• About Author

  • Tutta l'Informazione Ninja nella tua mail

  • UPDATE: Massimo Guastini eletto Presidente dell'Art Directors Club Italiano [INTERVISTA]

    18 Febbraio 2011

    “Sarò un presidente al di sopra delle parti. Non ho interessi privati, non faccio parte di grandi famiglie e non ho né faide né vendette da consumare”. Perché crederti? 🙂

    Uhm, brava, Ninja Adele, vedo che ti sei documentata sulle mie affermazioni. E hai letto il mio blog. La risposta è semplice. E’ la verità. Ho regalato le mie quote 5 anni fa quando lasciai Dorland G2, allora nell’orbita WPP. Mi è bastata quest’ultima esperienza per non volerne mai più sapere di agenzie internazionali, di grandi famiglie. Mi ci trovo male perché comportano troppi compromessi. Forse, per questa mia scelta, non tutti sanno chi è Massimo Guastini. Ma l’importante è che ce l’abbia ben chiaro io. La pratica quotidiana della mediazione non me l’avrebbe permesso. In questi cinque anni ho ricevuto tre proposte, due delle quali mi sono arrivate in momenti difficili da un punto di vista imprenditoriale. Ho comunque risposto di no. Sto bene in cOOkies adv e la presidenza Adci sarà eventualmente un mezzo per raggiungere un fine comune, non una poltrona di prestigio in qualche grande agenzia. Voglio realmente restituire dignità e autorevolezza al ruolo dei creativi. Il nostro lavoro deve tornare ad avere un valore. Per quanto riguarda le vendette da consumare, ti garantisco che non ne ho per il semplice fatto che non ho nemici personali. Magari sarò antipatico a qualcuno ma, se ci hai fatto caso, ti sarai resa conto che chi ha parlato apertamente di me, mettendoci nome e cognome, non l’ha fatto per criticarmi. “Coraggio” è il valore che mi hanno attribuito più spesso.

    Nel programma emerge il tuo desiderio di unità per il Club, anche perché “per troppo tempo ci siamo divisi su questioni talmente piccole”. Ad esempio quali?

    Per questioni piccole intendo tutto ciò che gravita intorno ai premi e agli ingressi nell’Annual Adci. Quindi mi riferisco alle annose polemiche sui “fake” e sulle giurie. La nostra mission è in realtà nel nostro stesso nome: siamo un Club prima che un Award. Torniamo a essere un Club innanzitutto, il cui scopo principale, dichiarato espressamente dalla Statuto è migliorare gli standard della creatività nel campo della comunicazione e delle discipline ad essa collegate. Come ripeto da molto tempo, non puoi migliorare gli standard della creatività, se non ti batti anche per migliorare la qualità di vita di chi deve produrla. Questo non significa una deriva sindacalista ma comporta, specie in un periodo come quello attuale, non tacere più su una serie di fatti inaccettabili. Noi siamo quelli che devono dare valore le marche, cerchiamo di ricordarcene e rammentarlo a tutti gli altri attori di questa industria. La mia non è una minaccia, è una promessa di dialogo con le nostre naturali controparti, a cominciare da chi lavora nel marketing delle aziende.

    La tua soluzione di unità per l’ADCI punta al “ritrovare le ragioni che ci uniscono”. Quali sono queste ragioni?

    Le ragioni che ci devono unire stanno sotto gli occhi di tutti quelli che fanno questo lavoro da più di sei mesi. Le ho anche ricordate nel mio programma. Stiamo diventando la figura professionale più precaria e meno pagata della filiera. Siamo la manovalanza che lavora giorno e notte per sfornare idée gettate in quelle fornaci senza fondo che sono le gare, quasi mai remunerate. . Il nostro punto di vista conta sempre meno. Nelle sale riunioni dove le campagne vengono scelte, negli organigramma di agenzia, nelle decisioni gestionali e nei confronti pubblici. Dobbiamo riappropriarci del nostro ruolo di protagonisti della comunicazione. Abdicare ha peggiorato la stessa qualità dei lavori pubblicati. Nel ’97 Aldo Grasso scrisse che spesso la pubblicità era migliore dei programmi che interrompeva. Oggi non lo ripeterebbe. Malgrado il livello dei palinsesti non si sia innalzato.

    Quali sono le etichette che nel tempo hanno ingessato e rallentato l’ADCI?

    Più che di etichette, parlerei di un’etichetta, per altro mai ufficializzata, secondo la quale non contano le idée ma chi le sostiene. C’è tutta una liturgia non ufficiale ma officiata quotidianamente, probabilmente in una sorta di inconsapevole e ormai dogmatico automatismo. “Quanti premi hai vinto?” “Quanto è figa la tua agenzia?” “Quanto sei figo tu?” Viviamo ormai immersi in viscidi pregiudizi paludati che da tempo ci impediscono di manifestare, anche solo lontanamente, quella spinta vitale che caratterizzava I 40 famosi fondatori dell’Adci. La crisi economica può farci avere meno soldi. Ma idee, entusiasmo, energie e voglia di fare dipendono solo da noi.

    Quali termini – perché desueti, fuorvianti o semplicemente perché ti infastidiscono – vorresti abolire nel linguaggio dell’advertising?

    Sono un democratico anche a livello linguistico. Rispetto nascita e morte di qualunque parola. Nel mio lessico personale cerco però di evitare alcuni termini che mi abbattono il tasso di fertilità: sinergia, integrata, virale e soprattutto non convenzionale. Non convenzionale deve essere un modo di pensare non un media. Ho visto e vedo contenuti con l’aspirazione di essere “viral” più convenzionali del tè inglese delle cinque.

    Quale aspetto delle gare a tuo avviso andrebbe più urgentemente regolamentato?

    Più che regolamentare occorre diffondere la consapevolezza tra aziende e agenzie che le gare non remunerate, quelle che impegnano sino a 60 agenzie in presentazioni che comportano anche più di 500 ore lavorative per ogni team, fanno male a questa professione e di conseguenza danneggiano anche le aziende.

    Nel tuo programma sottolinei l’importanza di costituire un punto di riferimento reale nella formazione dei giovani e proponi di identificare “20 giovani con le potenzialità per emergere ma che non possono permettersi gli ormai onerosi investimenti necessari”. Per loro, ad esempio, prevedi incontri settimanali in cui un socio senior commenta i loro portfolio. Ma quali sarebbero i criteri concreti per la selezione di questi 20 giovani?

    Cercherei giovani dotati di autentica creatività. Per autentica creatività non intendo “idiot savant” che già promettono di saper utilizzare a menadito programmi di computer grafica e meccanismi pubblicitari. Creatività è un termine abusato nel nostro lavoro e di non facile definizione, ma mi piace molto quella che ne ha dato Annamaria Testa nel suo ultimo libro (LA trama lucente): La creatività è qualcosa di nuovo e utile per la collettività. I buoni titoli, le buone campagne, hanno di solito questa caratteristica, possiedono insight nuovi. Diffondono memi utili alla collettività. Più di parlare dei criteri concreti per selezionare I 20 giovani, ci tengo a sottolineare che voglio dare realmente la possibilità a 20 giovani veri di entrare nel nostro settore spendendo il loro talento e non Ie risorse della famiglia di provenienza.. Approfondirò questo argomento nei prossimi giorni, sul mio blog. Credo di avere già approfittato abbastanza del vostro spazio. Grazie.