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  • I sabotatori che dicono sempre Sì: il culture jamming nella comunicazione d'impresa

    28 Aprile 2011

    Cosa accade dietro le quinte del mondo degli affari? Cosa si cela dietro sorridenti e ammiccanti messaggi pubblicitari? E se la famiglia del Mulino Bianco fosse un po’ più simile ai Simpson? Legittime curiosità, che da un secolo ormai spingono artisti, attivisti, performer o ‘semplici’ consumatori a indagare l’invasività dei messaggi pubblicitari nella costruzione dell’immaginario contemporaneo. Come il Dadaismo negli anni Venti, il Situazionismo dalla fine degli anni Cinquanta e gli hacker informatici negli anni Ottanta e Novanta, gli anni Zero sono stati il territorio del culture jamming. Che continua a fare proseliti. Culture jamming, letteralmente ‘sabotaggio culturale’, vuol dire capovolgere il significato di una comunicazione istituzionale o di un messaggio pubblicitario, cambiarne il contesto semantico al fine di ribaltarne il senso. Con le armi dell’ironia, del sarcasmo e dell’irriverenza sempre più collettivi (gli Adbusters di Kalle Lasn, i newyorkesi Improv Everywhere e gli italiani Molleindustria) si sono imposti all’attenzione globale, con un atteggiamento disincantato capace di sovvertire dall’interno le regole. Per creare una discontinuità cognitiva, una riflessione generata dal gioco, dallo scherzo innocuo, ma intelligente, che reinterpreta le cose, scardina stereotipi e mette in scacco i luoghi comuni. Uno dei gesti che rientra in queste pratiche trickery di inganno creativo è lo shopdropping, che consiste nel sostituire furtivamente prodotti dagli scaffali con altri dal packaging rivisitato in chiave critica o semplicemente ironica, o riposizionarli per ottenere nuovi effetti di senso. È il consumatore che ‘gioca con la merce sul suo stesso terreno’, come il recente caso di speakaging, se così possiamo definirlo, fatto con le nuove confezioni Mulino Bianco. Quando l’impertinenza si fonde alla critica politica e alla riflessione sulla manipolazione dei media si crea un vero e proprio cortocircuito all’interno del sistema verità/finzione. Questo è il subvertising, che si appropria dell’immagine corporate di un’azienda – creando spoof site o imitandone il tone of voice nelle comunicazioni ufficiali – per dissacrarne le politiche ufficiali. In questo senso si parla anche di ‘meme hack‘, come di un’unità culturale auto-propagantesi, ma di senso contrario rispetto al meme originale.

    I sabotatori che dicono sempre sì from MEMEThIC LAB. on Vimeo.

    Tra coloro che si sono cimentati in questa pratica spiccano gli Yes Men, duo statunitense, capace di far tremare alcuni dei gruppi più potenti dell’establishment americano, come Dow Chemical, ExxonMobil, WTO e la Camera di Commercio. Il meccanismo alla base delle loro performance è tanto semplice quanto efficace: costruiscono siti fake delle aziende o degli enti pubblici che vogliono colpire, in tutto simili a quelli originali. E poi aspettano. Aspettano che qualcuno ci capiti per caso. Aspettano che qualcuno si confonda e li inviti a conferenze, eventi pubblici, o che gli chieda di rilasciare dichiarazioni. A questo punto Andy Bichlbaum e Mike Bonanno, i due fondatori del gruppo, mettono in scena il loro personale e irriverente spettacolo, diventando degli improbabili portavoce, rilasciando stranianti dichiarazioni pur rimanendo sempre assolutamente credibili nei modi di fare e nel linguaggio utilizzato. Nel 2007, in occasione di una conferenza sul petrolio a Calgary, parlando a nome della ExxonMobil hanno presentato Vivoleum, carburante di ultima generazione totalmente eco-compatibile, perché realizzato con i corpi di operai morti. Non paghi della potenza straniante di un tale messaggio, risultato peraltro credibile ai dirigenti presenti in sala, hanno distribuito delle candele a base di Vivoleum, invitando tutti ad accenderle. L’obiettivo? Mettere in dubbio la credibilità di un’azienda o di un governo, incrinandone l’immagine pubblica. Giulia Marzagalli