Il tema della privacy legata alle innovazioni digitali, soprattutto riguardo al web ed alla tecnologia mobile, è costantemente sotto i riflettori. Una cosa è certa:
Ogni nuova evoluzione, miglioria o servizio che ci viene offerto, ci "costa" qualcosa in termini di privacy
Da quanto sono stati inventati i primi sistemi di comunicazione di massa (pensiamo alle trasmissioni radio o via telegrafo) la proporzionale riduzione del controllo completo sulle informazioni che immettiamo nel "sistema" è un dato di fatto, una costante dell'evoluzione, prima analogica ora digitale: all'aumentare delle possibilità offerte da strumenti e servizi integrati di comunicazione, si riduce il controllo che abbiamo sulla nostra privacy.
Ora più che mai, siamo arrivati probabilmente quasi all'apice di questo processo. Le nostre vite scorrono parallele offline e online e le informazioni sensibili che per vari motivi "trasmettiamo" in rete sono pressoché infinite. Social networks, sistemi di comunicazione e messaggistica, dati archiviati in sistemi di storage in cloud, ricerche effettuate online, dati geo-localizzati, foto e video, etc...
Frammenti della ns vita e delle informazioni più sensibili date in gestione ad aziende terze che spesso non ricambiano la generosità degli utenti con policy chiare di gestione di questi dati, anzi, spesso vengono utilizzati per finalità di promozione e marketing.
Big data = Big money?
I nostri dati relativi ad abitudini di consumo, di interessi, affinità, hobby e passioni, etc, hanno un valore incalcolabile per le big company, sopratutto ora che questi colossi riescono sempre di più a relazionare e collegare i frammenti di dati fra loro.
Immaginiamo Google: chi ancora non ha aperto un account targato Mountain View!? I servizi offerti da Google intersecano oramai gran parte delle nostre attività online, e spesso rappresentano proprio le evoluzioni che gli utenti cercano, rendendo di fatto quasi impossibile prescindere dal colosso.
Se (anche se con qualche difficoltà) potremmo riuscire ad eliminare il ns account Facebook e vivere al di fuori del social network n.1 al mondo, difficilmente potremmo vivere il web senza Google.
Apple funziona diversamente, ma il concetto di legame e cessione dei nostri dati è lo stesso: se decidiamo di accedere al sistema chiuso ideato dalla geniale mente di Steve Jobs, Apple ci garantisce tramite i suoi servizi, applicativi e gadget, la migliore esperienza digitale attualmente disponibile, ma ad un prezzo, e non soltanto economico.
È il prezzo che dobbiamo pagare per far si che l'evoluzione digitale continui la sua corsa, fino all'integrazione totale con la vita di tutti i giorni, e ci siamo quasi. Pensiamo ai Google Glass: la linea che divide la vita reale dalla vita digitale si fa sempre più sottile.
Come possiamo difenderci e mantenere il più possibile il controllo sulle nostre abitudini ed informazioni che riteniamo sensibili e che dovrebbero o vorremmo che rimanessero il più possibile private!?
Dobbiamo maturare una consapevolezza digitale superiore di quella che attualmente abbiamo. Dobbiamo conoscere come funziona ad esempio una nuova applicazione e dobbiamo pretendere la massima trasparenza e chiarezza sul trattamento dei nostri dati da parte delle aziende che ci forniscono certi servizi così da poter valutare consapevolmente e decidere in autonomia se la bilancia pende dalla nostra parte oppure no.
Dopo questa (breve) introduzione che spero ti abbia fatto riflettere, spostiamo la lente di ingrandimento sopra i nostri due assistenti vocali:
Come si comportano i nostri Assistenti Vocali: Apple Siri e Google Now
In questo articolo non approfondirò le differenze fra i due, che considero attualmente non proprio confrontabili a meno che si faccia riferimento alle capacità di comprensione ed alle potenzialità offerte perché sono, di fatto, due strumenti differenti: Siri potrebbe essere immaginata come la nostra segretaria personale che segna in agenzia i nostri impegni o invia quella email a nostro comando, mentre Google Now lo vedo come un staff sempre al lavoro (anche quando non serve) per cercare di velocizzare il più possibile l'accesso a informazioni quando queste (forse) ci potrebbero servire e saremmo troppo impegnati per aprire safari. Scherzi a parte, veniamo al dunque.
