Meet the Media Guru questa volta l’ha fatta grossa, in senso positivo ovviamente! Martedì 3 maggio, il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano ha infatti ospitato Jane McGonigal, guru e game designer internazionale: uno di quegli eventi della digital culture da annoverare tra i più importanti di quest’anno.
Games-addicted a parte, chiunque davanti ad un’esclamazione quale “I videogames possono migliorare la nostra vita e riuscire a cambiare il mondo in cui viviamo” storcerebbe il naso, guarderebbe il vicino alzando il sopracciglio o scoppierebbe in una risata travolgente. Lei lo sa, ma sa anche come traghettarci dall’altra parte, dalla parte di quelli che la pensano esattamente come lei, o per lo meno sa come provarci.
Perché, dopo che stai a sentirla parlare per un’ora, è impossibile che qualcosa in te non si sia smosso. Personalmente parlando, ho sempre “condannato” i gamers, quasi mi sembrassero apatici, ossessionati, disillusi e asociali. L’opinione di tanti è che il gaming sia una perdita di tempo, poiché ciò che conta veramente è la vita reale, non quella fittizia. Il punto sta tutto nel riuscire a guardare ai videogiochi in un’ottica diversa, più open-minded e più social. Perché di social games si vuol parlare.
Jane McGonigal costituisce davvero l’esempio perfetto, e di cui si necessita, per sfatare il mito che vuole le donne contrarie, refrattarie e lontane dal gaming. Tutto ciò che racconta viene spiegato con estrema passione, riuscendo a catapultarti sulla stessa linea d’onda delle sue sensazioni. Il suo discorso comincia con un dato piuttosto sbalorditivo: passiamo ben 3 miliardi di ore a settimana (sì, avete capito bene) giocando online. Con la stessa quantità di ore, si potrebbero creare tre Wikipedia a settimana!
Questo ci dimostra quanto potenziale abbiano i videogiochi: passare il nostro tempo giocando risulta, inaspettatamente, ciò che di più produttivo possiamo fare. Secondo Jane McGonigal, i famosi 3 miliardi di ore che gli appassionati di videogames trascorrono davanti allo schermo, sarebbero pochi rispetto a quelli che in realtà dovrebbero essere: ben 21 miliardi.
Lo so, lo so che state ancora storcendo il naso, ma se vi dicessi che giocare produce un sacco di emozioni positive, quali curiosità e gratitudine? E se aggiungessi che giocando insieme a qualcuno, la relazione con quest’ultimo risulterà solidificata e rafforzata? Ancora non vi basta? Jane aggiunge altri due punti a favore del gaming: passare il nostro tempo giocando sviluppa anche le dimensioni legate allo scopo e al conseguimento: il meaning e l’accomplishment ci spingono ad essere concentrati e determinati. Durante il gioco riconosciamo infatti di avere uno scopo ben preciso poiché ci troviamo davanti ad un ostacolo da superare che, una volta oltrepassato, farà prevalere la soddisfazione di aver portato a termine la nostra missione, come racconta anche nel suo libro, uscito in Italia lunedì, dal titolo "La Realtà in Gioco".
Un incontro, quello con Jane McGonigal, interattivo e divertente. Abbiamo sperimentato il “Massive Multiplayers Thumb-Wrestling”, gioco che, in italiano, è meglio conosciuto come “la battaglia dei pollici”, arrivando probabilmente a battere il record europeo: più di 150 partecipanti. Questa parentesi giocosa per stabilire come un semplice gioco, in questo caso assolutamente non digitale, possa racchiudere in 5 minuti tutti e quattro i punti precedenti: positività, relazioni, scopo, conseguimento. Come segreto ci ha rivelato che tenendoci tutti per mano (il vero segreto è far durare la stretta di mano per almeno 6 secondi!) avevamo sprigionato in tutta la sala grandissime quantità di ossitocina, responsabile della capacità di empatia con gli altri e di un atteggiamento cordiale e disponibile verso chi ci sta accanto.
Gli ostacoli e gli obiettivi del gaming risultano particolarmente avvincenti proprio perché sono volontari: siamo noi che decidiamo di metterci nella posizione di affrontare una sfida. Di conseguenza, quando li superiamo o li conseguiamo ci ritroviamo in uno stato di euforia ed eccitazione, ci sentiamo soddisfatti e appagati. E’ qui che entra in gioco il fattore eustress, ovvero lo stress positivo. “The opposite of play isn’t work: it’s depression”, ci spiega Jane, aggiungendo che i giochi riescono ad attivare ben 10 emozioni positive:
1. gioia 2. sollievo, 3. amore, 4. sorpresa, 5. orgoglio, 6. curiosità, 7. eccitazione, 8. meraviglia, 9. appagamento, 10. creatività.
