Probabilmente neanche più ci accorgiamo di quanti messaggi pubblicitari ci colpiscono ogni giorno: mentre andiamo a lavoro, quando facciamo la spesa, quando restiamo a casa o quando andiamo al cinema. Ogni giorno ognuno di noi è colpito da circa sette mila messaggi pubblicitari. Per non parlare delle costanti sollecitazioni che abbiamo dal web e dai social media, in cui siamo continuamente immersi grazie al mobile. Quasi restiamo assuefatti, tanto è vero che a volte, nemmeno riusciamo a distinguere un prodotto dall’altro.
Come può il brand distinguersi dalla massa? Emozionando, caricandosi di significati e di valori. Il brand diventa un meme, portatore di concetti replicanti che si diffondono. Queste esperienze nel corso della storia tendono a ripetersi, sotto altre forme, e con diverse modalità.
La vita del tessitore egiziano Hapù che nella Tebe di 3000 anni fa fece scrivere il più antico messaggio pubblicitario con il primo logo tramandato nella storia intrecciarsi con quella dello Steve Jobs della mela morsicata che ha ideato il primo Macintosh nel garage di casa.
E se il Colombo esploratore fosse quello che ha ideato lo spot della lavatrice Aqualtis? In fondo entrambi hanno immaginato e scoperto nuovi mondi. Magari fumando una sigaretta.
O ancora il ribelle Masaniello partenopeo potrebbe aver dato ispirazione per l’insorto in sella ad un’Harley (non c’era un certo Ernesto Che Guevara raccontato nel film I diari della motocicletta?).
E se la creatività dei Mad Men di Madison Avenue facesse riferimento al gruppo degli illuministi francesi? Ripresa poi dai creatori dei mattoncini più famosi al mondo? (o viceversa sono stati i Lego ad infondere, con gli occhi di un bambino, questo spirito creativo?)
Il “cinguettare” di San Francesco d’Assisi, il primo carattere della stampa creato da Gutenberg, il tweet ideato da Jack Dorsey cosa hanno mai in comune?
Forse l’attivazione di archetipi che rimandano al passato, vivono nel presente e ci spalancano il futuro. Questa è la nuova direzione per gli uomini e per i brand.
Una concezione che implica un inconscio irrazionale, frutto della vita collettiva addirittura nei millenni. Dando così vita a delle connessioni inattese (o meglio ancora sottese).
La storia si contamina con la storia, si genera e si rigenera.
Il marketing olfattivo ci ha detto che un odore può evocare in noi un ricordo, un’emozione, una scena di vita, un oggetto, un sorriso, un pianto. Un profumo acre, dolce, forte, debole, acuto, bello non fa altro che attivare in noi i ricettori che mandano il segnale direttamente al cervello.
Ed ecco che gli archetipi descritti (di cui ci parla Mirko Pallera in Create) ci spalancano un “nuovo mondo”, tutto diventa più chiaro e cristallino. Dalle emozioni verificate da Paul Ekman (esse sono le stesse e valgono a prescindere dalla cultura della popolazione) agli archetipi che diventano degli attivatori di emozioni, alle applicazioni delle altre discipline al marketing ed alla comunicazione.
Allora anche un prodotto, un brand, un sorriso, una musica, un profumo, un viso, uno spot, un libro, inevitabilmente ci riportano a qualcosa, di più antico, di più arcaico, di più profondo; a qualcosa di già visto o già vissuto con cui ci sentiamo in sintonia.
A quella sensazione di dejavù che ci dà una percezione di irrisolto e che al tempo stesso ci collega con l’intera umanità tramite la nostra anima. Come nel film Cloud Atlas i protagonisti attraversano le diverse epoche, ci proiettano verso il futuro ed al tempo stesso verso la genesi.
L’attivazione degli archetipi ci riporta a qualcosa che noi già conosciamo, abbiamo dentro di noi, e che i brand conoscono. Ci riportano a significati più profondi, ad un dejavù del marketing: io come essere sociale in condivisione con gli altri nel fluire della storia e delle epoche. Una sensazione di continuità che i creator percepiscono ed hanno. Il futuro è nelle relazioni e nella condivisione di emozioni, nella energia creativa che diventa la fonte a cui tutti possiamo attingere, fino a raggiungere una dimensione che guarda al Marketing Spirituale.