"The dark side of the sun" è un film documentario che racconta il difficile cammino dei bambini affetti da XP, Xeroderma Pgmentosum, malattia che impedisce a chi ne è affetto di esporsi alla luce del sole.
Diretto da Carlo Shalom Hintermann e prodotto dalla Citrullo International, la pellicola si snoda tra scene di vita reale e inserti d'animazione che ci fanno immergere nel mondo dei "bambini lunari" fuori e dentro "Camp Sundown", il campo estivo nello stato di New York pensato appositamente per questi ragazzini, che qui hanno la possibilità di uscire all'aria aperta e giocare fra loro durante le attività organizzate esclusivamente di notte o in ambienti adeguatamente illuminati.
Non solo un film, ma un vero e proprio progetto mirato a diffondere la conoscenza di questa rara malattia nonché una raccolta fondi per permettere a dei bambini italiani di partecipare al prossimo campo. Un'esperienza collaborativa che nasce dalla voglia di dare voce ad un mondo nascosto tramite gli occhi magici degli stessi bambini.
Abbiamo chiesto proprio a Carlo Hintermann di raccontarci qualcosa su questo bellissimo progetto.
Salve Carlo. Come siete venuti in contatto con una realtà come Camp Sundown?
In maniera in realtà molto semplice: ho letto un articolo del New York Post che parlava del campo, e da lì ho iniziato a ragionare sulla possibilità di fare un film. Da quel momento poi è passato molto tempo, perché dovevo trovare il modo giusto per affrontare un universo così delicato.
La scelta di utilizzare tecniche di animazione nel film è una scelta particolare e distintiva in questo genere. Come è nata?
È una cosa nata da subito, perché l’immaginario dei bambini affetti da XP è davvero molto particolare, dove la notte ha un valore completamente diverso. Per tutti la notte è il luogo spaventoso in cui si concentrano tutte le paure, nel loro immaginario invece è il momento in cui possono girare liberamente. E siccome il grande sforzo dei genitori il più delle volte è proprio quello di dare questa connotazione positiva alla notte, ci sembrava interessante lavorare per costruire un’animazione che rappresentasse il luogo delle loro paure, ma anche dei loro desideri, di quello che sostanzialmente non potevamo riprendere con la telecamera. La parte di animazione è stata costruita insieme a loro, con la creazione dei loro omonimi animati che loro stessi hanno doppiato.
Il film è dunque un progetto collaborativo in tutti i sensi. Com’è stato per lei, in quanto regista, entrare in questo genere di processo, e soprattutto in questo contesto?
È stato estremamente bello! Noi siamo andati lì per quattro anni consecutivi, al campo e inoltre nelle rispettive case dei protagonisti, e con tutti loro abbiamo fatto un viaggio estremamente lungo. Il confronto è stato estremamente interessante perché sono stati loro stessi a mettere in gioco tutta una serie di concetti, e molto spesso anche a portare l’animazione verso traguardi distanti. Diciamo che hanno portato loro il film ad aver articolato il film così, in mezz’ora di animazione, e con uno sviluppo narrativo preciso: noi registravamo questi elementi, li traducevamo nella sceneggiatura. Poi avevamo l’opportunità di confrontarci e discutere insieme a loro, e questo ha creato un ambiente molto stimolante, toccante ed emozionante per noi.
Al film è correlato un progetto di raccolta fondi su Eppela, che si è chiuso l’11 marzo scorso. Com’è andata?
Abbiamo cercato di unire all’uscita del film un’azione concreta d’aiuto per i protagonisti che hanno partecipato al film, e stiamo in realtà ancora raccogliendo fondi per due diversi progetti: uno è quello di portare i pazienti italiani al campo, ma anche portare gli altri ragazzi che vi partecipano e le loro famiglie in Italia, perché sarebbe una grande opportunità. Vorremmo cercare di organizzare tutto ciò a Roma, cercando l’aiuto delle istituzioni per far sì che i luoghi centrali della città possano essere aperti di notte per permettere loro di visitarli. Quindi in realtà la campagna fondi non si è ancora esaurita.
La XP è una malattia poco conosciuta che il film sta contribuendo a far conoscere. Promuovere il film e il progetto su web e social media vi ha aiutato?
Uno degli scopi del film è chiaramente quello di far conoscere la malattia, quindi tutti i mezzi che potevano aiutarci in questo li abbiamo utilizzati e abbiamo cercato di fare una diffusione piuttosto capillare tramite diversi network: si è cercato quindi anche di creare una piccola community intorno al tema, che partendo dalle persone direttamente coinvolte potesse aggregare tutti coloro che potevano essere interessati o chi poteva dare concretamente una mano. Dal basso tante persone hanno fatto delle video proiezioni nella propria città, organizzato degli eventi; il tutto indipendentemente da noi, e questo ha aiutato molto.
Abbiamo fatto due proiezioni nella Giornata mondiale delle malattie rare a Roma, e la cosa che mi ha fatto più piacere è stata vedere che le persone che si occupano di questo ambito, che magari sono toccate da questo problema da vicino, si sono molto identificate nel film: il nostro sforzo era diretto proprio a questo, a descrivere le persone per quello che erano e non attraverso dei filtri che mostrassero i malati come degli oggetti, come accade spesso ad esempio tramite gli interventi di figure mediche o istituzionali. Raccontarli così ha permesso di creasse una grande sensibilizzazione dove abbiamo proiettato il film. Stiamo cercando di continuare a fare proiezioni affinché ci sia un avvicinamento sempre maggiore delle persone all’universo delle malattie rare, per comprenderne la condizione, ma anche le difficoltà ad essa legate.
È difficile riuscire a fare arrivare alla grande distribuzione questo genere di film?
È molto difficile. Noi abbiamo sempre creduto nelle potenzialità del film, abbiamo investito tutte le nostre forze per cercare di realizzarlo al meglio: tramite il lavoro di Lorenzo Ceccotti e di tutti gli animatori, così come delle persone che hanno creato il suono, abbiamo cercato di mettere in piedi un film che in sala potesse restituire le emozioni che abbiamo vissuto noi. Ma è difficile semplicemente perché i rientri che si ottengono sono ovviamente minori rispetto ad altri prodotti. Però non ci siamo fermati, adesso stiamo cercando di chiudere un accordo con un distributore per avere una diffusione in sala, quindi speriamo di potercela fare. È una sfida da vincere proprio perché pensiamo sia importante poter arrivare ad un pubblico più vasto possibile. Sono rimasto sorpreso da come le persone uscissero dalla proiezione un po’ cambiate, per certi versi, e questo ci fa ben sperare!
Nel ringraziare Carlo Hintermann per la sua disponibilità, non possiamo che rinnovare i nostri complimenti per questo progetto e sostenere la sua diffusione! Sulla pagina Facebook potete rimanere costantemente aggiornati sulle proiezioni in programma.