principale è un musicista/tassista che ha perso se stesso e che cerca di ricostruire la propria identità individuale partendo da una sorta di ricordo ancestrale - la memoria collettiva della sua terra - affiorato dalle esperienze condivise con gli ospiti che trasporta nel suo taxi. La narrazione del film, pertanto, si basa essenzialmente sul dialogo e sui legami interpersonali che si creano tra i personaggi durante i loro spostamenti in taxi, che come sostiene Cappiello, sembra quasi «una capsula che viaggia all’interno di un altro mondo», quasi estraneo alla città di Napoli che fa sempre da scenario di sfondo.
Nella dialettica tra mondo esterno e mondo dell'introspezione, inoltre, si insinua la musica - elemento dalla fondamentale carica espressiva – che sottolinea il tema della tristezza e della ribellione ad una terra che sembra restituire solo spazzatura, suggerendo, in punta di piedi, come unica arma e soluzione possibile, la tanto agognata felicità.
La parola ai creatori
Così Antonio Fresa, autore delle musiche: «alla base dei progetti di animazione deve esserci una grandissima determinazione, ma anche un pizzico di follia, quindi, dietro a queste persone, apparentemente normali, c’è una passione che sfocia in una sorta di follia».
Avevamo il sospetto che dietro ad una realizzazione simile dovesse esserci un guizzo di genialità ed entusiasmo tali da poter trattare in modo così originale, il tema della felicità. Ognuno ne ha un’idea personale, ma ciò che si evince dalla trama del film è che quest’ultima passa per le numerose relazioni discorsive che si intessono con tutte le persone che incontriamo nella nostra vita, le quali ci aiutano, per così dire, a capire che la vera felicità è la possibilità di costruirsi un’identità autentica, cioè coerente tra ciò che effettivamente siamo e ciò che vorremmo essere. Per fare questo c’è bisogno di un forte orientamento al risultato, cosa che è stata fondamentale anche per il film, così come conferma Antonio: «Dietro c’è la computer-grafica, c’è tanta informatica, tanta matematica, c’è uno spirito di impresa da una parte, e di determinazione, di obiettivo, dall’altra».
Ivan Cappiello, l’aiuto regista, ci tiene a ribadire che “L’arte della felicità” è stato il primo film d’animazione realizzato in Italia, e più in particolare, a Napoli. Questo genere di film ha già un buon mercato in Europa e negli Stati Uniti, ma la sua realizzazione comporta spese elevatissime, difficili da sostenere per un paese come il nostro. A tal proposito, Ivan racconta che il film è stato realizzato in due stanze nell’arco di un anno e mezzo di duro lavoro, dove i talenti di tutti gli operatori - non senza discussioni e incompresioni - hanno dimostrato che è possibile realizzare qualcosa di importante in Italia, e soprattutto a Napoli, ma solo se guidati da una forte passione. I realizzatori del film hanno preso esempio dal magistrale Walt Disney utilizzando la tecnica del “passo due” che prevede ventiquattro disegni al secondo. Cappiello racconta «invece di fare dei manichini - come si sarebbe potuto fare nell’animazione tradizionale - abbiamo fatto delle sculture in 3D da avere come riferimento in ogni momento. Ogni volta che giravamo un personaggio, ci andavamo a guardare il suo corrispettivo in 3D per vedere come le linee del viso accompagnavano le rotazioni, per conservare i volumi giusti e non perdere mai la riconoscibilità di un personaggio».
Per creare i primi tre minuti del film ci sono voluti sei mesi, durante i quali tutti i creatori hanno lavorato in team, acquisendo sempre più conoscenze e competenze nell’ambito della grafica tridimensionale e non solo, questo grazie anche al regista Alessandro Rack, che ha avuto grandissima capacità di leadership tenendo tutti uniti, motivandoli e coinvolgendoli quotidianamente. Ruoli, interazioni, processi condivisi, insomma, gli ingredienti che fanno de “L’arte della felicità” un reale esempio di opera collettiva.
Al cuore della “felicità”
Gli ospiti scendono in profondità raccontandoci i loro obiettivi e come li hanno raggiunti. Il primo di questi, essendo un film dallo stile classico, era mascherare il 3D e renderlo quanto più irriconoscibile, pertanto i disegnatori si sono avvalsi di numerosi artifici al fine di mantenere la coerenza dei personaggi tra un’inquadratura e l’altra. Trattandosi di un film d’animazione, basato essenzialmente sul dialogo e sui legami interpersonali fra i personaggi, gli sceneggiatori hanno optato per un unico ambiente chiuso dove concentrare le persone, in questo caso il taxi, una sorta di capsula che viaggia all’interno di un altro mondo, quello esterno della città.