Dunque, essere felici ci rende, per forza di cose, persone di successo: i gamers spesso ottengono ottimi voti a scuola, maggior popolarità, supporto da parte della società, promozioni sul lavoro, etc.
Tutto sta, però, in una piccola e semplice formula chiamata “The 3:1 Ratio”. A cosa si riferisce? Jane McGonigal ci stupisce ancora raccontandoci che, lavorando a stretto contatto con alcuni ricercatori, questi avrebbero scoperto che per ogni emozione negativa, per compensare, avremmo bisogno di provare tre emozioni positive. Inutile negare la reazione a catena: le emozioni sono contagiose, siano esse positive che negative. Quindi, se è vero che noi riusciamo a contagiare almeno 6 persone che ci stanno accanto, questo vuol dire che anche queste faranno altrettanto arrivando quindi a 36, 216 e così via.
Insieme a Jane e alle ricerche condotte dal suo team, scopriamo inoltre che chi gioca vive in media dieci anni in più grazie a caratteristiche quali la curiosità, l’ottimismo, la determinazione e la collaborazione. E se i global gamers sono ormai 800 milioni in tutto il mondo, ciò vuol dire positività e longevità per quasi 1/6 della popolazione mondiale!
Tipica espressione dettata dall'eustress (stress positivo) durante una sessione di gaming
Si sa, dopo le nozioni teoriche c’è sempre bisogno di un po’ di pratica. Ecco che Jane ci svela alcuni social games interessanti disponibili online. Se siete delle desperate housewives non ci sarà niente di meglio che ricompensarvi con Chore Wars: le vostre missioni saranno le faccende di casa! Ogni volta che finirete di lavare i piatti, di fare il letto, di spolverare le mensole o lavare per terra avrete raggiunto il vostro obiettivo e guadagnerete punti. Ovviamente parlatene a compagni e mariti, non si sa mai. Magari, con vostro stupore annesso, si ritroveranno così appassionati che non vedranno l’ora di tornare a casa per metterla a nuovo!
Probabilmente, però, la più grande creazione di Jane McGonigal rimane Evoke: uscito un anno fa, il gioco ha raggiunto i 19,000 players ed è ancora disponibile in rete. Anche qui ognuno ha una missione: rendere il mondo un luogo migliore. Consapevoli dell’aiuto che il nostro pianeta necessita, il giocatore può decidere il problema che gli sta maggiormente a cuore ed “evocarlo". Ogni volta che farà qualcosa a favore di quel problema, lo mostrerà alla community grazie all'upload di foto e video. Un social game decisamente nobile, di cui potete ammirare il trailer su Vimeo.
L’incontro termina con la presentazione, da parte di Jane, di uno dei game designer più vicini a noi, in senso territoriale. Viene infatti chiamato sul palco il creatore del progetto Critical City, anch’esso espressione di divertimento, ma anche collaborazione e condivisione per la città di Milano. Ci racconta, a nostra sorpresa, dell’esperimento in corso: era infatti stato chiesto ad alcune persone di scrivere su un bigliettino tre siti che avessero cambiato, in qualche modo, la loro vita. Successivamente, avrebbero dovuto mettere il bigliettino in un ovetto colorato e lasciarlo in giro per la città, nei posti più disparati. Il mormorio è iniziato quando ci è stato riferito che alcuni ovetti erano presenti in sala!
Qui trovate la lecture (con traduzione in italiano) dell'intero incontro.
Capite ora l’interattività, capite ora come Jane sia riuscita a farci quasi venir voglia di progettare noi stessi un gioco che possa davvero migliorarci e cambiare il mondo attorno a noi. E’ solo unendo le forze, solo mettendo insieme lo spirito di collaborazione con la condivisione, così presente nel nuovo mondo digitale, che anche attraverso un’esperienza ludica, anche attraverso questo fenomeno chiamato gamification, possiamo davvero essere in grado di apportare cambiamenti positivi a tutto ciò che ci circonda.
“If you have a problem, and you can’t solve it alone, evoke it.”