In tre parole state per leggere che:
• Ci sono forme musicali che vanno più d’accordo di altre con il web;
• Il Rock, per il momento, non è fra questi ma un po’ è anche colpa sua;
• I batteristi di rado sono quelli che fanno più sesso nelle rock band.
Sul palco di un localetto da 4 soldi si stanno esibendo gli Spittenparker, quattro ragazzetti che sfogano la loro rabbia verso Dio per aver inventato i brufoli e verso la madre per non avergli fatto fare sport da piccoli. In quattro fanno già quasi 30 anni di lezioni di musica e producono un suono talmente confuso che non sono neanche sicuri di stare suonando tutti lo stesso pezzo.
Eppure sul palco stanno dando proprio il massimo, sbraitando e sudando come animali, al punto che a fine live le loro Clark e All Star saranno prelevate direttamente dalla Digos e utilizzate al posto dei lacrimogeni per sgomberare una baraccopoli in periferia.
Il cantante e il bassista hanno la ragionevole speranza di poter aggrovigliare le gambe a quelle di qualche fanciulla in sala, a patto di fare a fine serata almeno una cover di qualche gruppetto indie. Il chitarrista è tropo introverso mentre il batterista, con tutto il sudore che produce, dovrà farne di strada prima di portare a casa qualcosa.
Sul loro (triste) canale YouTube ci sono 3 pezzi originali, frutto di ore e ore di sala prove e due giorni di sala di registrazione. Ve lo dice uno che si chiama Jack’n Roll: questa è l’era del remix e della collaborazione.
Il Rock ‘n Roll e tutti i suoi figli bastardi sono nati prima del Web e ne stanno ancora prendendo le distanze. Il web premia i contenuti brevi, che si aggiornano di continuo, si mischiano, contaminano, crossano tra un argomento e l’altro, raccogliendo audience tra pubblici diversi e finendo per influenzare il contenuto stesso.
Questo processo, normale per un rapper o un DJ, è per natura molto più complesso per una Rock Band che ha solitamente una formazione meno flessibile, oltre a tempi e costi di produzione ben più complicati.
Però c’è una parte di attitudine personale che non dipende dal genere. Se provate a dare un occhio alle pagine Facebook dei gruppi Rock, rispetto a quelli di rapper e Dj, noterete che di norma (con le debite eccezioni) traspare uno snobbismo del mezzo digitale i cui effetti sui numeri sono visibili a tutti.
Ovviamente ci sono delle eccezioni, e un buon esempio ci arriva da uno che non è proprio un nativo digitale: Slash.
[yframe url='http://www.youtube.com/watch?v=zfCQ3cNKK3M']
Il chitarrista capellone ha sempre fatto un ottimo uso dei social, proponendo meccaniche mai troppo elaborate ma di grande effetto. Guardiamo alla Facebook app Slash on Tour (cui si aggiunge anche l'app mobile “Slash 360”) che è legata alla nuova tournèe mondiale mettendone in palio i biglietti per le date.
La meccanica è semplice: quando arrivi sull’app Facebook, questa ti fornisce un link univoco (il tuo link) che puoi sharare su Facebook e Twitter accompagnandolo con un testo. Più click generi con i tuoi share e più salgono le possibilità di vincere. Semplice per l’utente e ottima per il marketing, dato anche coloro che non vinceranno saranno comunque coinvolti nel processo di promozione.
Funziona soprattutto perché si tratta di urlare ai quattro venti che vuoi andare ad un concerto rock e farti sostenere da amici e conoscenti in questa tua impresa, la stessa cosa promossa da un detergente per il bagno l'avrei vista meno virale.
In linea di massima mi sembra di poter dire che le rock band, storiche o di recente formazione, siano di norma meno brillanti sui canali digitali rispetto ad artisti che bazzicano altri generi. Voi che ne dite, conoscete altre rock band che sanno usare i socialmedia? Fatemi sapere.
Alla prossima
Jack ‘n Roll