Sembra che tiri una brutta aria negli uffici Marketing delle compagnie. Cosi sembra, almeno leggendo il report dell’inglese Fournaise Marketing Group risalente a circa tre settimane fa. Secondo un’analisi condotta dalla compagnia londinese, più di un terzo dei 1200 Chief Executive Officer intervistati in giro per il mondo pensa che i marketers vivano in una bolla fatta di brand equity e strumenti non-sense. Si aspetterebbero che essi fossero più focalizzati su indici economici ed in grado di valutare gli impatti positivi delle loro campagne sul conto economico.
Circa un anno fa la stessa agenzia aveva già evidenziato che i CMO (i direttori marketing) mancassero di credibilità e della capacità di generare sufficiente crescita del business per il 72% dei loro “boss”. Questa fetta di CEO scontenti aumentava al 77% ogni qual volta veniva utilizzata la "costruzione della brand equity" come giustificazione alle spese folli e non direttamente collegate a misurazioni attendibili. Insomma, belle notizie per chi si occupa/preoccupa di questa materia.
Secondo Jerome Fontaine, CEO di Fournaise, i manager del dipartimento Marketing dovrebbero pensare a generare customer demand e smetterla di sentirsi incomprensi. Essere pratici, in termini spicci. "Avete mai sentito il capo del dipartimento Finanza lamentarsi per scarsa considerazione?" La sua provocazione è alquanto banale, ma rende l’idea.
Mancanza di perseguibilità
I CEO confessano che vorrebbero lavorare con marketers business-focused che sono guidati dal ROI e dalla performance. Eccolo là. Abbiamo trovato l’Iperuranio platonico trasposto nella realtà aziendale. Provare soltanto ad immaginare che ogni dollaro speso dalla funzione marketing debba avere un impatto positivo sul conto economico è sognare di vivere nell'immaginario mondo delle idee.
La verità è che i “ROI marketers” sono animali in via d’estinzione, ammesso che siano mai esistiti. Per questo motivo gli amministratori delegati hanno abbassato l’asticella delle aspettative. Non provano neanche più a prendere provvedimenti nei confronti dei più spendaccioni sognatori.
Delegittimazione
Gli scontenti CEO hanno anche ridotto il margine di manovra degli addetti al marketing nell’ambito delle tradizionali 4P. Prodotto, pricing e canali di distribuzione sono fattori troppo critici per la crescita aziendale e necessitano di un punto di vista più pragmatico e orientato al risultato. In compenso lasciano loro, quasi sempre, la comunicazione. Spesso si commette l’errore di pensare a "chi fa marketing" come a dei pubblicitari eccentrici con la passione per l'inglese. Insomma, è un po’ come pensare a Babbo Natale e dire che sia un semplice fattorino.
Dualismo cicala vs formica?
Osserviamo questo dualismo “al revés” come dicono gli spagnoli. Sembra quasi vi sia un contrapposizione tra i CEO “formica” e i marketers “cicala”. Gli uni laboriosi e realisti, gli altri perditempo e canterini.
Poveri CEO? Macchè!
Come la neonata materia della governance aziendale ha osservato, vi sono numerose questioni legate all’abuso di potere dei massimi dirigenti aziendali. Spesso questi si trovano liberi di prendere decisioni e di porre in essere comportamenti opportunistici che tendono ad espropriare gli shareholders e accumulare benefici privati. Il meccanismo delle stock options e altri piani d’incentivazione azionaria tenderebbe proprio a ridurre tali comportamenti, legando i compensi dei massimi dirigenti aziendali alla perfomance dell’impresa.
L’obiettivo in questo caso è la redditività nel breve periodo. Lo stesso CEO non è un dipendente dell'azienda e non vi rimarrà per un numero elevato di anni. Inoltre siamo sicuri che un’azienda legata al ROI ed altri indicatori stia facendo un buon lavoro per assicurarsi la sopravvivenza nel lungo periodo? Il marketing detta un “modus operandi” che prescinde dal risultato di breve periodo. Inoltre bisognerebbe scoprire quanti di quel 70% di CEO intervistati abbiano il loro conto corrente ed altri benefits legati alla performance.
L'importanza del marketing esprit
Avalliamo ciò che disse il compianto Peter Drucker. "Il marketing è così fondamentale che non può essere considerato come una funzione separata. Esso è l’intera impresa riguardata dal punto di vista del suo risultato finale, cioè dal punto di vista della clientela". Come non sottoscrivere queste parole?
In un auspicabile futuro, nel quale l’ipercompetizione sarà la regola, il marketing dovrebbe uscire dalla “line” delle tipiche funzioni (o perlomeno sdoppiarsi) per porsi trasversalmente a cura di tutti i processi aziendali.
Con l'avvento della crisi economica, i tagli aziendali hanno colpito in primis le risorse a disposizione dei Marketing Manager, sempre più costretti ad utilizzare tecniche non convenzionali per "portare il risultato a casa" con il minimo sforzo finanziario. La realtà ci dice però che sono proprio quelle aziende che investono nel marketing a sopravvivere e conquistare quote di mercato, anche in periodi duri come questi. E l'impossibilità di una misurazione dei risultati non significa che questi non si manifestino nel lungo termine.
In medio stat virtus
E’ un bene che in azienda vi sia un legame con la performance. Altrettanto fondamentale è trovare un marketing esprit privo di guinzagli che indirizzi l’intera azienda a ricordare il ruolo per il quale esiste: soddisfare al meglio il proprio mercato. Con buona pace dei CEO.