La seconda finalità era quella di creare una separazione netta tra l’ambiente esterno e l’ambiente interno e a tale scopo l’uso del tergicristallo del taxi è stato fondamentale a livello simbolico per rappresentare il confine tra l’autovettura, la dimensione introspettiva, e il resto della città che fa da palcoscenico ad una vita talmente frenetica che sembra perennemente sull’orlo di un’apocalisse. Le scene del film sono ambientate in quartieri chiaramente distinguibili, come Via Posillipo e Via Orazio, difatti, uno dei grandi meriti riconosciuti dal pubblico e dalla critica è proprio quello della riconoscibilità dei luoghi. In ogni fotogramma si può notare la maestria nel raffigurare in modo straordinariamente realistico l’arredo urbano. Altro punto di forza è la ricchezza di dialoghi, concetti, speranze, suggestioni che disegnano delle vere e proprie poetiche personali, delle “perle di saggezza” elargite da persone comuni, dove comuni sta per semplici, genuine. Dopo la visione del trailer, si diventa effettivamente consapevoli della potenza comunicativa di quei personaggi animati, delle musiche, dei contesti. Si percepisce chiaramente che il film ci racconterà una storia che conosciamo tutti, la tensione perenne e tormentata verso la felicità. Ce la raccontano gli occhi di Sergio, il tassista ex musicista insieme al fratello Sergio, fuggito via a cercare la sua strada e morto lontano da lui. Ce la raccontano i clienti del taxi, meravigliosi piccoli ritratti di un’umanità che regala al prossimo la sua idea di felicità.
Assecondare la creatività.
«E' nella dialettica tra mondo esterno e il mondo dell'introspezione, che la musica si insinua. Napoli rappresenta questa dialettica. La musica di Antonio Fresa poi in questo film è una componente fondamentale». Così dice il Prof. Savonardo, moderatore del dibattito.
La musica accompagna quasi tutte le immagini video e per far questo il lavoro è stato imponente. Su ottanta minuti di film, settanta sono di musica. Il regista, però, ha mostrato talento anche in questo, aggirando per quanto possibile il costo esorbitante che un’operazione del genere comporta, facendo ricorso ad una risorsa locale non sempre valorizzata: una serie di canzoni di un panorama indipendente, giovanissimo e napoletano che era disposto a condividere e a donare le canzoni per questo film. Una sorta di “riscatto” della creatività residente in contesti problematici, come quello di Napoli, ma che per questo è allo stesso tempo così affascinante e meritevole di essere assecondata. Per certi versi ciò si riallaccia alla tematica principale della storia, la ribellione alla tristezza e a tutte le circostanze che possono acuirla: l'arma della ribellione è la felicità e il leit motiv del film è proprio questo: scegliere la felicità.
Sul tema dell'influenza della cross-medialità sui processi creativi, interviene Alex Giordano il quale pone in evidenza la questione delicata e quanto mai attuale della reattività del pubblico, ormai non più passivo all’offerta dell’industria culturale e non solo grazie ai potenti strumenti social. Emerge la necessità di risorse e di sperimentazioni in questo campo che in Italia è ancora poco esplorato, ma che potrebbe canalizzare un prodotto di qualità come “L’Arte della felicità” in modo capillare, rappresentando un volano per il suo posizionamento. Ciò è dimostrato da una sorta di “errore di valutazione” circa il potenziale target del movie. Inizialmente concepito per i trentenni, il film ha riscosso un vasto seguito da parte di un pubblico molto più giovane, infatti, al Festival di Venezia, è stato premiato da una commissione di giurati tra i ventidue e i ventiquattro anni. L’emersione di questo dato ha comportato un cambiamento strategico in itinere tramite la decisione di presenziare sui social media più popolari per intercettare un pubblico giovane e interattivo. L’advertisement del film è stato comunque affidato alle pagine nazionali de Il Mattino, La Repubblica e Il Messaggero, il massimo per un film dal low budget.
Marino Guarnieri aiuto alla regia e responsabile dell’ animazione 3D insieme a Ivan Cappiello, ci espone le difficoltà che si incontrano nella realizzazione di un film di animazione, soprattutto quelle concernenti il settore tecnico, come la redazione del montaggio, e il settore finanziario.
La tecnica di produzione è sia complicata quanto costosa e lo è stato ancor di più agli esordi: la Disney si è dovuta costruire da sola il macchinario che serve a fotografare e riprendere la prospettiva, ha eseguito un lavoro che è stato poi sintetizzato dall’avvento del digitale.
Oggi i costi di produzione sono davvero esosi e ciò non può non condizionare le modalità di creazione della storia.
Le spese per la campagna marketing sono tra le più elevate e nascondono un’arma a doppio taglio in quanto, sono fondamentali per il posizionamento di un prodotto culturale, ma possono limitare, se non addirittura compromettere, in alcuni casi, la cifra qualitativa dello stesso. In realtà, la soluzione sembra risiedere nella forza evocativa del messaggio che si vuole trasmettere e nella determinazione nel perseguire una creatività fresca, energica, socializzata ed etica, in questo caso, che chiaramente emerge dalla storia de “L’Arte della felicità”.
Alla fine del dibattito, ciò che si evince è che l’industria cinematografica italiana ha introdotto sul mercato un prodotto di grande fascino, quello dell’animazione per adulti, il primo film in Italia. E’ un film di sentimenti, musica e domande esistenziali sulla vita, la morte, la felicità. Un film che disegna una Napoli livida, piovosa, dove la spazzatura invade le strade e le vite delle persone. Una città-discarica che riesce a mantenere il suo fascino, perché come i suoi abitanti ricordano sempre: “Napoli è una città dalle mille contraddizioni, ed è questa è la sua bellezza”.
In tutte le inquadrature il regista ha colto l’anima di una città martoriata, fatta di luce e buio, ma che resiste, ottimista per necessità. Un film che non ha avuto paura di esplorare sentieri poco battuti, di sperimentare un genere nuovo per il nostro cinema per parlarci di ciò cui tutti aneliamo: la felicità.
Avete visto “L’arte della felicità?” Cosa ne pensate?
Avete mai visto Napoli?