Non so se è solo una mia impressione, ma su internet la pubblicità è sempre più insidiosa.
E non mi riferisco ai vecchi pop-up che hanno fatto l'iniziale fortuna delle aziende che hanno investito in internet, nè agli annunci che seguono lo scorrimento del mouse lungo le pagine web. Ricordate quella scena di Minority Report, bel film di Steven Spielberg - tratto dallo splendido racconto del mio amato Philip Dick - in cui Tom Cruise entra in un edificio e una donna dallo schermo (pubblicitario) lo chiama per nome?
A volte mi sento così. La pubblicità su internet sa chi sono e cosa cerco. Ma come fanno?
Per abitudine professionale, il mio primo pensiero è alle norme, ma in questo caso le norme quali sono?
Qualche giorno fa leggevo che Philippe Juvin, deputato francese in forza al Parlamento Europeo, autore di un documento sull'impatto della pubblicità sul comportamento dei consumatori, aveva lamentato l'utilizzo di tecniche di marketing invasive. L' UE ha una precisa normativa sulla pubblicità sleale, ma questa normativa, per quanto abbastanza recente, fatica nel tenere il passo con tutte le nuove forme pubblicitarie nate su internet.
Penso, per esempio, al behavioural marketing, o alla pubblicità nascosta tipica di blog e forum.
Il behavioural marketing (o targeting) - la pubblicità comportamentale - viene utilizzata da numerose aziende e si realizza tramite il monitoraggio del nostro traffico internet. In questo modo le aziende riescono a tracciare un profilo dell'utente che utilizza la macchina X con la connessione Y e a sottoporgli pubblicità mirate su gusti ed interessi. Il meccanismo è molto semplice, in quanto, normalmente, avviene tramite cookies, 'amatissimi' dai navigatori internet, che vengono installati sulla macchina all'insaputa dell'utente, registrando e rilasciando informazioni relative alla navigazione.
Chiariamo una cosa: l'utilizzo dei cookies di navigazione è lecito se comunicato all'utente (li leggete mai i disclaimer dei siti che visitate? e l'informativa sulla privacy?), in quanto consente alle pagine di 'dialogare' con il sito, semplificando le scelte dell'utente ed evitandogli di reinserire alcuni dati.
Quello che potrebbe non esserlo, invece, è il behavioural marketing che utilizza la registrazione invasiva del comportamento dell'utente in Rete, tramite quella che viene chiamata 'deep packet inspection': una tecnica che analizza tutto il traffico internet, consentendo l'acquisizione di dati ulteriori. In questo caso, l'utilizzo associato delle informazioni raccolte, quasi sempre anche all'insaputa dell'utente, può comportare seri rischi per la privacy, come testimonia, per esempio, il caso Phorm, società americana che nel 2006 aveva effettuato una sperimentazione occulta del traffico internet degli utenti British Telecom, richiamando le attenzioni e le critiche della Commissione Europea.
Le società interessate rassicurano sul meccanismo utilizzato - l'opt-in al posto dell'opt-out, come tra l'altro previsto dalla direttiva 2009/136/CE - e sul proprio disinteresse verso il traffico email o altre attività sensibili eventualmente svolte online ; Juvin, invece, è consapevole dei rischi che tali tecniche potrebbero comportare, e per questo prevede che pubblicità di tale tipo debbano essere segnalate e, soprattutto, che debba essere spiegato all'utente come funzionano e quali siano i rischi per la sua sfera di riservatezza.
L'utilizzo indiscriminato di tali tecniche può comportare rischi altrettanto seri per le aziende che non si tutelano, e che si affidano, a volte anch'esse a propria insaputa, a pratiche pubblicitarie in danno dell'inconsapevole navigatore.
La Commissione Europea, dal canto suo, prova ad aiutare gli utenti ed a difendere i navigatori dalle insidie nascoste dietro certe pratiche pubblicitarie, con un sito : 'E' scorretto?', utile e interessante.
Tra le altre cose, il sito elenca in una 'lista nera' 31 tipologie di pubblicità sleale, e prevede, inoltre, la possibilità di chiedere un aiuto concreto nell'interpretazione dei casi pratici nei quali ci si imbatte.
Il sito può essere utile anche ai creativi, che la pubblicità la fanno, e alle aziende, che la commissionano: permette loro di acquisire consapevolezza del problema e di richiedere che le pratiche pubblicitarie utilizzate siano rispettose delle leggi e dei diritti degli utenti; o, viceverse, se invasive, che venga sempre fornita una corretta informativa.
Evitando, così, eventuali insidie e trabocchetti nascosti.