Sono di pochi giorni fa due notizie importanti riguardanti Google ed Apple: la disponibilità anche sui sistemi di Cupertino di Google Now e le conferme circa il trattamento delle ricerche effettuate con Siri da parte di Apple.
Apple ha dichiarato a Wired USA che conserva informazioni relative alle ricerche fatte tramite Siri per ben due anni! Più precisamente, ogni volta che chiediamo qualcosa a Siri, la registrazione viene inviata ai server Apple che associano ad essa un numero casuale che rappresenta l'utente. Apple precisa che questo identificato non comprende ne ID ne l'indirizzo email ma rappresenta comunque l'utente. Passati sei mesi, Apple dissocia la registrazione audio della richiesta dal numero identificativo, ma non la cancella. Le registrazione, ora anonime, vengono mantenute per altri 18 mesi. La giustificazione di questo atteggiamento nei confronti delle richieste fatte all'assistente vocale di Cupertino è più che plausibile: serve per poter migliore il prodotto, e per effettuare test.
Assistenti vocali come Siri rappresentano il futuro dell'intelligenza artificiale integrata in dispositivi mobili di uso quotidiano: e per crescere, per imparare, hanno necessariamente bisogno di dati.
Altrettanto vero è che la stessa Apple, che sicuramente non eccelle per trasparenza nella gestione dei dati degli utenti, potrebbe fare molto di più: innanzi tutto rendendo disponibili facilmente agli utenti chiare policy con cui gestisce le nostre informazioni tramite i suoi prodotti (come Siri); ed inoltre, potrebbe evitare sin dall'inizio della richiesta di associare le registrazioni agli utenti, come d'altronde dichiara di fare Google con Voice Search.
Google ci fa sapere che le richieste fatte tramite Voice Search sono anonime sin da subito. Una magra consolazione se pensiamo alla mole di dati su di noi e le nostre abitudini che Google assorbe ogni giorno. Probabilmente, non ha bisogno di associare le ricerche vocali registrate agli utenti: già conosce che cosa stiamo cercando e cosa abbiamo cercato sul web (tramite la cronologia delle ricerche), i nostri appuntamenti segnati in calendar, la nostra rubrica telefonica, le nostre chat, conosce i nostri amici, legge le nostre email, sa dove ci troviamo in ogni momento tramite la localizzazione, e così via.
Google coordina, integra, relaziona questi dati fra di loro e grazie a motori come Knowledge Graph riesce tramite Google Now a fornire risposte alla nostre domande, prima ancora che queste vengano fatte! Ma a quale prezzo? La stessa schermata di attivazione su iOS del nuovo Google Now, che richiede il nostro consenso all'attivazione del servizio è pressoché inquietante…
In conclusione: qual'è il maggior pericolo per la nostra privacy?
Siamo noi stessi. Innanzitutto, non siamo costretti ad utilizzare innovazioni digitali come Siri o Now. Nel momento in cui scegliamo di cogliere i vantaggi e le opportunità offerte dal progresso in campo ICT, non possiamo costantemente gridare al lupo al lupo. Certo, alla base di tutto dovrebbe esserci un impegno serio delle aziende e delle autorità competenti, a mettere in campo ogni forma possibile di trasparenza e garanzia a protezione dei nostri dati e della nostra privacy (e si può e deve fare ancora molto); ma soprattutto: usiamo la testa!
Personalmente, non mi preoccupo se Apple registra e conserva le mie richieste o messaggi, quando fanno riferimento al ristorante da prenotare o alla conferma di una riunione. Mi spaventa molto di più vedere scorrere nel flusso notizie di Facebook foto di patenti e documenti in genere che quotidianamente le persone caricano, magari per sfoggiare la maggiore età acquisita o l'ottenimento della tanto agognata licenza di guida.
Più impegnative sono le richieste di informazioni necessarie a Google Now per cercare di essere utile all'utilizzatore, in quanto senza dati gps, cronologia ricerche, email, calendari, etc, difficilmente potrà anticipare le nostre richieste… e quindi?
Siamo noi i primi garanti della nostra privacy. Siamo noi che dobbiamo per quanto possibile tutelare i nostri dati, evitando cattive abitudini del web, consapevoli che ogni nostra attività online contribuisce a rivelare qualcosa di noi.
Come si dice: Aiutati che… Google ti aiuta!
O forse non era proprio così... E te? Sei disposto allo "scambio" o temi per la tua privacy?