Siamo alla seconda puntata della trilogia detta The dark side of Inspiration Point. (A proposito: nessuno ha ancora colto la citazione completa).
Nelle prime due semipuntate, che ne fanno una intera (qui la prima e qui la seconda) abbiamo creato una sorta di modello per le nostre blacklist su Facebook - ma valido anche per altri social network; qui indagheremo invece i limiti, purtroppo spesso voluti, del gigante di Zuckerberg e che alla lunga vi costringeranno a chiuderlo.
Buona lettura.
1) Riconfigura le amicizie
Intanto un attimo di legenda: [amicizia] sarà quella su FB, amicizia quella reale.
Dalla Treccani online: per amicizia intenderemo il “vivo e scambievole affetto fra due o più persone, ispirato in genere da affinità di sentimenti e da reciproca stima”.
Come già espresso nei precedenti interventi, il concetto di [amicizia] su FaceBook è stato ampiamente riconfigurato. Al punto che credo che sia quella, la grande rivoluzione di Zuckerberg: chiamare i contatti amicizie, farci credere che fossimo tutti circondati da amici.
Questo non è vero e non lo credete – a meno che non siate di quelli che credono che sia tutto, davvero, intorno a te. Che non crediate che sia vero che, in fin dei conti I want I can (e se lo credete, benvenuti negli anni 2000).
Le mie [amicizie] sono a 757 in questo momento (833 nell’ultima stesura). Tra queste, quelle che – come credo sia stato ripreso dal concetto di cerchia di Google+ - interpreto come amicizie reali, credo di essere a spanne a 3; forse 4. Il punto è che si tratta di un classico insieme che si interseca: ho [amici] che non sono amici, e amici che non si iscriverebbero mai a Facebook. Vuoi perché non ne hanno l’età, vuoi perché non ne hanno i mezzi, vuoi perché, semplicemente, non ne sono interessati.
Il punto di questo… punto 1 è che un vecchio detto dice “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”.
Circondarci di 760 persone più o meno, tra le quali – esagero – con un centinaio scambieresti una chiacchiera, con cinquanta prenderesti un caffè, dieci chiameresti al telefono, tre chiameresti per dire che lei ti ha lasciato, significa – consapevolmente o inconsapevolmente – circondarsi per la durata della propria connessione a Facebook di persone che saluteresti col cenno del capo, forse. A volte, persone che non cancelli solo per convenienza sociale.
Questo inquina i pensieri. Ed è un buon motivo per dire che Facebook è un social network deleterio.
2) E’ una grande perdita di tempo
Al di là di alcune applicazioni e dei poke – che, giuro, non ho ancora capito cosa siano - la comparsa delle emoticon per FB mi ha chiarito a cosa serva: a perdere tempo. Perdere tempo non come contraltare ma come caratteristica basale: così come non si può andare in un sexy shop e lamentarsi per le immagini spinte, i video porno di Sara Tommasi e la biancheria commestibile, non si può entrare su Facebook e dire “Ehi. Oggi tanta gente non sa cosa fare!”.
Non sono un bacchettone (giuro! Nonostante usi ancora la parola bacchettone) e non credo che il tempo vada utilizzato. Anzi: il concetto utilitaristico del tempo è una bestemmia che, per dire, non tiene conto di:
- la prima tazzina di caffè al mattino;
- le chiacchiere del dopo, spalla contro spalla;
- il bicchiere di vino con gli amici;
- una sigaretta nel letto (che io non fumi non importa);
- ogni arte.
L’arte è un’accusa in sé al concetto utilitaristico del tempo, opponendosi alla morte - che del tempo è la fine.
3) Tiene traccia della memoria
La memoria è importante. La memoria è fondamentale, direi. Anzi: ci sono centinaia di aforismi sulla memoria, il primo dei quali dice “Chi non ricorda il passato è destinato a riviverlo”.
Tutto ciò che esiste, però, ha un senso – dagli scarafaggi alle telepromozioni, tutto. E se quindi esiste l’oblio un senso ce l’ha.
Anzi, ne ha almeno due. Il primo è: per tutelarci da un passato, per vari motivi – dolore, vergogna, rimorso, rimpianto, per esempio.
Il secondo è: per comodità. Se non lasciamo spazio al nuovo il nuovo non può arrivare.
Il terzo è: per poesia. Per la bellezza, quando la cortina si lacera, di riscoprire cose che erano andate perdute.
La timeline lascia tutto aperto, tutto allo scoperto. Mostra le foto che vi sono state fatte di nascosto durante un addio al celibato/nubilato. Mostra le immagini di un viaggio a San Pietroburgo che voi stessi avete postato, ma che, a ben vedere, potrebbero star meglio nel vostro computer, in una cartella che scoprirete solo tra anni. O nel cuore, perché no?
La timeline in fin dei conti è un evidenziatore. E, come dicevo tempo fa ai ragazzi cui davo lezione, se sottolinei tutto non stai sottolineando nulla.
4) E’ un social network finto-puritano
Questa è una colpa gravissima, mai esplorata fino in fondo. Facebook è come la signora coi capelli cotonati che dà l’offerta in chiesa e poi, all’uscita, rifila un calcetto al senzatetto che le chiede l’elemosina.
Fuor di metafora: diverse policies, tra cui quella sul materiale da mettere online, sono quantomeno opinabili. Mettere un filtro alle immagini artistiche non è facile, e mi rendo perfettamente conto che richiederebbe una logica fuzzy non sempre coerente (in linea con l’essere una logica fuzzy, peraltro) inserire tra il materiale accettato L’origine du monde di Courbet e depennare Jeff Koons.
Però ho assistito ad account bloccati per avere messo online disegni di nudo e, dall’altra parte, account che postano in continuazione immagini tratte dai gruppi “Big boobs and sex”, “Nice ass” et similia. Come account bloccati per aver chiesto amicizie a persone i cui gruppi d’amicizie non erano in contatto e, dall’altra parte, gruppi autorizzati su Stalin e lo stalinismo, Mussolini e il fascismo, Hitler.
Un’offertina qui, un calcetto di là.
5) E’ un termostato, non un termoforo
Nella bella autobiografia di Andre Agassi, "Open", qualcuno si rivolge al grande tennista dicendogli, più o meno “Andre, tu sei un termoforo, non un termostato. Quando entri in una stanza non ne registri la temperatura, la cambi”.
Facebook mi sembra – a dispetto di come non appaia nell’immediato – un termostato. Ossia un mezzo che incarna lo spirito dei tempi e non che quello spirito lo cambia, o lo volge in una particolare direzione.
Questo non sarebbe un male, se non fosse che si pone come uno strumento rivoluzionario. Ma uno strumento rivoluzionario che – per richiamare un’intervista appena fatta altrove – metta solo i Like e non i Dislike si muove in un ambiente di rassicurazione. E la rassicurazione è sempre controrivoluzionaria; la rassicurazione sgonfia la protesta.
6) E’ un semplificatore di pensiero
Sì: questo punto richiama molto il punto 10 del precedente articolo, “10 motivi per cui dovreste essere immediatamente cancellati dai contatti FaceBook”. E lo richiama perché, se là dicevo che ci si è conformati a una struttura di pensiero, qui invece è il mezzo che critico, ossia la vera e propria struttura che ci ospita.
Dico sempre che, a chi mi scrive “Come ai fatto a pubblicare per Einaudi???” rispondo, in cuor mio, “Prima di tutto ho imparato l’italiano”. Non si tratta di umiltà o meno, ma di conoscere il mezzo che stai utilizzando per poi, solo poi, pensare a lavorarlo. In fin dei conti non puoi tradire una moglie – qui l’italiano – se non l’hai sposata. Vero?
Facebook inizialmente aveva un vincolo di caratteri, che poi ha tolto. Ma ora faccio un piccolo esperimento, così, sul momento. Prendo i primi dieci post che trovo e faccio una bella media dei caratteri. Pronti?
Eccoci. 762 caratteri spazi inclusi – che sta a dire: 76 caratteri di media, contro i 160 precedentemente imposti.
Dieci messaggi dei quali uno è una domanda, uno una comunicazione diretta, uno dice che oggi (nel momento in cui scrivo) è Santa Lucia, due sono aforismi – o slogan, forse -, tre comunicazioni indirette. Gli ultimi due, semplici messaggi.
Risultato: tanta fuffa. E tenete conto che tra questi dieci, cinque sono di persone di lettere, uno di un’azienda che lavora nel biologico, uno di un’azienda cinematografica rinomata.
Voilà.
7) Attua il profiling
Un concetto ben conosciuto da chiunque lavori nel marketing dice che quanto più una persona cerca di staccarsi da un macrogruppo, tanto più facilmente entra in microgruppi più facilmente profilabili.
Un secondo aspetto altresì conosciuto – l’ho preso da Rounders, ma chi l’ha scritto la prima volta ci ha preso – dice che quando ti siedi a un tavolo da poker e non individui il pollo, vuol dire che il pollo sei tu.
Il terzo dice che quando un’attività ti approccia e non ti vuol vendere niente, vuol dire che sta vendendo te. E i tuoi dati.
Questi tre aspetti si adattano perfettamente a Facebook. Che da tempo solletica il nostro ego portandosi in una posizione di predominio su qualunque altro medium e sfidando le leggi dell’aerodinamica, manco fosse il calabrone di Sikorsky. Solo che il calabrone si sa perfettamente perché voli, e così si sa di Facebook: perché un mix di risorse intellettuali, risorse burocratiche, leggi dello Stato e denaro difficilmente ripetibile è stato messo in atto perché il calabrone diventasse aquila.
Ma se Zuckerberg è il calabrone noi siamo i polli. Che cliccano Mi piace e si vedono nella colonna di destra aziende no-OGM (sì, ammetto, sono ambientalista), link a servizi che offrono Internet wireless veloce, link contro Berlusconi (e questi due son facili), link che mi offrono un servizio bancario di alto profilo.
Un servizio bancario di alto profilo.
Un servizio... Ecco. A volte pure loro si sbagliano.